Costa Concordia. Clini: il danno ambientale e’ gia’ in atto
Secondo il Ministro dell’Ambiente Corrado Clini davanti all’Isola del Giglio un contenuto danno ambientale sarebbe già in atto, sebbene non ci siano fuoriuscite di carburante dalla Costa Concordia
Le delicate operazioni per il recupero del carburante della Costa Concordia, ed evitare quindi una ecatombe ambientale davanti alle coste dell’Isola del GIglio, sono iniziate. Ciò nonostante l’allarme ambientale sale, e secondo il Ministro dell’ambiente Corrado Clini, inevitabilmente un danno ambientale sarebbe già in atto.
“C’é già un danno ambientale, molto contenuto” relativo “ai fondali dell’Isola del Giglio”, ha detto il ministro Clini, spiegando che “una nave come questa, da quattromila passeggeri, ha servizi di ogni tipo: è chiaro che escano dei liquidi ma non sono carburanti”.
A preoccupare anche la posizione della Costa Concordia, poggiata su un fianco su un fondale di circa 37 metri davanti all’imboccatura del porto dell’Isola del Giglio. Il Ministro Clini l’ha definita una posizione instabile, una corsa contro il tempo, e Legambiente chiede l’intervento dell’Unione Europea, denunciando l’avvenuto sversamento di sostanze che, al contatto con l’ambiente marino, sarebbero tossiche.
All’interno della Costa Concordia, un gigante del mare, ancora 2380 tonnllate di combustibile, delle quali 2200 di olio pesante, una sostanza che se sversata in mare ucciderebbe la vita sui fondali per diversi chilometri di costa.
Il piano di svuotamento dei serbatoi della Costa Concordia, dopo la presentazione in una riunione alla Provincia di Grosseto, sta per essere approvato e per sabato potrebbero iniziare già le prime operazioni. Ormeggiato al porto dell’isola svetta imponente il ‘Pontone’, l’imbarcazione della ditta italiana Neri di Livorno, con a bordo una gru, ponte e attrezzature per poter intervenire sulle cisterne.
A occuparsi del recupero del combustile la ditta olandese Smit Salvage. Il piano combustibile dovrebbe svolgersi in 28 giorni, mare e meteo permettendo. L’azione si concentrerà su 14 cisterne circa procedendo due cisterne per volta. Ogni coppia prevede quattro giorni di lavoro.
Si tratta di praticare un foro in sicurezza con una tecnica che evita fuoriuscite di carburante e di inserire poi una serpentina per rendere il combustibile fluido e quindi aspirarlo. I tecnici dovranno garantire al tempo stesso il mantenimento della stabilità della nave. E questo solo per le cisterne. Per la sala macchine ci vorrà un piano specifico mentre è ancora ignota la quantità di lubrificante. Entro domani gli uomini del gruppo anti-inquinamento del ministero dell’Ambiente, termineranno inoltre di sistemare per il perimetro di 900 metri della barriera di contenimento degli idrocarburi.
Tutto questo mentre si guarda alle conseguenze di un eventuale inabissamento. Tre gli scenari ipotizzati contenuti in uno studio realizzato dall’Istituto superiore per la protezione della ricerca ambientale, Ispra, e consegnato al ministero dell’Ambiente. Il primo scenario, ha spiegato Luigi Alcaro, responsabile del Servizio emergenza ambientale in mare dell’Ispra, prevede che la nave vada a fondo rompendosi e creando numerose fratture nelle cisterne con rilascio massimo di olio e con inquinamento immediato molto vistoso che può interessare una vasta area (Arcipelago toscano). In questo caso si prevede una bonifica di qualche settimana e, secondo l’esperto, sarebbe lo scenario “migliore”.
Il secondo riguarda il caso di rottura di solo una parte delle cisterne e un rilascio silente ma continuo del combustibile contenuto nelle cisterne intatte. “Un caso come questo ha riguardato la Sea Diamond, affondata nel 2007 al largo di Santorini in Grecia – ha detto Alcaro – dove la diffusione lenta di 30 chili al giorno durò per tre anni”. Terzo scenario, quello più grave, che il Concordia affondi senza toccare le cisterne. Ciò provocherebbe un rilascio lento di tutto il combustibile.
Il piano per il recupero del combustibile in una animazione:
(VG)
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