vaccino fake news

Ci vuole un vaccino per la disinformazione

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Secondo uno studio, gli utenti dei social media sono più propensi delle altre persone ad essere male informati sui vaccini

Il mondo online è un mondo molto impervio, in cui si possono trovare articoli e sedicenti studi che vanno da varie teorie della cospirazione al terrapiattismo. Per questo la disinformazione sui vaccini ha trovato una casa così accogliente sul web.

Un recente sondaggio che è stato fatto negli Stati Uniti ha rilevato che è probabile che il 20% degli americani sia mal informato sulle vaccinazioni e che è molto probabile che la causa della disinformazione sia da trovare online.

Nel 2019, gli Stati Uniti hanno assistito al peggior focolaio di morbillo in 25 anni, anche dopo che questa malattia era stata eliminata a livello nazionale nel 2000.

E così, tra la primavera e l’autunno del 2019, i ricercatori dell’Annenberg Public Policy Center della University of Pennsylvania hanno lanciato due sondaggi per capire se potevano esserci dei motivi nelle modalità in cui ci si informava.

Hanno scoperto che durante quel periodo il 19% dei livelli di disinformazione sui vaccini degli intervistati è cambiato in modo sostanziale – di questi, il 64% era diventato più disinformato.

Hanno anche scoperto che, ai fini dell’informazione o della disinformazione, era molto importante il luogo in cui avevano trovate queste informazioni sui vaccini contro il morbillo.

Coloro che avevano trovato le notizie sui social media avevano maggiori probabilità di essere disinformati rispetto a coloro che avevano usufruito dei media tradizionali.

Il team dietro il sondaggio ha spiegato che i risultati mostrano solo correlazione, non causalità, ma ci tengono anche a sottolineare che i loro risultati suggeriscono che «aumentare la quantità di contenuti pro-vaccinazione nei media di tutti i tipi può essere utile a lungo termine».

Facebook , Twitter , Instagram e gli altri lottano da tempo contro le fake news e la disinformazione presente sulle loro piattaforme, ma forse non basta. Dobbiamo fare altro?

È questa la domanda che resta.

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