I borghi più belli d’Italia: Friuli Venezia Giulia
Il viaggio nei borghi friulani tra storia ed eventi
Terra di confine, crocevia di popoli e culture. I piccoli borghi del Friuli Venezia Giulia raccontano questo territorio, la sua storia e gli eventi più caratterizzanti, descrivendone appieno le sue peculiarità.
Il viaggio nei borghi friulani inizia nella zona di Gorizia, quasi al confine con la Slovenia, dove si incontra Gradisca d’Isonzo.
Una cittadina dall’aria asburgica curata e accogliente e che dona un gran senso di libertà. Sono quattro i periodi di Gradisca: il quattrocento veneto, il seicento austriaco, l’ottocento asburgico e il novecento italiano.
Concepita dalla Repubblica di Venezia come baluardo contro le incursioni turche, fu edificata dagli architetti della Serenissima come un borgo fortificato con strade larghe che si intersecano ad angolo retto e che vanno a formare un tessuto edilizio regolare, suddiviso in compatti isolati di case.
Del periodo più antico di Gradisca restano la Casa dei Provveditori veneti, ora sede dell’Enoteca Regionale e il Palazzo del Fisco, chiamato anche Palazzo Coassini, edificato a partire dal 1479. Tra la seconda metà del XVI secolo e il primo quarto del XVII viene costruito Palazzo Strassoldo, prototipo per numerose altre dimore nobiliari edificate a Gradisca nel corso del sei-settecento.
Il governo dei principi di Eggenberg, tra il 1647 e il 1717, rappresenta il periodo d’oro di Gradisca, che conosce un notevole sviluppo economico, civile, demografico ed urbanistico, mentre tra il 1650 e il 1750 vengono edificati quasi tutti i palazzetti nobiliari che ancora oggi caratterizzano il centro storico.
Entro la fine del XVII secolo erano probabilmente già terminati Casa de’ Portis, Casa de’ Salamanca, Casa Wassermann, e uno degli edifici più importanti della cittadina, Palazzo de’ Comelli-Stuckenfeld, severo e massiccio, che prende in prestito da Palazzo Strassoldo le caratteristiche della facciata.
Durante il governo del Della Torre prende forma anche Palazzo Torriani, la residenza gradiscana della casata nobiliare, splendida villa suburbana che sta tra il palazzo di città e la dimora di campagna. L’edificio, ora sede del municipio, è senz’altro il più importante di Gradisca, d’ispirazione palladiana e che può esser letto come avamposto della cultura veneta nel Friuli orientale.
A Palazzo Torriani ha sede il Documentario della Città, in cui è stato concepita in modo originale la “sala di lettura” di luoghi espositivi a cielo aperto, il punto da cui partire per abbracciare con lo sguardo della storia le case e i palazzi, le mura e le garitte inaccessibili.
In queste varie fasi si riassume la storia di Gradisca. Un borgo fortificato d’origine tardo-quattrocentesca che, in seguito all’abbattimento di un tratto delle mura difensive, si è aperto al verde del parco e alla piana friulana.
La “Spianata”, centro della vita sociale della cittadina, nell’800, attraeva i forestieri con parate militari di austriaci a cavallo e concerti della Società Filarmonica, ma dopo la guerra avvenne la graduale trasformazione che fece diventare Gradisca una cittadella residenziale dall’aspetto signorile ricca di caffè di tradizione asburgica.
La sosta al caffè, il rito del bicchiere di vino all’Enoteca o in una delle tante osterie, la degustazione di un piatto locale sono dei piccoli piaceri che si manifestano in questo grazioso borgo friulano, cerniera tra mondi diversi, latino, germanico, slavo in cui si fondono, in un paesaggio di grande bellezza, tradizioni che sono patrimonio di tutta la civiltà europea.
E per restare in tema di piaceri sono sicuramente da provare gli ottimi salumi e formaggi, mentre tra i primi ecco la jota, una sostanziosa zuppa a base di fagioli, patate, cotenne, costine di maiale affumicate e crauti.
Tra i classici della cucina isontina ci sono le trippe, il baccalà e, nella stagione fredda, il cotechino, che qui si chiama “musetto”, servito con le rape acide. Tutte specialità accompagnate dal tesoro di queste terre, la fertile pianura bagnata dall’Isonzo, che ha per centro Gradisca e che produce vini che rientrano nella Doc “Isonzo del Friuli”. Il meglio è dato dai rossi, come il robusto Cabernet, il fragrante Merlot e il corposo Refosco.
I dolci, invece, a Gradisca rivestono un ruolo importante e, su tutti, lo strudel di mele e la gubana. Quest’ultima contiene in un involucro di pasta una farcitura a base di noci, zibibbo, uvetta, pinoli, cioccolato, e viene servita a fette irrorata con grappa.
Poco distanti vi sono Gorizia, ricca di tesori d’arte, Aquileia, la seconda Roma e l’incredibile Palmanova che rappresenta un vero e proprio gioiello ed uno dei più riusciti e unici capolavori dell’architettura militare veneziana.
La sua forma a stella, con nove punte tutte uguali, è infatti un inno alla perfezione e simmetria urbanistiche. La struttura, progettata e poi realizzata con grande maestria ingegneristica, si componeva di bastioni, cortine, e rivellini. Tra queste è presente un fossato e una rete di gallerie sotterranee, alcune visitabili, che permettevano alle truppe di muoversi tra le varie linee.
