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L’impatto ambientale dell’industria della moda

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Abbiamo bisogno di un nuovo approccio per fare e comprare vestiti perché l’attuale sistema dell’industria della moda è insostenibile

Rivedere il nostro approccio ai vestiti dovrebbe essere una priorità assoluta, secondo un nuovo report, pubblicato sulla rivista Nature Reviews Earth & Environment, che ci offre una panoramica degli impatti ambientali dell’industria della moda.

Lo scopo è di esortare le aziende, i governi e i consumatori a riesaminare il modello attuale di fare affari.

E ad abbracciare alternative come produzione, rivendita, riparazione e riciclaggio più lenti e di qualità superiore, nonché processi di produzione più sicuri.

Anche se il numero è stato molto discusso, il gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC) afferma che l’industria della moda è responsabile del 10% delle emissioni globali di gas serra.

Secondo gli autori dello studio, è seconda in questo solo al settore dell’aviazione.

I vestiti sono prodotti da una lunga e complessa catena di fornitura che inizia con l’agricoltura. Prosegue con la produzione petrolchimica (per le fibre sintetiche), la lavorazione chimica dei tessuti e la produzione di capi di abbigliamento e termina con la consegna ai negozi e alle successive vendite.

Coinvolge circa 300 milioni di persone lungo la strada, dagli agricoltori agli addetti all’abbigliamento, fino al personale della vendita al dettaglio.

La quantità di risorse consumate è enorme. Sono necessarie in media 200 tonnellate di acqua per produrre una tonnellata di tessuto. Il cotone è il raccolto più piccolo, che richiede il 95% dell’acqua utilizzata per l’irrigazione delle colture tessili. Ciò ha comportato carenze idriche in molti paesi.

Gran parte dell’acqua sporca utilizzata nella lavorazione tessile viene scaricata negli stessi corsi d’acqua che forniscono cibo e sostentamento a molti locali.

Inoltre è un’industria ad alta intensità chimica. Usa pesantemente pesticidi e altri prodotti chimici, ed emette moltissimo con le sue catene di approvvigionamento, produzione e trasporto.

Gli autori spiegano che «sia i processi di produzione che gli atteggiamenti di consumo devono essere modificati», creando nuovi paradigmi e facendo nuove scelte, se non vogliamo che la distruzione del pianeta dipenda (anche) dai nostri armadi strapieni di vestiti.

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