Fiom, a Milano smartworker Ict a rischio esaurimento con più carichi lavoro

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Milano, 20 mar. (Adnkronos/Labitalia) – Più ore di lavoro, con carichi maggiori, senza riconoscimenti retributivi e senza pause, esaurimento nervoso e disturbi muscolo-scheletrici. E’ quanto emerso dall’inchiesta sul lavoro in smart working nel settore dell’Ict a Milano realizzata dalla Fiom Cgil di Milano, presentata oggi in occasione dell’evento ‘Lo smartworking è sostenibile?’ svoltosi nell’ambito della Milano Digital Week ‘Città equa e sostenibile’. L’inchiesta è stata realizzata in collaborazione con la Fondazione Sabattini e la cattedra di Diritto al lavoro della facoltà di Giurisprudenza dell’Università Statale di Milano.

“L’inchiesta – dice Roberta Turi, segretaria Fiom Cgil di Milano – è uno strumento che come Fiom utilizziamo spesso per approfondire il punto di vista delle lavoratrici e dei lavoratori su determinati aspetti della loro vita lavorativa. Questo lavoro può diventare la base per costruire proposte e piattaforme per la contrattazione collettiva, con l’obiettivo di sottoscrivere accordi che migliorino la condizione di lavoro. Il questionario è stato proposto alle lavoratrici e ai lavoratori dell’Ict presenti a Milano che hanno il contratto collettivo nazionale dell’industria privata”.

“L’inchiesta – ricorda – è stata presentata in assemblee realizzate in video conferenza e la raccolta dei questionari si è svolta da metà dicembre 2020 alla prima settimana di marzo 2021. Sono 20 le aziende coinvolte tra le più importanti del settore, tra cui Accenture, Dedalus, Ibm, Txt, Italtel. Sono state fatte circa 100 domande su salute e sicurezza, orario di lavoro, carichi di lavoro, autonomia della prestazione, definizione degli obiettivi, controllo del datore di lavoro, privacy, costi/benefici. Sono stati completati 3.152 questionari, di cui 2.084 uomini e 1.068 donne, l’età varia dai 20 ai 64 anni, sono stati esclusi i dirigenti. Da sottolineare che l’83% dei rispondenti non è iscritto al sindacato”.

“Al centro della Milano Digital week – precisa Matteo Gaddi, della Fondazione Sabbattini – c’è il concetto di sostenibilità che è declinabile sia in senso ambientale che sociale. E con questa inchiesta abbiamo cercato di capire quanto lo smartworking sia sostenibile. Il concetto che viene fuori è quello di un orario di lavoro molto dilatato, come fosse un contenitore elastico. Questa dilatazione avviene in due modi. Informale: le persone che lavorano in smartworking ricevono una serie di comunicazioni in maniera ufficiosa tramite email o messaggistica al di fuori dell’orario di lavoro che arrivano anche dopo le 8 di sera. Un altro elemento che determina l’allungamento della giornata lavorativa è più grave, perché afferente direttamente alla responsabilità aziendale, come l’organizzazione di riunioni al di fuori dell’orario contrattuale di lavoro, a cui partecipa il 40% dei lavoratori”.

“Per cercare di quantificare – precisa – in cosa consiste questa dilatazione, è stato chiesto se le persone lavorano più ore al giorno rispetto a quando si recavano in ufficio e la risposta è stata che ben l’80% lavora di più rispetto all’orario contrattuale e il 60% dichiara che questo succede almeno due volte a settimana. Oltre il 40% dedica da una a due ore al giorno in più, mentre ne dedica più di due ore il 10% dei rispondenti”.

“Alla domanda perché si lavora un numero di ore maggiore – ricorda Gaddi – le risposte che hanno ottenuto un’adesione maggiore sono ‘perché ho delle scadenze da rispettare’ e ‘sono costretto da un carico di lavoro eccessivo’. Con lo smartworking, inoltre, cambia il concetto di misurazione dell’orario di lavoro, per cui, appunto, si lavora sulla base dell’assegnazione di obiettivi, che in qualche modo dovrebbero essere anche negoziati e contrattati, ma soprattutto rispetto ai quali dovrebbe essere verificato il tempo necessario per portarli a termine”.

“Bisognerebbe aprire – auspica – un ragionamento su questo presunto aumento della produttività determinato dallo smartworking. Per il 90% dei rispondenti all’inchiesta, le ore di lavoro straordinario non vengono riconosciute e per l’80% non vengono neanche retribuite. Quindi, stiamo parlando di lavoro prestato dalle lavoratrici e dai lavoratori gratis”.

“Alla domanda se sia mai capitato – rimarca – quando si è a casa in smartworking e si ha qualche linea di febbre o ci si sente indisposti di lavorare comunque senza mettersi in malattia, la maggioranza ha risposto di sì. Solo il 50% dichiara di fare le pause previste per legge a favore dei videoterminalisti e addirittura il 6-7% non sa cosa siano. Stesso discorso alla pausa caffè e sigaretta”.

“Sono preoccupanti – avverte – le risposte alla domanda se da quando si lavora in smartworking si soffre di qualche disturbo fisico. Quasi il 40% dichiara problemi di natura muscolo-scheletrica, quasi il 20% soffre di insonnia e oltre il 10% ha rischiato l’esaurimento nervoso da burnout”.

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