Licenziare per malattia? Possibile solo in due casi

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Il periodo di comporto varia a seconda dei contratti collettivi

Secondo la legge, il dipendente malato non può essere licenziato tranne in due casi: se l’assenza supera la durata massima prevista dal contratto collettivo o se, benché l’assenza sia inferiore a tale limite, essa comporti un grave pregiudizio per l’organizzazione dell’azienda. Lo ricorda il sito di informazione legale laleggepertutti.it.

Tuttavia ci possono essere cause esterne non dipendenti dalla malattia o dall’assenza, ad esempio crisi aziendali o ristrutturazioni interne o motivazioni disciplinari. Un esempio di quest’ultimo caso può essere il dipendente in malattia che non si fa puntualmente trovare a casa al momento delle visite fiscali del medico Inps.

C’è un caso in cui la durata della malattia può superare le indicazioni del contratto collettivo: quando la malattia si è verificata a causa del datore di lavoro, per non aver questi garantito un ambiente salubre e privo di rischi (infortunio sul lavoro, mancata predisposizione delle misure di sicurezza, ma anche uno scivolone dalle scale, un infarto a causa di una condotta mobbizzante, ecc.).

Il periodo di “comporto” (l’arco temporale superato il quale l’azienda può licenziare il dipendente) per gli impiegati è di 3 mesi quando l’anzianità di servizio non supera i dieci anni, e di 6 mesi quando l’anzianità di servizio supera i dieci anni. Per gli operai, invece, la durata del periodo di comporto è stabilita dalla contrattazione collettiva. Il periodo di comporto può essere interrotto per effetto della richiesta del lavoratore di godere delle ferie maturate.

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lavoro, licenziamento

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