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Allergia al latte: come riconoscerla e come trattarla

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Oggi un convegno all’Auditorium San Paolo con esperti e ricercatori allo studio di un latte speciale per bambini allergici alla bevanda

 

Nessun mammifero consuma il latte dopo lo svezzamento e forse non è un caso. Crescendo, il latte non viene più digerito: in alcune etnie, come quelle originarie dell’Africa, fino al 100% delle persone è incapace di digerire il lattosio. Viceversa, in Finlandia e tra le popolazioni ugrofinniche la tolleranza è del 90%. Tra chi è allergico al latte spiccano i bambini. Secondo gli ultimi studi internazionali, la percentuale oscilla tra l’1,9 ed il 2,5%.

Di questo si parlerà oggi, 29 ottobre 2013, all’Auditorium del Bambino Gesù sede di San Paolo Fuori Le Mura (Viale Ferdinando Baldelli, 38 – Roma), a partire dalle ore 9:00, insieme a esperti e ricercatori italiani nel corso del convegno ‘L’allergia alle proteine del latte vaccino’. Si tratta del secondo appuntamento di un ciclo, promosso dall’Ospedale Pediatrico romano, dedicato alle varie allergie dei bambini.

La frequenza dell’allergia al latte non è la stessa in tutta Europa: più alta nelle aree settentrionali, più bassa in quelle meridionali (dati Europrevall). In cambio l’allergia alla carne è più frequente al sud Europa che al nord.

In Italia la percentuale di bambini allergici al latte, rispetto al dato internazionale, è più bassa ed è pari allo 0,8%. L’allergia a questo alimento guarisce, ma affinché possa risolversi – sottolineano gli esperti – è necessario trattarla nel modo giusto. E trattarla bene significa far soffrire meno i bambini per due motivi: chi segue una dieta senza latte può andare incontro a gravi carenze nutrizionali; chi guarisce più rapidamente avrà meno possibilità di sviluppare asma.

Le tappe per gestire l’allergia al latte sono tre: sospettarla, diagnosticarla, proporre una dieta adeguata. Ma non dovunque questo avviene nello stesso modo: negli Stati Uniti d’America, ad esempio, ci sono bambini che vengono curati per anni per allergia al latte senza avere seguito un appropriato iter diagnostico. In Italia sono pochi i centri che seguono un iter completo ed i test non sempre vengono eseguiti alla stessa maniera.

E se negli USA si utilizza il latte di soia come sostituto, in Europa si ricorre principalmente agli idrolisati di latte. In Italia va per la maggiore l’idrolisato di riso; in Arabia il latte di cammella. Insomma, Paese che vai atteggiamento che trovi.

Per dare un indirizzo comune, l’Organizzazione Mondiale dell’Allergia (WAO) ha preso l’iniziativa di linee-guida globali sull’allergia al latte: in uso da 2 anni, già si prevede la data della loro revisione, il 2015.

Nel frattempo, le evidenze si accumulano e gruppi di ricercatori – attivi anche a Roma – sono all’opera per fornire le migliori opportunità a questi bambini. Ad esempio, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e Università La Sapienza stanno sperimentando una nuova formula idrolisata di proteine del latte che potrebbe offrire sensibili vantaggi. Sarà questo uno degli argomenti sul quale domani, nel corso del convegno all’Auditorium San Paolo, si confronteranno i ricercatori italiani, tra i più attivi al mondo.

Molte le questioni che verranno approfondite: la mancanza di studi epidemiologici di confronto tra Paese e Paese che misurino la dimensione effettiva del problema; i vari sostituti del latte, differenti per tollerabilità, palatabilità, costo, influenza sulla durata della malattia; i metodi più adeguati per la diagnosi e per il trattamento dell’allergia al latte vaccino.

“Non ci si può affidare a metodiche alternative per la diagnosi: solo il dosaggio delle IgE specifiche, il test cutaneo e soprattutto il test da carico sono in grado di smascherare una allergia al latte” sottolinea Alessandro Fiocchi, responsabile di Allergologia del Bambino Gesù.

“L’allergia al latte non deve essere sospettata solo davanti a reazioni gravi – prosegue – ma anche quando un bambino ha diarrea frequente, eczema, scarsa crescita e/o asma persistente. Inoltre, quando si elimina il latte dalla dieta è necessario togliere anche i formaggi, i dolci e i gelati; ma non è necessario togliere gli alimenti che contengono lattosio perché non è una proteina ma uno zucchero”.

 

“La malattia non è banale – conclude Fiocchi -. Deve essere affidata agli specialisti e non alla gestione della mamma che, lasciata da sola, può soltanto fare tentativi e imparare dagli errori. Gli specialisti si coordineranno col pediatra di libera scelta per trovare la via terapeutica migliore, bambino per bambino”. com

 

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