Scomparso il 93% della varietà dei semi nel mondo

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Dal secolo scorso, solo una piccola frazione di semi ha resistito per arrivare a noi e, come al solito, la colpa è nostra

Se si provasse a fare un confronto tra l’agricoltura moderna e quella degli inizi del 1900, ci si renderebbe subito conto che oggi troviamo molto poco di quello che rappresentava il modo in cui le aziende guardavano la terra un secolo fa. Non dipende solo dal fatto che la tecnologia è cambiata in modo significativo, ma anche dall’incredibile diminuzione della diversità dei semi che, oggi, sono solo una frazione minima rispetto a quelli che erano e che avevamo la possibilità di piantare cento anni fa. 

In realtà, anche confrontandosi solo con il 1983, ci si accorge che il 93% della varietà di sementi del 20esimo secolo è scomparso. Un contadino che si trovava a piantare nel 1903, poteva scegliere tra 500 diversi tipi di cavolo, 400 varietà di pomodori e piselli e almeno 285 tipi di cetriolo. Un sondaggio condotto dalla Rural Advancement Foundation International ha rivelato che nel giro di 80 anni, questi numeri sono diventati risibili: nel 1983, appunto, un contadino poteva scegliere solo tra 28 tipi di cavolo, 25 tipi di piselli, 79 tipi di pomodori e 16 variazioni di cetriolo.

È stato il fenomeno di consolidamento del seme a portarci nell’era moderna, con aziende e multinazionali che hanno iniziato a brevettare semi geneticamente modificati e a venderli agli agricoltori – semi che, oltretutto, non possono essere salvati per preparare i raccolti degli anni successivi, come si faceva prima, perché piantarli sarebbe una violazione di brevetto. Ogni anno, quindi, gli agricoltori sono costretti a comprare questi semi, che sono sempre gli stessi: non sono affatto diversificati, anche perché non ci sono gli incentivi per sviluppare la biodiversità.

E adesso, eccoci qui: l’ammanco di quel 93% dipende da noi, da queste politiche. Che cosa vogliamo fare?

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