I jeans con cotone a basso impatto. Da oggi si puo’
Per produrre un paio di jeans c’è bisogno di una media di 3.550 litri di acqua, dalla coltura del cotono fino alla produzione vera e propria del capo di abbigliamento più famoso al mondo. Da qualche anno è nata un’associazione nel mondo per una produzione sostenibile del jeans
Abbiamo imparato ad alimentarci in modo sano, facciamo attenzione che i prodotti per la pulizia della persona e della casa limitino i danni a noi ed all’ambiente. Forse ci siamo anche orientati verso un abbigliamento che anche se “tecnologico” sia comunque attento verso consumatore ed ambiente. Ma se pensiamo che anche i capi d’abbigliamento realizzati con materie prime di origine naturale possono, in grandi quantità, pesare sull’ecosistema, ci interesserà sapere che il jeans, tessuto resistente ed intramontabile, ha il suo bell’impatto sulla natura.
Si è calcolato che un paio di jeans sia responsabile di un consumo medio di 3.500 litri d’acqua dal momento in cui viene piantato il seme del cotone con cui è prodotto fino alla fine della sua vita. La materia prima per essere coltivata dalle oltre 300 milioni di persone nel mondo, ha bisogno del 4% dell’acqua che il mondo intero consuma in un anno e di una quantità di pesticidi pari al 6% di quelli impiegati in agricoltura a livello globale.
A porre l’attenzione sulla questione è il Better Cotton Initiative, un programma che diffonde una cultura globale sulla coltivazione del cotone, soprattutto verso i Paesi e le popolazioni che lo producono. Ad oggi il progetto Better Cotton aiuta a migliorare lo sviluppo agricolo, il benessere delle comunità che lo coltivano e l’impatto della coltivazione stessa sull’ambiente. Il progetto ha preso le prime mosse nel 2005 per poi partire in modo operativo nel 2010 in India, Pakistan e Mali. Nel 2011 il progetto è arrivato in Brasile e promette di fare strada infondendo una differente mentalità nella logica produttiva e distributiva a livello mondiale.
In sostanza il progetto intende definire degli standard internazionali, supportare i produttori con tecniche e partner adeguati, aumentare la cultura stagionale della produzione, sviluppare una filiera organizzata mettendola in connessione con un mercato che ne apprezzi i benefici, monitorare i progressi effettivi su ambiente umano ed ecosistema, favorire cultura e pratica sostenibile. I membri della BCI possono così vedere anche garantita la comunicazione del proprio prodotto verso il consumatore finale attraverso loghi ed etichette. Starà poi a noi consumatori una volta ancora acquistare con coscienza.
(Vincenzo Nizza)
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