La simmetrica disposizione dei moduli architettonici e delle fortificazioni, insieme all’impianto urbanistico radiale con al centro la maestosa Piazza d’Armi, cuore pulsante della fortezza, rendono Palmanova perfettamente rispondente ai caratteri di città ideale teorizzati nell’ambito della cultura del Rinascimento.
L’accesso alla città, che avviene attraverso le tre porte, era pensato anche per permettere al visitatore, una volta oltrepassata la cerchia muraria, di godere immediatamente di uno scorcio profondissimo
Con un solo sguardo è infatti possibile raggiungere direttamente il cuore di Palmanova, Piazza Grande, sulla quale si affacciano i principali monumenti: il Duomo Dogale, con la sua facciata baroccheggiante, uno dei più illustri esempi dell’architettura veneta nel Friuli Venezia Giulia, il Palazzo del Provveditore Generale, altro simbolo del potere civile, oggi sede del Municipio e la Loggia della Gran Guardia, che ospitava il corpo di guardia a tutela del provveditore.
Da queste parti, un evento sicuramente degno di nota è A.D. Palma alle Armi il primo weekend di settembre. Si tratta della rievocazione storica italiana con il più alto numero di partecipanti in abito storico. Un fine settimana durante il quale va in scena la storia della fortezza, tra picchieri, moschettieri, soldati e popolo, nei giorni febbrili che ricordano le Guerre Gradiscane contro gli Asburgo.
Di grande rilevanza anche l’Unesco Cities Marathon, l’unica maratona al mondo che collega tre siti appartenenti al Patrimonio Mondiale dell’Unesco: Cividale del Friuli, antica capitale longobarda, Palmanova, città fortezza a stella a nove punte e Aquileia, centro dalle importanti vestigia romane, che distano esattamente 42,195 chilometri, la lunghezza classica della maratona.
Restando sempre nella provincia di Udine ecco Strassoldo.
Frazione di Cervignano del Friuli che presenta subito i due castelli posti su un’isola, circondata dal fiume Taglio e dalle sue derivazioni, e che preservano all’interno mobili antichi, quadri e cimeli familiari, mentre i loro parchi di risorgiva sono tra i più suggestivi del Friuli.
Questi furono creati nel Settecento con il prosciugamento delle paludi circostanti, che fino a quel momento servivano da elemento di difesa. Il parco del Castello di Sopra racchiude aiuole ricche di rose cinesi, antiche e inglesi e rare essenze rare, un gazebo di palme, una orangerie, pozzi e alberi secolari.
Il parco del Castello di Sotto, invece, si fonde con la campagna e il bosco circostanti, e l’acqua di fontane, pozzi, laghetti e peschiere costituisce una naturale quinta scenica alle statue e alle specie rare. I castelli sono di proprietà privata e non sempre visitabili. Aprono al pubblico, in date variabili, per alcuni eventi tra cui Castelli Aperti, In Primavera: Fiori, Acque e Castelli e In Autunno: Frutti, Acque e Castelli, quando si possono ammirare decorazioni scenografiche e prodotti artigianali.
Un altro luogo da non perdere è Villa Vitas, costruita dal ramo dei conti Strassoldo – Chiasottis verso la fine del Seicento, da visitare in abbinamento ad una degustazione dei vini della tenuta, dato che Strassoldo è anche il nome di un vino prodotto da Villa Vitas, dove la superficie vitata è stata riorganizzata secondo sistemi di moderna concezione.
Continuando a scoprire il territorio di Udine si arriva a Clauiano, frazione di Trivignano Udinese un borgo rurale che rappresenta l’eleganza della semplicità e il fascino di un ambiente di altri tempi.
Una località che mantiene nel suo insieme una precisa identità, dove a parlare sono ancora piéris e clàps le pietre e i sassi, il decoro e l’ambizione dei portali e gli ambienti della vita contadina, il fogolâr, e il foledôr, il granaio, e le molte e piccole tracce lasciate dalla storia, non quella delle grandi architetture e dei grandi eventi, ma quella dettata dalle impellenti necessità della vita quotidiana.
Gli edifici religiosi sono due. Poco fuori del borgo, appartata, sorge la chiesa di San Marco, di origini trecentesche, ma ampiamente rimaneggiata nel XVI secolo che presenta tracce di affreschi della prima metà del XV secolo.
La chiesa di San Giorgio, invece, nell’aspetto attuale risale al XVIII secolo, ma l’origine è più antica. A pianta longitudinale, è composta di un’aula rettangolare e abside poligonale con notevole fonte battesimale cinquecentesco attribuito a Pietro da Carona.
Soprattutto intorno alla chiesa sono localizzati gli edifici più antichi che risalgono al XV secolo e vanno a formare il nucleo storico di Clauiano. Più numerose sono le costruzioni del XVII e XVIII secolo, la cui tipologia è essenzialmente quella della tipica casa friulana: il fronte principale sulla strada, uno splendido portale in pietra e la corte interna.
Ogni casa ha la sua storia, che è bello conoscere visitandola. Gli elementi decorativi di pregio sono il tipico focolare con cappa e camino dalle forme venete, il colonnato della loggia, la colonna in pietra che sorregge il portico davanti alla stalla, i caminetti del granaio con cui si riscaldavano gli ambienti dove erano allevati i bachi da seta.
