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Olio fritto? Diventa biodiesel

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Benvenuto biodiesel: meno Co2, meno polveri sottili e meno problemi legati allo smaltimentio dell’olio esausto

Un motivo in più per non buttare l’olio fritto – oltre all’impatto ambientale, se non correttamente smaltito – : può diventare biodiesel.

Un esempio viene dalle raffinerei Eni di Venezia e Gela che sono state riconvertite dalla raffinazione dei carburanti tradizionali a quella dei biocarburanti. È stato firmato infatti un accordo tra l’Eni e il Conoe, il Consorzio nazionale di di raccolta e trattamento degli oli esausti, alla presenza del ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti.

Conoe d’ora in poi fornirà Eni tutto l’olio esausto raccolto dalle sue aziende per alimentare la bioraffineria di Venezia (riconvertita nel 2014) e quella di Gela, che sarà riconvertita l’anno prossimo. Al momento la raffineria di Venezia è già operativa, ma utilizza olio di palma importato.

Utilizzando gli oli esausti per produrre biodiesel si riducono le emissioni di anidride carbonica e di polveri sottili dai carburanti. Inoltre si eliminano i problemi che questi oli creano agli impianti di depurazione.

“Questo accordo non ci aiuta solo nel raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra – ha commentato il ministro Galletti -, ma dimostra anche che l’economia circolare si può fare non solo nella green economy, ma anche in altri settori, come quello dell’Eni, che in teoria dovrebbe essere il mio ‘nemico’”.

Per Galletti “l’accordo ci indica che stabilimenti come quello di Marghera che sono costi possono diventare risorse, creando posti di lavoro”.

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