Colba: il grano dei morti
Si dice: ‘Parla come mangi’, ovvero non dissimulare cadenze dialettali e non misconoscere la cultura della terra da cui provieni…
Si dice: ‘Parla come mangi’, ovvero non dissimulare cadenze dialettali e non misconoscere la cultura della terra da cui provieni. Ma si potrebbe parafrasare dicendo che ciò che mangi parla del luogo da cui provieni. L’oggi, in alcuni paesi più che in altri, è una zolla di terra in cui si ritrovano sbriciolate tracce secolari di diverse culture, arrivate lì per ragioni storiche o geografiche. Quell’oggi, quella stratificazione culturale può essere raccontata in tanti modi, anche attraverso il cibo.
La Puglia, ad esempio, ha una lunghissima storia, fatta di antichi popoli dediti alla pastorizia, poi anche alla pesca e, soprattutto al commercio con l’Oriente. E’ stata una regione ricca e potente nella classicità, ha subìto diverse dominazioni – bizantine, longobarde, normanne -, ha temuto gli sbarchi dei turchi-ottomani, è stata terra pagana, cristiana e anche greco-ortodossa.
Nel centro-nord della regione, per il 2 novembre – ricorrenza cristiana che commemora i defunti – si prepara il ‘grano dei morti’, o ‘colba’, o ‘coliva’, o ‘cececcuotte’: è un dolce al cucchiaio fatto di grano bollito, melograno, noci, uva, cannella, cioccolato e vin cotto.
Di origini antichissime, probabilmente greco-ortodosse, il piatto ricorda l’avvelenamento del grano dei cristiani da parte di Giuliano l’Apostata – imperatore romano nato a Costantinopoli, educato al Cristianesimo, che adottò poi una politica religiosa mirante alla restaurazione del paganesimo: i suoi sudditi si salvarono mangiando grano bollito per 40 giorni. La memoria storica di questo evento è stata affidata appunto al grano bollito, arricchito poi di vari ingredienti e dato ai bambini per la commemorazione defunti.
Ma c’è anche chi prepara la colba per il 2 novembre e la si lascia ai morti che vengono in visita in quel particolare giorno.
Gli ingredienti sono tutti frutti di stagione e quindi sono la prima traccia della cultura contadina in seno alla quale è nato questo piatto, ma sono anche elementi fortemente connotati sia nella tradizione classica pagana che in quella cristiana. Il grano prima di tutti: in entrambe le culture è simbolo di morte e rinascita – si pianta il chicco da cui nasce poi la nuova pianta, il momento migliore per la semina è proprio il solstizio d’inverno, dopo il quale le giornate si allungano; il grano aveva questa valenza già presso gli egizi che fornivano i faraoni di grandissime scorte di grano per poter compiere il trapasso verso l’aldilà.
Pane e vino – ovvero grano e uva – sono un simbolo profondamente cristiano, che ricorda l’Ultima Cena; la vite era presente già nell’Antico Testamento, nella Genesi: un bene particolarmente prezioso, segno di prosperità e amore divino, offerto a Noè dopo il diluvio. Ovviamente l’uva è anche il simbolo per eccellenza dei baccanali, riti orgiastici greco-romani.
La simbologia più affascinante, però, è forse quella del melograno, legata al mito greco di Persèfone: si narra che Ade, invaghito della giovane Persèfone, l’avesse rapita e portata con sé nell’aldilà. Dèmetra cercò ovunque la figlia, per anni, sinché Zeus non impose ad Ade di restituirgliela. Persèfone, però, aveva rotto il digiuno mangiando un chicco di melograno e quindi non sarebbe potuta risalire nel regno dei vivi; Zeus decise quindi di concedere alla fanciulla di trascorrere parte del suo tempo sottoterra e parte sopra, in un’alternanza che ricalcava il susseguirsi delle stagioni. Nell’iconografia occidentale i chicchi di melograno rimarranno a indicare le gocce di sangue, segno di resurrezione, di vita e di morte.
Un ingrediente ancora, le noci: nell’Antica Roma erano offerte agli sposi nel giorno delle nozze come augurio di un’unione solida, di saggezza nascosta e di longevità; ma potevano anche rappresentare la forza di fronte alle difficoltà e l’egoismo, in quanto sotto l’albero del noce non cresce nulla. Nel cristianesimo la noce rappresenta invece la trinità (per i suoi tre strati) o il Cristo (il mallo come carne, il guscio come il legno della croce, il gheriglio per la natura divina).
La cannella è infine quella spezia giunta in Puglia attraverso i mille commerci con l’Oriente e le tante dolorose invasioni subite.
La colba è dunque un piatto che narra di antichi miti classici, di rituali pagani e simbologia cristiana. Una leccornia che ci ricorda la storia da cui veniamo.
“La storia siamo noi, siamo noi e questo piatto di grano”.
M.C.
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