Casa Gardellini, del XV secolo, considerata la più vecchia del borgo, conserva sulla facciata una decorazione bianca e rossa con motivi a losanga. Villa Ariis rappresenta un tipico complesso padronale di ambito veneto-friulano del XVIII secolo, composto dall’abitazione, dai rustici annessi e da un grande orto cintato da una muraglia merlata con due colonne in pietra.
Villa Manin è una pregevole dimora nobiliare settecentesca della pianura friulana. Appartenuta a uno dei più importanti casati della Serenissima, era un grande centro produttivo, come rivelano i fabbricati che dovevano servire all’attività agricola, tra i quali il foledôr, l’enorme tinaia a lato dell’abitazione padronale.
A Clauiano si va anche per cantine, a degustare i vini bianchi e rossi con il marchio Doc “Friuli Aquileia” mentre tra gli eventi spiccano Pensieri e Sapori, tra aprile e maggio, in cui avviene la presentazione di opere di scrittori di origine friulana, incontri con gli autori e degustazione di vini e prodotti tipici del territorio e Immaginare il tempo.
Quest’ultimo è un concorso artistico, finalizzato alla selezione di 12 immagini che andranno a comporre il calendario dell’anno successivo, è riservato ai giovani artisti. La selezione delle illustrazioni si svolge nel borgo durante l’ultimo fine settimana di settembre e durante questa occasione le antiche case rimangono aperte ed ospitano degustazioni, spettacoli teatrali e musicali, esposizioni artistiche ed artigianato.
Fagagna invece è un luogo che rimane nel cuore, con le sue osterie, i due castelli e le chiese.
Un paese vivo, dalle grandi potenzialità, che in realtà è costituito da sette antiche e distinte borgate che lo sviluppo edilizio degli ultimi decenni ha compattato in un unico centro abitato.
Partendo dal Palazzo Municipale, si può salire al colle del castello attraverso una vecchia strada selciata, via Cecconaia. In cima si trovano il Palazzo della Comunità, sede amministrativa e giudiziaria della Comunità di Fagagna dagli inizi del XVI secolo al 1797, e i ruderi del castello, la cui parte più antica risale all’XI secolo.
Merita una visita il Castello di Villalta, anche solo dall’esterno perché è proprietà privata, che si erge in mezzo alla campagna con la sua torre e le mura merlate almeno dal 1216, quando compare per la prima volta nelle cronache come feudo della nobile famiglia dei Villalta.
Imboccando poi un’altra strada selciata, via Salizzada, si arriva alla Pieve di Santa Maria Assunta, costruita su preesistenze paleocristiane nel XIII secolo e con il suo campanile che timidamente appare dietro il colle del castello che ha vegliato per secoli sulle vicende del borgo.
Dalla Pieve si incontra una casa-forte del XIV secolo e si giunge infine al Museo della vita contadina, ospitato in Cjase Cocèl, una tipica dimora friulana di campagna del XVII secolo. Qui è d’obbligo una lunga sosta perché si tratta del museo più vivo, vero e completo della civiltà rurale in Italia.
Sono stati ricreati tutti gli ambienti della memoria friulana, dalla cucina con il fogolâr alla camera da letto al granaio. Colpiscono gli odori: di stalla per la presenza degli animali, di mosto perché si fa il vino, di carbone nella fucina, il profumo del pane nel forno e della farina nel mulino. Vi sono le merlettaie, la filatrice, il mugnaio, il fabbro e un bicchiere di vino che attende il visitatore all’osteria
In questo museo, a gennaio, ha luogo la Festa del Norcino, giornata dedicata alla valorizzazione dei prodotti tipici della norcineria friulana e dei loro artefici. Poi a metà luglio, nel cortile di Cjase Cocèl, si rianima la vecchia trebbiatrice per rivivere la trebbiatura della segale e del frumento nella Giornata della Trebbiatura. A novembre, invece, ecco la Festa della Zucca, dedicata ai bambini che intagliano maschere stravaganti e che vuole ricordare anche le generose zucche del luogo
Ma un altro evento importante è anche la Corsa degli Asini, la prima domenica di settembre. La manifestazione più nota del Comune è nata nel 1891. Un tempo compagno di fatica dell’uomo nei lavori campestri, l’asino torna protagonista in una delle rare feste che ormai gli sono dedicate.
La corsa si svolge nella piazza del capoluogo. La domenica seguente, il Palio dei Borghi assegna lo stendardo all’asino che ha vinto la gara, dopo una rappresentazione teatrale che vede impegnati i borghi Centro, Paludo, Riolo e Piç.
Fagagna dista pochi chilometri da San Daniele dove l’aria che scende dalle Alpi Carniche incontra quella che sale dall’Adriatico e beneficia i gustosi prosciutti. Trionfano, dunque, i salumi e le ricette tradizionali del maiale come brovada e muset, ovvero rape bianche inacidite e cotechino, verze e salsicce e il pestât , lardo con verdure e aromi, che accompagna il brasato o la minestra di fagioli.
Un altro prodotto gastronomico è il celebre formaggio di Fagagna, erede della tradizione delle latterie turnarie. La latteria sociale di Fagagna è stata, nel 1885, tra le prime strutture cooperative del Friuli. Oggi sono due i caseifici che continuano ad assicurare la qualità di un formaggio prodotto solo con latte crudo, non pastorizzato, dal gusto inconfondibile grazie alle erbe presenti nel fieno dei prati intorno a Fagagna.
