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Mellone ad Ecoseven.net:Da tarantino non voglio la chiusura dell’Ilva

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Il futuro di Taranto non puo’ prescindere dall’acciaio per Angelo Mellone, giornalista e scrittore nato nella citta’ dei Due Mari. La chiusura dell’Ilva sarebbe un disastro, ecco perche’

 La chiusura dell’Ilva ha spaccato Taranto e l’Italia in due: c’è chi esulta, perché crede che questo sia l’inizio di una nuova storia per l’ambiente e la salute dei cittadini di Taranto, e c’è chi, invece, inizia a pensare a cosa succederà. C’è chi pensa che Taranto possa rinascere e c’è chi vede, nella chiusura dell’Ilva, la morte di Taranto, dell’economia della città e di una parte (sostanziale) dell’economia dell’Italia.

A parlare e dirci cosa potrà accadere se veramente l’Ilva chiudesse sono i numeri: la chiusura dell’Ilva di Taranto lascerebbe a casa 12.000 dipendenti diretti, affonderebbe anche il lavoro e la produzione delle altre cinque aziende dell’Ilva sparse in Italia (Genova, Novi Ligure, Racconigi, Marghera e Patrica), mettendo a repentaglio l’occupazione di oltre 25.000 dipendenti, toglierebbe all’Italia gran parte degli 8,8 milioni di tonnellate annue di acciaio prodotto e affosserebbe una parte del Pil.

Pienamente consapevole delle conseguenze della chiusura dell’Ilva è Angelo Mellone, giornalista, scrittore e dirigente di Radio Rai. Ma soprattutto figlio di Taranto, del mare della Puglia e ‘figlio’ anche dell’acciaieria Ilva. Angelo Mellone con l’acciaieria ci ha avuto a che fare: il padre era capo dei tubifici Ilva, morto di tumore nel 1986. Ecoseven.net ha voluto sentire la sua opinione in merito alla questione.

Angelo Mellone

L’Ilva ha annunciato la chiusura degli impianti di Taranto. Se la notizia venisse confermata, cosa succederebbe a Taranto?

Un disastro. Un disastro perché si chiude il polmone produttivo che ha costruito Taranto negli ultimi cinquant’anni. Un disastro perché si viene a creare un vuoto occupazionale che nessuna politica e nessun governo sarebbe in grado di gestire. Un disastro ambientale perché Taranto dovrebbe gestire un’area grande una volta e mezzo la città, bonificandola. E, facciamo attenzione, io non dico mai disastro, se lo dico è perché dopo la chiusura ci potrebbero essere problemi irrisolvibili.

E cosa succederebbe in Italia?

Anche qui un disastro. Un disastro perché si dovrebbero chiudere anche gli altri stabilimenti Ilva e un disastro perché mancherebbe parte dell’acciaio che serve alle aziende Italiane. Mi chiedo, pertanto, se in Italia esiste una politica industriale e chi fa questa politica industriale. L’unica persona che mi sembra abbia affrontato ragionevolmente la questione è stato il Ministro dell’Ambiente Corrado Clini, che ha imposto con l’Aia un cronogramma da seguire e rispettare perché l’Ilva potesse produrre e nello stesso tempo potesse essere ecocompatibile. Imporre all’azienda di essere ecocompatibile senza dare a questa la possibilità di produzione è un controsenso.

Chi sono, a Taranto, i ‘talebani’ che vogliono la chiusura dell’Ilva?

Voglio prima precisare una cosa: io non critico l’azione della Magistratura e sono del parere che qualunque reato esista debba essere perseguibile. Però, intorno all’azione della Magistratura si è creata un’interpretazione politica che ha portato alcuni a rivestire il tutto con un’ideologia e a dire, senza pensare, ‘chiudiamo l’Ilva’. I ‘talebani’ sono coloro che, quando parli di acciaio e storia della città e dell’industria di Taranto, che intendo rispettare e ricordare perché sono morte 500 persone in 50 anni per fare di Taranto un polo economico d’Italia, rispondono solo ‘chiudiamo e Taranto risorge’. I ‘talebani’ sono coloro che sono soliti dire che ‘Taranto è l’inferno’.

Ilva-taranto

Lei è favore della chiusura dell’Ilva?

No! Non se ne parla proprio. L’Ilva è uno stabilimento che deve essere obbligato a seguire un cronoprogramma per essere ecocompatibile, non è un’ azienda che va chiusa. Ricordiamoci che stiamo parlando della più grande acciaieria d’Europa, non di una piccola fabbrica. Da tarantino credo che la chiusura dell’Ilva sia fuori di logica. La chiusura, ripeto, creerebbe un vuoto occupazionale enorme: non c’è mai stata una crisi simile in Italia, nemmeno quando c’è stato il blocco di Mirafiori.

Cosa risponde a chi dice ‘chi vuole che l’Ilva resti aperta è insensibile alla morte di innocenti’?

Mio padre è morto nel 1986 di leucemia, una forma di tumore accostata all’inquinamento dell’Ilva. Posso capire cosa significa e sono molto sensibile alla cose vere e documentate: in 50 anni sono morti 500 dipendenti Ilva. Dobbiamo rispettare la morte, ma dobbiamo anche rispettare la vita. Essere insensibili alla moprte significa dire ‘A Taranto va tutto bene. Taranto e’ un paradiso’. 

(gc) 

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