L’autodifesa di Lombardo, ‘Ho sempre combattuto i boss mafiosi’
Catania, 16 mar. (Adnkronos) – (dall’inviata Elvira Terranova) – “Questa vicenda ha totalmente stravolto la mia esistenza…”. La voce diventa quasi stridula quando l’ex Presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo pronuncia queste parole, per concludere le dichiarazioni spontanee fiume nel processo d’appello che lo vede imputato per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio aggravato. L’ex Governatore, seduto in aula accanto al suo legale, l’avvocato Maria Licata, per quasi due ore parla, a volte alza il tono della voce, poi l’abbassa, fino a chiedere alla Presidente della Corte d’Appello: “Chiedo, Signori della Corte, che la verità venga finalmente ristabilita. E’ la verità che conta, non il potere politico che pesa sempre meno e che non interessa certo me, non il prestigio o l’orgoglio, non gli umori della cosiddetta opinione pubblica. Desidero solo essere giudicato come uomo, come imputato e non più come un caso politico, mediatico o giudiziario. Bensì, secondo le leggi, secondo le regole e secondo verità”.
Lombardo, barba lunga e grigia tendente al bianco, con la mascherina d’ordinanza sul volto, si siede. Alle sue spalle c’è seduto il figlio, Toti Lombardo, che in questi anni gli sempre stato vicino. Nel corso delle dichiarazioni spontanee, Lombardo, ha respinto tutte le accuse della Procura generale. Attacca i collaboratori di giustizia parlando “passerella di impostori non disinteressati”, che “temo abbiano tratto vantaggio dai benefici che la legge ha previsto per fare emergere la verità che, invece, loro hanno mortificato”. E ribadisce di avere “contrastato con forza Cosa nostra” anche in due settori molto ambiti dai boss, cioè l’energia eolica e i termovalorizzatori.
“Il 29 marzo 2010 sono stato strappato con violenza fulminea alla mia vita, per come l’avevo vissuta per quaranta anni – dice l’ex Governatore – Sono stato costretto a viverne un’altra del tutto diversa. E, per molti versi, non so quanto degna di essere vissuta, a vivere un processo in cui si sono raccontate storie diverse da quelle accertate con sentenze nelle aule di questo tribunale, in cui sono stato costretto a fare indagini che forse non mi competeva fare e in cui si è cercato di reinterpretare fatti la cui essenza non si presta a interpretazioni”. Parla di “rispetto che merita l’impegno profuso dalla pubblica accusa”, ma anche “le altre istituzioni che sono state ingiustamente intaccate e che ho servito senza risparmiarmi con passione, intelligenza e assoluta onestà”.
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