Si prosegue per Venzone un borgo caratterizzato da un’interessante doppia cerchia di mura del XIII secolo.
Un ampio fossato circonda la prima cinta di mura che forma un terrapieno su cui è costruita la seconda, intercalata da torri a sezione rettangolare.
Appena fuori dalla cittadina fortificata è possibile godersi il panorama esplorando i sentieri del Parco naturale delle Prealpi Giulie o passeggiando attraverso l’antico sentiero celtico che collega le quattrocentesche chiesette che contornano il paese in un ambiente unico e accogliente.
Entrando nel borgo dalla Porta di sotto, invece, si trova immediatamente Casa Marcurele l’edificio più antico edificato nel XI secolo in stile romanico con bifore in bassorilievo. Successivamente, procedendo verso nord, ecco il trecentesco Palazzo degli Scaligeri e il Palazzo Zinutti, edificio duecentesco con elegante ballatoio con parapetto in ferro battuto e portone barocco.
Il Duomo romanico-gotico del ‘300 non può essere tralasciato in quanto è considerato il monumento della restaurazione post terremoto. Consacrato nel 1338 dal patriarca di Aquileia Bertrando ha la pianta a croce a T, composta da una navata longitudinale e da un ampio transetto.
Nel sagrato anteriore del Duomo si trova la Cappella di San Michele costruita nel 1200, attuale sede delle Mummie di Venzone. La loro storia risale al 1647, quando venne alla luce la mummia del “gobbo”, la prima di una quarantina estratte dalle tombe del Duomo.
Tutte le altre risalgono al XVIII e XIX secolo. Nel 1845 dalla Cripta furono traslate nella Cappella superiore. Dai ruderi della Rotonda di San Michele, crollata per il terremoto del 6 maggio 1976, dei 21 corpi mummificati ne furono estratti 15 sostanzialmente integri. Attualmente le mummie visibili sono 5, esposte nuovamente nella Cripta della Cappella cimiteriale di San Michele.
La mummificazione naturale delle salme qui esposte si deve a particolari condizioni ambientali che si sono verificate in alcune tombe nelle quali si sviluppa l’Hypha bombicina Pers., una muffa che ha la proprietà di disidratare i tessuti inibendone la decomposizione.
Un altro sito interessante è Palazzo Orgnani-Martina dove ha luogo la Mostra permanente Tiere Motus. Storia di un terremoto e della sua gente che guida il visitatore lungo le tappe significative del percorso iniziato il 6 maggio 1976 che ha portato il Friuli ad essere quello di oggi.
L’insolito titolo coniuga le espressioni di due lingue nobili e antiche proprie della storia di queste terre: il friulano Tiere (Terra) e il latino Motus (Moto). Tiere come significato di identità, di profonde emozioni e di un alto senso di appartenenza alla terra e alla cultura friulane. Motus come intenso richiamo alle origini ed alla storia madre, ma soprattutto alla forza di un popolo di superare due millenni di vicende umane e di eventi naturali ostili.
L’Orcolat, la terrificante creatura che nella tradizione popolare impersona il terremoto, si ridesta grazie a tecniche di realtà virtuale. Le sale espositive del primo piano riportano, con un ordine inizialmente cronologico e poi tematico, i momenti cruciali dal terremoto alla ricostruzione.
Si conclude con una sala dedicata alla memoria in un viaggio multimediale nella grande quantità di documenti (audio, video, testi, immagini) prodotti al tempo del terremoto e che si arricchisce giorno per giorno.
Continuando a camminare attraverso il centro storico di Venzone ci si imbatte in Casa Calderari, XIV secolo e si arriva in Piazza Municipio, dove emerge il Palazzo Comunale, edificio gotico costruito ai primi del 1400, restaurato ai primi del 1500 e dotato della torre dell’orologio, le cui facciate esterne sono decorate con una serie di stemmi delle più antiche nobili famiglie venzonesi
La cittadina di Venzone ospita ogni anno diverse sagre e manifestazioni popolari, spettacoli teatrali ed eventi sportivi e culturali. Tra questi va ricordato Venzone ti aspetta! Una rassegna di spettacoli e concerti che hanno luogo tra giugno e agosto, mentre a dicembre si svolge l’Antica Sagra di Santa Lucia e Sapori a Venzone con li Tripis dal Turo, piatto tradizionale della manifestazione. In tale occasione tutti i locali preparano le trippe già dal primo mattino
Un’altra specialità tipica di Venzone è il formaggio, caratterizzato da una produzione casearia molto varia che ne offre diverse tipologie. Tra i più freschi spiccano le caciotte semplici od aromatizzate, il tenero caseretta e la ricotta fresca. Più stagionati e tradizionali sono invece i classici Montasio e Latteria Venzone, a cui si aggiungono delle vere e proprie particolarità, come i Sot la Trape di Refosco o di Verduzzo, formaggi affinati nella vinaccia ed invecchiati oltre diciotto mesi ed il Vençionut, con aromi erbacei per l’aggiunta di petali di fiori di calendula.
Proseguendo il viaggio tra i borghi friulani si arriva a Sappada un paese nato dal legno e con un’architettura tradizionale molto ben conservata.
