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Negli Usa si potra’ tracciare il dna del vino

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Gli americani vogliono tracciare il dna del vino per evitare che il prodotto presenti componenti varietali, l’Italia su questo ancora non è organizzata. Allo stesso tempo però gli americani si rivolgono ai ricercatori dell’Università di Siena per tracciare il vino

 

Vi ricordate lo scandalo sul Brunello di Montalcino che aggiungeva Cabernet e Merlot al San Giovese? Con gli americani che avevano bloccato le importazioni? Ora la Tbt-Alchol&Tobacco Tax&Trade Bureau, l’ente governativo americano che regola l’ingresso delle bevande alcoliche negli Stati Uniti, ricorrerà direttamente al Dna, tanto per non sbagliarsi.

Anche perché così non si scappa: attraverso il principio della coincidenza sulla base di una banca dati preesistente, si stabilisce senza margini di errore se il vino presenta le componenti varietali che vengono dichiarate in etichetta oppure no. Gli americani hanno scelto l’Università di Siena per portare avanti la ricerca che avrà come obiettivo finale la creazione di un logo “Dna traced”. Altro che etichetta, Doc, Docg o Igt. Per una volta gli americani tentano di superare l’Italia nella tracciabilità. Ma con l’aiuto dei ricercatori e delle strutture “made in Italy”.

Anche se, come ricorderanno gli stessi americani, al San Giovese veniva mischiato Cabernet e Merlot proprio per compiacere il palato Usa. Una scelta non da poco nel momento che il vino italiano rappresenta una delle voci maggiori per quanto riguarda l’export del made in Italy agroalimentare nel paese a stelle e strisce. Secondo i dati Istat relativi al primo trimestre 2011, le importazioni di vino italiano superano quota 69 milioni di litri (+23,7 per cento rispetto al primo trimestre 2010) per un valore di circa 217 milioni di euro (+25,6 per cento) di cui 194 milioni di euro derivanti dai vini imbottigliati (+24,2 per cento), 19 milioni di euro da vini spumanti (+42 per cento) e 3,5 milioni di euro da vini sfusi (+28,7 per cento).

Nereo Brancusi

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