In Italia università e ricerca soffrono, ma rimangono di qualità
Il rapporto biennale dell’Anvur fotografa una situazione ancora lontana dai livelli più alti dei maggiori paesi della Ue. Ma laddove si investe la ricerca è di eccellenza
Università e ricerca in Italia, si sa, non godono di ottima salute. Tagli ripetuti, nepotismo e corruzione fanno spesso dell’università uno di quei luoghi simbolo di un paese con grandi difficoltà di crescita. Eppure proprio dalle università e dai centri di ricerca emergono altrettanto spesso eccellenze e innovazioni che portano il nostro paese all’attenzione mondiale.
Lo stato di salute delle università italiane è ben fotografato nel corposo studio presentato dall’Anvur (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca): il Rapporto biennale sullo stato del sistema dell’Università e della Ricerca.
Il Rapporto dimostra per esempio che il numero di laureati in Italia rimane molto basso. Con il 13,8% di laureati nella popolazione in età compresa tra i 15 e i 64 anni, il Belpaese si posiziona al terzultimo posto tra i paesi della Ue (media del 24,5%). Il ritardo è netto rispetto a tutti i principali paesi europei (Regno Unito 34,7%, Spagna 29,6%, Francia 27,9% e Germania 24,1%). Considerando la popolazione più giovane (25-34 anni) la posizione dell’Italia non migliora, e nonostante i significativi incrementi registrati tra il 2000 e il 2012, anche per questa fascia della popolazione non si registra un avvicinamento alla media europea: l’Italia con il 22,3% di laureati si colloca al penultimo posto tra i paesi considerati.
Quali sono le cause? Secondo l’Anvur, uno dei problemi principali è che in Italia, a differenza di altri paesi, non ci sono corsi di laurea professionalizzanti, il che – unito alla disoccupazione e alla crisi – scoraggia i giovani ad iscriversi negli atenei.
La buona notizia almeno è la crescita di donne sia fra gli iscritti sia fra i laureati. Tra il 2001 e il 2011 si assiste ad un progressivo e costante incremento dei laureati di genere femminile, che nel 2011 arriva a rappresentare quasi il 59% del totale dei laureati.
Non migliora la fotografia nel campo della Ricerca. Rispetto alla media dell’area Ocse, l’Italia spende in media il 30% in meno e i fondi a disposizione del Miur sono diminuiti di un miliardo rispetto al 2009.
Tuttavia, la qualità della Ricerca italiana rimane alta. I livelli, misurati in termini di pubblicazioni e citazioni, restano comunque di eccellenza e non hanno niente da invidiare a quelli di grandi paesi come Germania, Francia e Giappone. In termini di produzione scientifica, l’Italia ha una maggiore specializzazione nelle scienze matematiche e fisiche, nelle scienze della terra e nelle scienze mediche. Rimane, purtroppo, netta la differenza territoriale: le università del Mezzogiorno hanno risultati meno soddisfacenti di quelle del centro-nord. Anche qui i dati dimostrano ancora una volta che, per ottenere livelli alti c’è bisogno di risorse e non si può prescindere dagli investimenti.
Il rapporto integrale si può leggere qui:
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