Si tratta della cosiddetta struttura “a Blockbau”, tipica della cultura tedesca, con case quasi interamente di legno, a travi orizzontali incastrate agli spigoli e poggianti su un basamento in pietra.
A questa tipologia corrispondono molte abitazioni anche quelle di più recente costruzione o restaurate nelle borgate Mühlbach, dove ha sede il Museo Etnografico, Cretta, con la Casa-museo della Civiltà Contadina, e Cima Sappada. Quest’ultima si trova a quasi 1300 metri di quota in posizione panoramica sulla valle e conserva una Blockhaus di fine Settecento perfettamente mantenuta.
Tra le borgate, Cima Sappada è quella che presenta il maggior numero di sopravvivenze architettoniche del Sei e Settecento, tra cui una casa padronale in muratura e la chiesetta di Sant’Osvaldo con portico aperto ai lati come negli edifici religiosi della Carnia.
Tutte le borgate, inoltre, sono disseminate di chiesette, crocifissi, opere pittoriche e segni sacri, così come di fontane, ogni frazione ha la sua, e di piccole cappelle, la più antica delle quali è in borgata Bach, mentre in borgata Granvilla è da vedere la chiesa parrocchiale di impronta barocca settecentesca, con una pala d’altare del 1802 di Joseph Renzler.
Le baite e rifugi del borgo propongono tutti la tipica cucina sappadina che, d’impronta germanica, predilige il burro fuso e i salumi e i formaggi affumicati prevalgono su quelli conservati col sale. In più, abbinata alla polenta, la ricotta acida insaporita con erbe aromatiche è presente in molti piatti della tradizione, anche come ripieno nei ravioli “pizzicati”.
Il Carnevale è l’appuntamento più atteso dell’inverno e si svolge in più tappe: la Domenica dei Poveri, la Domenica dei Contadini e quella dei Signori. Il mascheramento è totale e nessuno scopre il volto durante la festa. La maschera guida è il Rollate, un personaggio imponente, vestito con un pellicciotto di montone scuro e con pantaloni a righe orizzontali ricavati dalla tela che serviva a coprire gli armenti in inverno.
Spostandosi nella zona di Pordenone si visita Poffabro, frazione di Frisanco.
Qui la fantasiosa architettura spontanea che sposa la pietra e il legno si intreccia con le voci del bosco e il mormorio delle acque, costituendo il fascino del borgo.
Poffabro è un’opera umana unica, incastonata nella natura intatta e silenziosa del Friuli pedemontano. Poffabro e la sua “forza magica” risiedono nell’effetto incantatore delle pietre tagliate al vivo e dei balconi di legno, elementi architettonici schietti e austeri, che danno un senso di intimità e raccoglimento nelle corti racchiuse su se stesse, a cui si accede attraverso uno stretto arco.
Nemmeno il terremoto del 1976 è riuscito a scalfire le case in pietra locale a tre o quattro piani, con i profondi ballatoi di legno a vista, caratterizzati dalle protezioni laterali sviluppate in verticale, unite tra di loro come in cerca di protezione.
Il bello del borgo sta proprio nella sua assenza di palazzi pomposi e signorili e nell’umile realtà di pilastri, scale e archi in sasso, in armonia perfetta con la natura circostante. La chiesa di San Nicolò è prima di tutto il segno di un’innegabile fede, rivendicata attraverso le dimensioni anomale rispetto a quelle degli altri edifici del paese. La fisionomia attuale della chiesa, con la sua maestosa facciata bianca, si delineò già a fine Seicento, ma fu spesso oggetto di restauri e rifacimenti, a causa delle frequenti scosse di terremoto.
Da Poffabro si diramano numerosi sentieri di montagna per passeggiate ed escursioni nei boschi che sono alla portata di tutti. Il territorio del Comune rientra in parte nel Parco Regionale delle Dolomiti Friulane, ricco di straordinari paesaggi.
Nel vicino abitato di Andreis in Val Cellina si possono ammirare i “dalz”, splendidi esempi di architettura spontanea rurale, case in sasso con i ballatoi in legno ad assi orizzontali e rivolti a sud, usati un tempo per farvi essiccare mele e pannocchie, e oggi per esibirvi i fiori della valle.
Un prodotto tipico presente nel borgo sono le scarpeti di Poffabro, pantofoline in velluto lavorate a mano dagli ultimi artigiani e che si possono osservare e acquistare durante la mostra dell’artigianato locale tutti i giorni nel periodo estivo e natalizio.
Un altro evento suggestivo è Poffabro, presepe tra i presepi che presenta nell’incantata atmosfera invernale del borgo un centinaio di composizioni sulla Natività. I presepi sbucano da finestre, cortili e ballatoi vegliati dalle grandi sagome bianche di pastori e angioletti poste sui balconi imbiancati dalla neve insieme a composizioni di fiori e frutta.
La prima domenica di settembre è tempo di Paesi Aperti, manifestazione cultural-gastronomica frutto del gemellaggio tra i comuni di Frisanco e di Andreis. Mostre di fotografia, laboratori artistici, musica tradizionale, ricostruzioni di antichi mestieri costituiscono il menu culturale, mentre quello più propriamente culinario consiste nella realizzazione di ricette come quelle della morja accompagnata da polenta, o dello scopeton, oltre alle trippe e ai dolci fatti in casa.
