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Droni pro balene

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I droni aiutano gli scienziati a salvare le balene rimaste impigliate

Le reti, le corde, gli equipaggiamenti caduti in mare e persi dalle barche da pesca sono da sempre una minaccia per le balene: questi attrezzi, infatti, possono avvolgere i mammiferi giganti e compromettere la loro capacità di nuotare e mangiare, facendoli morire di fame o addirittura affogare. Per decenni, il National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti, grazie ai suoi volontari, ha lavorato per liberare le balene impigliate usando coltelli sistemati su pali lunghi, un processo che richiede molto tempo e che è pericoloso – lavorare per liberare un animale lungo 12 metri, che pesa almeno 40 tonnellate è rischioso (e infatti un volontario è rimasto ucciso proprio l’anno scorso perché colpito dalla coda di una balena che stava liberando). 

Adesso, però, arriva un nuovo programma, partito dall’associazione governativa Hawaiian Islands Humpback Whale National Marine Sanctuary e la no profit Oceans Unmanned, che utilizza i droni per rendere il processo di liberazione delle balene dalle reti più efficiente e sicuro per tutti i soggetti coinvolti.

Prima, ci si doveva avvicinare almeno tre volte alle balene, una per capire dove fossero impigliate, l’altra per liberarle e la terza per controllare come era stato fatto il lavoro; invece, grazie ai droni, il primo e il terzo passaggio potranno essere fatti a distanza: in questo modo, ci si dovrà avvicinare alla balena solo una volta e si sarà anche molto più sicuri di cosa fare visto che si avrà un’ampia visione della situazione.

Il programma, che è stato chiamato freeFLY, dà ai ricercatori la possibilità di utilizzare quadricotteri telecomandati con fotocamere e accessori vari. Una volta che i volontari saranno formati, gli verrà data una certificazione e potranno partire.
Negli ultimi 30 anni, NOAA ha supervisionato la liberazione di 1.300 balene, con questo nuovo programma i numeri potrebbero diventare ancora più alti.

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balene, droni, reti

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