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La tassa occulta per 18 milioni di certificati inutili

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Quindici anni di riforme per modernizzare la pubblica amministrazione, e siamo sempre al punto di partenza. Dalla riforma Bassanini del 1997 ed ancora oggi più 13 milioni di certificati sono inutili. Di Antonio Galdo su www.nonsprecare.it

di Antonio Galdo,  www.nonsprecare.it
 
Fatta la legge, trovato l’inghippo per bloccarla. In Italia funziona così, specie nella pubblica amministrazione, e dopo quindici anni di mini-riforme per allentare il cappio dei documenti inutili e costosi ci ritroviamo (quasi) al punto di partenza. Il ministro Franco Bassanini, nel lontano 1997, annunciò gongolante che finalmente gli italiani venivano salvati dalla tortura delle carte da bollo. In quel momento si producevano 68 milioni di certificati anagrafici (stato di famiglia, residenza, esistenza in vita, etc..), poi scesi nel 2000 a 35 milioni grazie all’autocertificazione. Oggi, secondo i calcoli dell’amministrazione, basterebbero 5 milioni di certificati, che non possono essere eliminati, e invece gli italiani si mettono in fila per richiederne 18 milioni, dei quali 13 sono assolutamente sprecati. Vince sempre, quando si tratta del rapporto tra il cittadino e la pubblica amministrazione, la cultura dell’atto formale, quella che risale all’Unità d’Italia, del documento che certifica, attesta, consente. E perde la cultura dell’efficienza, delle poche regole che, applicate senza ossessione, funzionano e rendono più agile il rapporto pubblico-privato.  Un discorso analogo riguarda la documentazione, che fa capo al ministero della Salute, a proposito di tutta una serie di documenti, aboliti solo sulla carta. Nella pratica un parrucchiere, solo per fare un esempio, è ancora costretto, ogni anno, a presentare alla Camera di Commercio un certificato di sana e robusta per svolgere la sua attività in regola con la legge. Una sorta di visita medica per passare la tintura o per accorciare una barba. Quanto costa questo spreco? Alcune cifre sono incalcolabili, come le spese per il funzionamento degli uffici, le ore di lavoro degli impiegati, la carta che circola in continuazione nonostante lo sviluppo delle tecnologie. Poi ci sono gli esborsi dei cittadini. A parte le perdite di tempo, le file estenuanti, il vai e torna  davanti agli sportelli, per quei certificati anagrafici inutili continuiamo a pagare un bollo di 14,62 euro e 0,52 euro di diritti di segreteria. Il totale dei bolli incassati dallo Stato ammonta a 5 miliardi di euro: una tassa occulta, spesso agganciata a documenti che non servono a nulla. Infine il costo per le imprese che, secondo i dati forniti dal ministero dell’Economia, pagano un conto annuale in burocrazia (prevalentemente certificazioni) pari a 21, 5 miliardi di euro, cioè un punto e mezzo di pil. Ciascuna piccola azienda deve accantonare in bilancio, in media, 23.328 euro per gli oneri che derivano proprio dagli adempimenti con la pubblica amministrazione, dei quali 13.877 si riferiscono alle varie pratiche burocratiche. E poi dicono che l’economia italiana non cresce….
 

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bassanini, pubblica amministrazione, riforma, tasse

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