Quella di Poffabro è una cucina povera, ma impreziosita dalle erbe aromatiche di montagna, quella delle valli del Pordenonese. Tipico è il frico, formaggio di salamoia fritto in padella, ottimi gli insaccati e infine la pitina, tradizionale impasto di carne macinata e aromatizzata che viene conservata affumicata e può essere consumata cruda o cotta.
Un’altra piccola frazione è Toppo di Travesio poco più di 400 anime, è uno di quei posti da scoprire con calma e con fiducia, un borgo rurale, tra i meglio conservati della collina pordenonese.
Fin dal XIII secolo il borgo di Toppo si compone di due nuclei distinti, separati dal letto del rio Gleria: il primo, a oriente, s’identifica con i masi di Toppo, le attuali via Fornace e via Nazario Sauro e l’altro, a occidente, è la borgata di Pino ai piedi del castello, corrispondente alle attuali via Verdi e via Castello.
Punto di partenza per la conoscenza del territorio della media collina pordenonese compreso tra il fiume Tagliamento a est e il torrente Meduna a ovest, è il Palazzo Toppo-Wassermann. Questo, divenuto centro culturale per l’intero territorio, offre alla conoscenza di tutti il patrimonio storico e paesaggistico di questi luoghi, ospitando mostre temporanee e l’esposizione dei reperti archeologici del castello dei feudatari di Toppo.
Il Palazzo Toppo-Wassermann sorge ai piedi del castello, nella borgata di Pino, chiamata anche “dei Martins”, dal nome degli antichi proprietari del maso originario da cui si è sviluppato nel Cinquecento questo interessante esempio di dimora signorile di campagna. Rimaneggiato nel Settecento, il palazzo era sede amministrativa per gli affari della famiglia Toppo e, insieme, luogo di villeggiatura.
Dal cortile si accede alla cappella gentilizia di San Girolamo. Al suo interno due dipinti settecenteschi, l’acquasantiera longobarda risalente al Mille e la statua di Santa Lucia in pietra dipinta, attribuita a un lapicida medunese del Quattrocento.
Da palazzo Toppo Wassermann inizia il percorso dei masi che conduce alla scoperta degli originari nuclei del borgo. Nel piazzale antistante al palazzo si osserva un edificio secentesco con arco d’ingresso, un tempo residenza estiva dei Conti di Spilimbergo.
Diversi sono gli edifici in sasso di Borgo Martins, come il maso che s’incontra salendo lungo via della Colonia. Poco oltre, sulla sinistra, inizia la carrabile che porta al castello. Gli imponenti resti del castello dominano la piana e l’abitato di Toppo dalle pendici del monte Ciaurlèc, e sono visitabili con un percorso guidato.
Il maniero è uno dei più importanti esempi di architettura fortificata del Friuli del XII-XIV secolo, grazie al suo buono stato di conservazione e al fatto che non ha subito mutamenti dopo il XV secolo.
Il nucleo centrale del fortilizio, delimitato da una cerchia di mura dall’andamento poligonale, racchiudeva la possente torre-mastio di epoca feudale. Al suo interno gli scavi archeologici hanno portato alla luce l’impianto di una zecca clandestina che coniava monete false, veneziane e carinziane, nel primo trentennio del XIII secolo.
Qui, nel capoluogo, è d’obbligo la visita a uno dei più rilevanti cicli pittorici rinascimentali del Friuli, custodito nell’antica Pieve di San Pietro rinnovata nell’Ottocento in stile neoclassico. Si tratta degli affreschi di Giovanni Antonio de Sacchis detto “il Pordenone”, un artista che rivaleggiò niente meno che con Tiziano. Formatosi in ambiente veneto, il Pordenone è pittore complesso, dalle influenze molteplici che vanno da Giorgione a Michelangelo.
Un evento degno di nota da queste parti è Settembre in villa – Portoni Aperti, ad inizio settembre. Una decina di case friulane in Borgo Martins e in via della Fornace aprono le loro porte ai visitatori. Il cuore della manifestazione è il palazzo dei conti Toppo-Wassermann, intorno al quale sono allestiti i chioschi con mercatino, enoteca e prodotti tipici, tra cui risalta il formaggio salato della Val Cosa, cremoso, morbido, maturato in una particolare salamoia di acqua, sale, latte e panna, conservata in tini di larice.
Un altro borgo figlio di contadini, tagliapietre e cestai è Polcenigo che i suoi abitanti chiamano semplicemente al borc, «il borgo», in friulano occidentale.
Polcenigo è un intreccio di elementi naturali ed umani ed è attraversata e accarezzata dalle acque, siano esse i ruscelli in cui si lavavano i panni, i torrenti che scendono dalle montagne, le acque di risorgiva, o il fiume Livenza che serpeggia tra prati e boschi.
Questo territorio ricco di sorgenti e corsi d’acqua, è da scoprire poco a poco e con ritmi lenti. Molte le cose da vedere, a cominciare dal Parco rurale di San Floriano, in località San Giovanni, che si estende su una superficie di 40 ettari ed è l’unico esempio di parco naturale e rurale in Italia. Si distingue per la varietà di flora e fauna, i prati a pascolo permanente e l’allevamento di animali.
