Batteri resistenti agli antibiotici: come fare?
Una nuova tecnica consente l’individuazione di potenziali farmaci per combattere i batteri resistenti agli antibiotici
Come spiegato nel comunicato stampa dell’American Society for Microbiology World Microbe Forum, i ricercatori della Miami University in Ohio hanno ottimizzato una nuova tecnica che consentirà agli scienziati di valutare come agiscono i potenziali inibitori sui batteri resistenti agli antibiotici.
Questa tecnica, chiamata spettrometria di massa a stato nativo, fornisce agli scienziati un modo rapido per identificare i migliori candidati per farmaci clinici efficaci, in particolare nei casi in cui i batteri non possono più essere trattati con i soli antibiotici.
L’abuso di antibiotici nell’ultimo secolo ha portato ad un aumento della resistenza batterica, portando a molte infezioni batteriche che non sono più curabili con gli attuali antibiotici.
Per questo si trovano delle alternative come l’uso della terapia combinata farmaco/inibitore – come succede per l’Augmentin, un antibiotico usato per trattare le infezioni batteriche delle vie respiratorie, che è composto dall’antibiotico amoxicillina e dall’inibitore dell’acido clavulanico. L’acido clavulanico inattiva una proteina chiave che il batterio utilizza per diventare resistente all’amoxicillina. Con la proteina batterica inattivata, l’antibiotico, l’amoxicillina, viene lasciato uccidere i batteri, curando così l’infezione.
Prima che qualsiasi nuovo inibitore possa essere utilizzato in clinica, gli scienziati devono avere una comprensione completa di come funziona l’inibitore.
In questo studio, i ricercatori hanno studiato una proteina batterica chiamata metallo-beta-lattamasi, che rende molti ceppi clinici di batteri resistenti a tutti gli antibiotici simili alla penicillina – che costituiscono oltre il 60% dell’intero arsenale di antibiotici disponibile per il trattamento delle infezioni batteriche.
Mentre molti laboratori di ricerca in tutto il mondo stanno tentando di creare nuovi inibitori che inattivano le metallo-beta-lattamasi, l’autrice della ricerca Caitlyn Thomas e i suoi collaboratori hanno invece deciso di analizzare come funzionano questi nuovi inibitori.
“Poiché le metallo-beta-lattamasi contengono due ioni metallici, siamo in grado di utilizzare una varietà di tecniche spettroscopiche per studiarle”, ha affermato Thomas.
“Questi esperimenti ci danno maggiori informazioni su come si comporta l’inibitore e se potrebbe essere potenzialmente un candidato per l’uso clinico in futuro”.
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