Il mito e le ipocrisie del “gioco d’azzardo responsabile”. Cinque spunti di riflessione
Adelmo Di Salvatore, Psichiatra e Psicoterapeuta, prosegue l’analisi del gioco d’azzardo svelandone i meccanismi perversi
Come abbiamo già spiegato nel primo articolo dedicato al tema della ludopatia, la probabilità di fare 6 al Super Enalotto è di 1 a 622 milioni. La probabilità di essere colpiti da un fulmine entro l’anno è 1 su 350.000.
Adelmo Di Salvatore, Psichiatra e Psicoterapeuta prosegue l’analisi del fenomeno svelando i meccanismi perversi che lo regolano e l’ipocrisia che si cela dietro alcune definizioni.
Perché tu sia ancora più consapevole, facciamo insieme qualche ragionamento.
1. Proprio come accade per i problemi legati al consumo di bevande alcoliche, si tratta di un continuum, con uno stretto legame fra il gioco d’azzardo e i problemi correlati: il comportamento del gioco va da un valore zero (non giocare mai, neppure un centesimo, con danni zero) fino a un comportamento indefinibile con danni gravissimi (giocare con modalità e quantità di denaro x fino alla morte per suicidio o per omicidio, passando attraverso disperazione, processi, separazioni e altro). Ciascuno di noi, anche se non ha mai giocato, si trova in un punto di questa ideale linea continua, con una grande varietà di situazioni e problemi.
La prima volta che si gioca è come “gettare le fondamenta” di una casa: quando si arriva a “toccare” i problemi fisici, psichici e relazionali gravi (ad esempio: debiti, litigi in famiglia, ecc.) si è già arrivati al tetto e il rischio di cadere giù è altissimo. Il comportamento del giocare d’azzardo si impara e si modifica con l’esperienza: in ogni stadio è determinato dall’equilibrio fra vantaggi e svantaggi. Ciascuno, qualunque sia il suo attuale comportamento, ha la possibilità di scegliere di muoversi avanti o indietro lungo questo continuum. (Mia rielaborazione da una dichiarazione del Royal College General Practitioners sul continuum del bere,1986).
2. Recentemente il Governo italiano ha definito la cosiddetta “ludopatia” (meglio sarebbe stato chiamarla “azzardopatia”) e l’ha inserita fra i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza). In pratica, se giochi d’azzardo e hai problemi, puoi farti “curare” dal Servizio pubblico (di solito un Servizio per le Dipendenze). Ma non si tratta di una malattia, nel senso classico del termine.
Il giocare d’azzardo si manifesta, a un certo punto, con le caratteristiche e le conseguenze dell’assunzione di una vera e propria droga, con problemi di tipo fisico, psicologico e sociale di vario tipo. Per questo motivo, si è arrivati a descrivere il “gioco d’azzardo patologico” come una malattia. In realtà si tratta delle conseguenze-complicanze di una serie di azioni, di pensieri e di sensazioni (il comportamento del giocare, sino ad uno stile di vita specifico) sulle cellule e sui tessuti di tutto l’organismo (soprattutto sul Sistema Nervoso Centrale, il cervello). Molti continuano a considerarla una malattia cronica e grave dalla quale non si può “guarire” una volta per tutte, ma che si può arrestare semplicemente non giocando e che non esiste un mezzo sicuro per prevenirla, perché non si conoscono bene le cause. È una opinione diffusa e condivisa anche da molti medici. Al contrario, la nostra esperienza ci ha insegnato a riconoscere, senza alcun dubbio, la ovvia causa precisa del “gioco d’azzardo patologico” (o ludopatia, se vuoi chiamarla così): il giocare. Conosciamo, di conseguenza, anche il modo ovvio di “curarla” (scegliere di non giocare) e di prevenirla (scegliere di non iniziare a giocare).
3. Considerare la “ludopatia” come una malattia potrà, da un certo punto di vista, essere utile (come lo fu per l’“alcolismo” in passato), perché le persone con problemi azzardocorrelati saranno trattate almeno alla stregua di altri malati, e non più come viziosi o delinquenti, ed essi si rivolgeranno più facilmente ai Servizi o ai Gruppi di auto aiuto per avviare e facilitare il proprio cambiamento.
Allo stesso tempo questa visione rischia di: deresponsabilizzare la persona, la famiglia e la società in generale (se è una malattia, nessuno è responsabile); minimizzare la grande importanza che rivestono la consapevolezza e la scelta dei comportamenti delle persone nei confronti della propria salute e di quella altrui (principio di co-responsabilità e interdipendenza); favorire scelte politiche “demenziali”.
I problemi azzardo correlati si sviluppano sempre dalla combinazione di almeno tre grandi aree di fattori: la persona (con il suo comportamento, il giocare, e le modificazioni che questa azione ripetuta determina nel suo cervello), l’ambiente (le politiche, i Concessionari, i distributori, i gestori, i locali, la pubblicità e i meccanismi del gioco d’azzardo), la disponibilità e l’accessibilità degli strumenti (le slot-machine, il gratta e vinci ecc.). Se manca uno soltanto di questi tre sistemi, non può esserci un problema legato al gioco d’azzardo né, ovviamente, la “ludopatia”. Perciò, come nel caso del consumo di bevande alcoliche, del fumo di sigaretta e delle droghe illegali, i problemi non piovono dal cielo ma dipendono dalle azioni delle singole persone e possono essere prevenuti o diminuiti facilmente con scelte di stili di vita sani, liberi dal consumo di sostanze (alcol-fumo-droghe) e da comportamenti dannosi come il gioco d’azzardo e altri.