Il Livenza è l’habitat naturale della trota, che diviene la prelibatezza culinaria più rappresentativa di Polcenigo, mentre un altro prodotto tipico è il thést, il cesto in vimini o in giunco prodotto dai cestai riprendendo una tradizione locale e al quale, il primo fine settimana di settembre, è dedicata una sagra ed una mostra dei prodotti tipici e dell’artigianato.
La visita al borgo, invece, può cominciare dal castello che sorge in cima a una collina da cui domina l’intera vallata. Come posto di avvistamento, tradizione vuole che sia stato assegnato nell’ 875 da Carlo il Calvo a un suo luogotenente.
Come castello, per quattro secoli resistette a guerre e invasioni. Distrutto da un incendio, fu ricostruito tra il 1738 e il 1770 come villa veneta dall’architetto veneziano Matteo Lucchesi e fu connesso al borgo di sotto tramite una scalinata di 365 gradini in pietra.
La piazza è dominata da Palazzo Fullini, una delle dimore signorili cinque – secentesche che impreziosiscono Polcenigo, che apparteneva alla famiglia Fullini che nel Seicento acquistò il titolo di conte dalla Repubblica di Venezia.
Proseguendo lungo via Gorgazzo si trova Palazzo Scolari-Salice, una dimora gentilizia del XVI secolo ristrutturata nel rispetto dell’originaria tipologia. Il bel giardino ottocentesco all’italiana del palazzo è addossato alla collina e vi si accede mediante un ponte che attraversa un torrente.
Situata tra il borgo e il castello, la chiesa di San Giacomo in origine era la chiesa di uno dei primi conventi francescani del Friuli, già esistente nel 1262. Al suo interno convivono elementi di varie epoche, come il portale cinquecentesco, l’armonioso interno settecentesco e affreschi trecenteschi.
Le forme attuali della chiesa di San Lorenzo, di fondazione duecentesca, risalgono in buona parte a lavori di restauro compiuti tra il 1890 e il 1908. L’interno, a navata unica, ospita un tabernacolo e un altare del portogruarese Giovanni Battista Bettini del XVIII secolo e una pala seicentesca della Trinità di Tiziano Vecellio detto il “Tizianello”, discendente dell’omonimo pittore cadorino.
Un piccolo mondo antico si può ammirare a Valvasone Arzene.
Sorto a ridosso di un guado del Tagliamento, ha conservato la sua anima rurale cresciuta intorno al castello e racchiusa nelle dimore urbane cinquecentesche, nel Borgo delle Oche e nelle chiesette di campagna.
La visita al borgo inizia dal Palazzo Comunale, costruzione signorile d’aspetto settecentesco che si affaccia sulla piazza Mercato inglobando precedenti strutture medievali. Di fronte, Palazzo Martinuzzi-Dulio non nasconde la sua impronta rinascimentale veneziana sotto la ristrutturazione del 1846. Tornando indietro, il signorile Palazzo Fortuni mostra la sua scenografica facciata secentesca posta di fronte alla chiesa dei Santi Pietro e Paolo, di cui si ha notizia dal 1355, quando accanto esisteva un ospedale per i viandanti. Consacrata nel 1497, la nuova chiesa conserva gli affreschi di Pietro da Vicenza che in parte ricoprono più antiche pitture a fresco trecentesche
Proseguendo si arriva all’ex convento dei Domenicani, uno dei luoghi di più antica memoria di Valvasone: alla chiesa, terminata intorno al 1355, fu affiancato un convento consacrato nel 1500 dopo il saccheggio dei turchi.
Poi il Duomo, voluto dai cittadini e dai notabili di Valvasone nel 1449 e consacrato solo nel 1484, presenta una facciata neogotica di fine Ottocento, che nasconde all’interno tesori delle età più antiche, soprattutto l’organo ancora funzionante di Vincenzo de Columbis, una delle più belle opere d’arte dell’intero Friuli.
L’unico organo del Cinquecento veneziano ancora esistente in Italia, i cui meravigliosi timbri risuonano principalmente in primavera durante Concerti d’Organo, la rassegna organistica che ha luogo nel Duomo di Valvasone.
Si può quindi entrare nel castello, un vasto complesso che domina con la sua mole la piazza del borgo, che appare il frutto di stratificazioni successive. In un salone al piano terra decorato con fregi cinquecenteschi si trova un delizioso teatrino del Settecento, mentre è possibile uscire dalla piazza attraverso la torre portaia e raggiungere il Borgo Alpi chiamato anche Borgo delle Oche per la sua vocazione agricola.
Durante la seconda settimana di settembre il borgo è palcoscenico di Medioevo a Valvasone, una rievocazione storica in costume contornata da cene fiabesche, degustazioni nelle taverne e creazioni degli artigiani, i quali utilizzano l’evento per mostrare i loro lavori.
Al confine col Veneto, nella bassa pianura friulana, si incontra Sesto al Reghena dove campi coltivati lungo l’antica strada romana annunciano la terra degli abati, ricca di verde e di acque.
Verso la metà dell’VIII secolo, nell’ultima fase dell’età longobarda, tre fratelli fondarono l’abbazia benedettina di Santa Maria di Sesto, che dalle rive del Reghena avrebbe diffuso potere, spiritualità e arte.
La torre campanaria segnala all’orizzonte la presenza dell’abbazia, una delle più importanti istituzioni monastiche del Friuli. Vi si accede passando sotto la rinascimentale torre Grimani, una delle sette che difendevano le mura dove fino al Settecento vi era il ponte levatoio.
