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Plant by Design: frutta coltivata in laboratorio

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Gli obiettivi sono quelli di ridurre le emissioni e lo spreco alimentare

Plant by Design è un programma quinquennale che sarà portato avanti da un gruppo di ricerca del Plant & Food Research in Nuova Zelanda, che ha voluto sfruttare le tecnologie già impiegate per produrre la carne coltivata in laboratorio, ma adattandole alle esigenze della frutta.

La produzione alimentare sostenibile è diventata una priorità globale a causa dell’espansione della popolazione mondiale e dell’urgente necessità di ridurre l’impatto ambientale dell’agricoltura tradizionale.

Questa tecnologia utilizza tecniche avanzate di coltivazione cellulare e ingegneria genetica per produrre frutta di alta qualità in un ambiente controllato, presentando numerosi vantaggi rispetto all’agricoltura tradizionale:

  1. Riduzione dell’impatto ambientale

La coltivazione di frutta in laboratorio riduce notevolmente l’uso di terra, acqua e pesticidi rispetto alle coltivazioni all’aperto. Non è necessario disboscamento per creare terreni agricoli, e i bisogni idrici sono significativamente inferiori. Inoltre, la tecnologia riduce la necessità di utilizzare pesticidi chimici, poiché l’ambiente controllato può essere mantenuto sterile.

  1. Produzione fuori stagione

Con la produzione in laboratorio la frutta può essere coltivata in qualsiasi momento dell’anno, indipendentemente dalle condizioni climatiche esterne. Questo permette di ottenere frutta fresca in qualsiasi momento, riducendo la dipendenza dalle importazioni stagionali e contribuendo a ridurre la migrazione di prodotti in tutto il mondo.

  1. Personalizzazione del gusto

La tecnologia consente anche la personalizzazione delle caratteristiche della frutta, come il suo sapore e il suo valore nutrizionale. È possibile adattare il prodotto alle preferenze dei consumatori e alle esigenze dietetiche, aprendo la strada a una vasta gamma di opzioni innovative.

  1. Riduzione dello spreco alimentare

L’obiettivo è quello di creare frutta priva delle parti che solitamente vengono buttate via, come i torsoli o le scorze, contribuendo anche in questo modo a ridurre gli sprechi alimentari.

 

Le prime sperimentazioni sono state effettuate su pesche, mele, ciliegie, uva e nettarine.

Luna Riillo

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