Nell’approccio medico la diagnosi è centrata sulle complicanze del gioco e spesso non individua le risorse; il soggetto del cambiamento è il professionista, mentre la persona malata svolge un ruolo passivo e si fa “curare”; l’attenzione è rivolta principalmente a segni e sintomi misurabili (fino ad un certo punto, trattandosi quasi esclusivamente di problematiche di tipo psico-sociale). La sola cura medica del gioco d’azzardo (ad esempio con psicofarmaci) è destinata a fallire, soprattutto perché parte da un presupposto fondamentalmente sbagliato e cioè che il gioco d’azzardo sia una malattia. Occorrono strumenti e risorse in chiave multidimensionale, che coinvolgano non solo il mondo medico-psico-socio-educativo, ma anche le famiglie, le Comunità locali e le Amministrazioni pubbliche, a tutti i livelli, con provvedimenti seri e indipendenti dagli interessi commerciali delle lobby e delle mafie del gioco, senza legami ambigui e pericolosi.
4. È consolidata l’idea che le conseguenze negative legate al gioco d’azzardo riguardino soltanto una ristretta minoranza della popolazione (quella che gioca in maniera «esagerata»). Si tende inoltre a focalizzare l’attenzione sui danni gravissimi (talvolta tardivi e terminali) causati dal gioco e si trascurano le sue conseguenze negative immediate (la prima giocata) e il rischio altissimo di problemi più gravi. Anche una sola giocata, indipendentemente dalla quantità, può provocare danni (ad esempio, una bolletta del gas non pagata, con successivo distacco della fornitura, perché i soldi sono finiti nella slot-machine). Fra l’altro, anche se non si gioca affatto, si possono comunque avere danni, talvolta molto gravi e mortali, provocati da altri che giocano (un familiare o un conoscente), con modalità varie e in qualsiasi fase.
Il danno, il pericolo e il rischio sono quasi sempre indefinibili, per la negazione, il nascondere, il sotterfugio e le bugie di chi gioca e la complicità consapevole-inconsapevole dei familiari e degli amici. Non è possibile definire una quantità minima di giocate (per numero ed entità della posta) che non provochi danni. Non è possibile, nella pratica, definire nettamente la separazione fra gioco “responsabile” e gioco “patologico”. Ma c’è un gioco “non patologico”? Il giocare d’azzardo, per sua natura, è sempre irresponsabile e sempre “patologico”. Il giocare responsabile e normale è non giocare d’azzardo.
Il principio della massa critica insegna che quanto più alto è il numero di persone che hanno un certo comportamento (fanno o dicono certe cose), tanto più aumenterà il numero di persone che avrà quel comportamento. Ne sono esempi lampanti l’uso del telefono portatile, la diffusione delle automobili, del piercing, del tatuaggio. È inoltre dimostrato che, per quanto riguarda i comportamenti a rischio, più alto è il numero di coloro che, ad esempio, consumano sale da cucina, tanto più sarà numeroso il gruppo di soggetti con ipertensione arteriosa. In una certa popolazione questo numero varia, in maniera direttamente proporzionale, alla quantità di sale consumata. Non è dato sapere in anticipo chi svilupperà una ipertensione arteriosa e chi no.
Questo principio vale anche per il consumo di bevande alcoliche, per il fumo di sigaretta, per le droghe illegali, per il gioco d’azzardo.
5. Giocare d’azzardo è un comportamento che crea sempre, in ogni caso, un danno multidimensionale. I problemi sono di tipo finanziario (debiti con amici, Banche, Finanziarie, usurai; ipoteche, vendita segreta di beni di famiglia); penale (furti, truffe, falsificazione della firma); familiari (liti, violenze, separazioni, divorzi); lavorativo (ritardi, assenze, scarsa produttività, licenziamento); scolastico (scarso rendimento o interruzione degli studi); psicologico (depressione e tentati suicidi; bassa autostima; uso di bevande alcoliche, tabacco e altre droghe; disturbi d’ansia; disturbi del sonno); fisico (legati all’intenso e prolungato stress: gastrite e ulcera gastrica, cardiopatie ischemiche, ipertensione, cefalee, alterazioni immunitarie, problemi dermatologici, crisi d’astinenza).
Il danno è sistemico, perché non riguarda soltanto la persona che gioca, ma anche la sua famiglia, i parenti, gli amici e i conoscenti, le persone truffate e i creditori, tutti gli altri cittadini (che si troveranno a pagare più tasse per i costi delle cure mediche e psicologiche dei giocatori, comprese le Comunità Terapeutiche specializzate che vanno proliferando ad hoc).
Il danno è indeterminato (nessuno sa quanti guai avrà e quali), imprevedibile (nessuno di coloro che hanno giocato la prima volta ha mai pensato di arrivare ad avere tanti problemi: “a me non capiterà, perché so come controllarmi e poi non sono mica stupido …”); soggettivo e dinamico (con differenze ovvie fra persona e persona, con il variare dei contesti, delle giocate e di molte altre variabili, tenuto conto anche dei tempi e delle vite individuali). Non tutte le persone che giocano sono uguali, come non uguali sono i problemi che affrontano. Persone con problemi di gioco si ritrovano in tutti i gruppi di età, di reddito, etnici e professionali, senza distinzione di sesso. Alcune sviluppano problemi immediatamente, altre li manifestano dopo anni.
Per questi motivi ritengo fuorviante e pericoloso distinguere categorie di rischio (basso, medio, alto) e la relativa classificazione artificiosa in giocatori “occasionali” o “moderati”, giocatori “problematici”, giocatori “eccessivi”, giocatori “patologici”. Si dimentica una verità incontrovertibile: il gioco d’azzardo è sempre dannoso. Punto.
Adelmo Di Salvatore, Psichiatra e Psicoterapeuta adelmodisalvatore@gmail.com
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