L’edificio in mattoni a sinistra è l’antica cancelleria abbaziale, sede della giurisdizione civile dalla fine del XI secolo. A destra la residenza degli abati, oggi sede municipale, è una costruzione rinascimentale sulla cui facciata si conservano gli stemmi affrescati di cinque abati commendatari.
Sul lato est di Piazza Castello, il Palazzo degli Abati forma un prospetto continuo con una loggetta a due piani e con il portico d’accesso al vestibolo della chiesa di Santa Maria. Si passa quindi all’atrio romanico, diviso in tre navate da pilastri quadrangolari di mattoni, che conserva un notevole lapidario che va dall’epoca romana all’età moderna.
L’interno della chiesa abbaziale presenta un notevole apparato di pitture a fresco in cui spiccano quelle della zona presbiteriale, eseguite intorno al secondo e terzo decennio del XIV secolo da pittori padovani della scuola di Giotto.
Nella cripta situata sotto il presbiterio, ricostruita nel 1914 e scandita da volte a crociera impostate su colonne marmoree si conservano gli altri tesori dell’abbazia. Uno è la quattrocentesca Pietà, o Vesperbild, scultura devozionale di provenienza germanica in pietra arenaria verniciata a olio che concentra su di sé tutto il dolore del mondo, con gli occhi della Madonna persi nel vuoto, invecchiata sotto il suo velo bianco.
L’altro, sempre nella cripta dell’abbazia, è uno dei pezzi pregiati dell’arte longobarda dell’VIII secolo, l’urna di Sant’Anastasia, nel cui marmo è rappresentato il mistero della croce fiorita intorno alla quale scoppia la vita, simboleggiata dalle stilizzazioni tipiche longobarde.
Specchi d’acqua, polmoni di verde, rinaturalizzazioni e opere dell’antica civiltà agraria caratterizzano i dintorni. I 13 ettari dei Prati Burovich sono una rara testimonianza delle sistemazioni agrarie rurali che interessarono la pianura veneto-friulana fra XVIII e XIX secolo con prati stabili ricchi di essenze arboree e floreali autoctone.
Sexto ‘Nplugged, è la manifestazione estiva più importante del borgo. Ambientata nel complesso abbaziale, l’evento musicale percorre strade alternative, ma non contrapposte, rispetto al posto in cui si svolge. Artisti d’avanguardia e internazionali adattano il loro repertorio al luogo, che amplifica le emozioni verso il pubblico che ascolta.
Il viaggio tra i borghi friulani si conclude a Cordovado
Un paesaggio di quiete agreste, in cui si espandono delle attività e delle costruzioni che non hanno deturpato la serena bellezza del centro storico
Tra il Tagliamento e il Livenza, c’è questo piccolo angolo di pianura friulana che non rinnega la sua storia, che insegue le belle acque correnti, i profumi e i colori di una campagna ottocentesca disseminata di casali e borghi e coperta di vigneti.
La Cordovado medievale si concentra dunque nell’area castellana, al cui interno trovano spazio alcune interessanti costruzioni come l’antica Casa del Capitano, l’elegante Palazzo Agricola dalle forme rinascimentali con ampie arcate e trifora, ed infine Palazzo Freschi Piccolomini, che sorse a fianco dell’antico castello con facciata caratterizzata da un ampio portone d’ingresso
Palazzo Beccaris Nonis, invece, spicca nel “borgo nuovo”, con la mole imponente cinquecentesca designato dal nome delle due famiglie che lo vollero e che poi lo abitarono. Palazzo Cecchini, oggi sede della Biblioteca, è lascito dell’ingegnere ferroviario e filantropo Francesco Cecchini, che alla comunità ha conferito anche l’immobile oggi utilizzato come scuola materna.
Il Duomo di Sant’Andrea è l’antica pieve concordiese che fu profondamente rimaneggiata o rifatta nel tardo Quattrocento. Originariamente ad aula unica, nel Seicento le furono addossate in maniera armonica due navate. L’interno contiene ancora molte parti e suppellettili in legno che rendono l’atmosfera della parrocchiale di campagna degli ultimi secoli.
A Cordovado fa riferimento il primo “Parco letterario” dedicato allo scrittore Ippolito Nievo, autore delle Confessioni di un italiano, opera fondamentale del Risorgimento che segna il passaggio dal romanzo storico al romanzo sociale, e che il pronipote dello scrittore ha istituito in diverse località del Paese.
Le suggestioni letterarie offrono lo spunto per andare alla ricerca dei luoghi dell’entroterra friulano che hanno ispirato Nievo, dalla Fontana di Venchieredo, a un miglio da Cordovado, ai Mulini di Stalis, dal vecchio Duomo al Castello. Tutti luoghi scelti dall’autore per ambientarvi le vicende d’amore di Leopardo e Doretta, Lucilio e Clara o quelle più romanzesche dello Spaccafumo e di Bruto Provedoni.
E proprio lo Spaccafumo è il nome che ha preso il dolce artigianale che Cordovado ripropone da alcuni anni, fatto con fichi secchi, uvetta, nocciole, pinoli, mandorle e miele. Il piatto forte di Cordovado, invece, è il lengal, la lingua di maiale insaccata con la carne di cotechino, che viene consumata, insieme con le patate e i fagioli, nella antica sagra della frazione Suzzolins.
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