Vino: viaggio nella Valpolicella che diventa bio
In occasione di Vinitaly abbiamo incontrato le cantine della Valpolicella che hanno deciso di puntare sul vino biologico e biodinamico
La Valpolicella è una zona di grandi vini che si estende a ovest di Verona e confina con l’imbocco della Val d’Adige. Qui si produce l’Amarone, uno dei vini rossi italiani più rinomati e richiesti all’estero. In Valpolicella ci sono 7.435 ettari coltivati a vite e secondo Assoenologi valgono 4 miliardi di euro. La produzione complessiva della zona arriva a 60 milioni di bottiglie, l’80% è destinato al mercato estero.
In occasione di Vinitaly, la più grande fiera dedicata al vino italiano che si tiene proprio a Verona abbiamo incontrato alcuni produttori della Valpolicella che hanno deciso di puntare sul biologico.
A livello nazionale il biologico rappresenta ormai l’11% della superficie vitata e una produzione potenziale di 5 milioni di quintali di uva da vino, con un peso di oltre il 7% sul totale nazionale.
Tutti i produttori che abbiamo incontrato vantano un legame profondo con la loro terra: sono imprenditori, ma passano anche tanto tempo tra le vigne. C’è anche la coscienza che investire sulla qualità, sulla salute e sul rispetto dell’ambiente garantirà a lungo tempo dei buoni frutti a livello economico. Forse, per mantenere il successo dei vini della Valpolicella, una chiave sarà rispettare sempre di più questo territorio meraviglioso.
Corte Sant’Alda abbraccia i dettami dell’agricoltura biodinamica (è l’unica cantina della zona certificata Demeter) e produce i vini classici della zona: Valpolicella, Ripasso, Amarone e Recioto. Una filosofia di lavoro e di vita che Marinella Camerani riassume così: ‘bisogna accompagnare la vite in un percorso naturale; gli interventi agronomici devono essere di solo affiancamento e i trattamenti devono essere finalizzati più a rimuovere le cause che a combattere gli effetti, il tutto rispettando i tempi della natura’.Tutte le uve, specificano a Corte Sant’Alda, vengono raccolte a mano nel momento di ottimale maturazione e le fermentazioni dei vini partono spontanee (lieviti indigeni).
Pochi stand a fianco troviamo la cantina Monte dall’Ora; anche in questo caso la storia dei vini si fonde con quella delle persone: ‘È stata una scelta di vita’ ci spiega Carlo. Marito e moglie hanno infatti abbandonato anni fa i vecchi lavori per dedicarsi insieme alla vite. Dopo 5 anni di lavoro è arrivata la certificazione bio. Anche in questo caso il rapporto con la natura è all’insegna del rispetto: ‘ci sono delle annate difficili, come il 2014, e in questi casi l’Amarone non lo produciamo’, ci spiega; una scelta sicuramente difficile dal punto di vista economico (è il prodotto di punta), ma che sottolinea ancora una volta il rispetto dei ritmi della natura e il rifiuto di ogni forzatura. È la filosofia del ‘fare meno per fare bene’, perché, come ci spiegano, ‘se si forza troppo si perde l’equilibrio’. Anche loro sono indaffarati a far assaggiare i classici vini della zona ai tanti visitatori: un Valpolicella giovane e di facile beva e un Amarone intenso e fruttato.
La conferma che il biologico sta prendendo piede anche in aziende più grandi ce lo dà Luca Speri dell’omonima cantina. Luca è in viaggio 150 giorni all’anno per vendere Amarone e Valpolicella sui mercati di tutto il mondo. E lo si nota dalla fila di americani prensenti al suo stand a Vinitaly. In questa intervista ci spiega il significato della conversione al biologico dell’intera produzione dell’azienda di famiglia. Una scelta strategica che darà i suoi frutti migliori tra 40 anni. Nell’immediato la cantina può festeggiare gli ottimi punteggi che i suoi vini hanno ottenuto nelle valutazioni di Robert Parker sull’ultimo numero di Wine Advocate: 93 punti per Amarone della Valpolicella Vigneto Monte Sant’Urbano 2010 e 91 punti per il Ripasso 2012.
Abbiamo incontrato anche un’altra cantina attenta alla sostenibilità, ma che non è certificata bio, né intende certificarsi. A cantare fuori dal coro è Celestino Gaspari, enologo dal lungo curriculum e fondatore della cantina Zým?.
‘Io sono nato in una fase in cui non esistevano erbicidi o pesticidi – spiega -; si usavano solo rame o zolfo di miniera. Poi ho vissuto l’evoluzione degli anni ’70 e ’80 quando l’industria ha buttato di tutto e di più nei campi. Ho visto un impoverimento del suolo: vai a eliminare parte della microflora e microfauna (insetti) e vai quindi a rompere l’ecosistema’.
L’accusa che rivolge al sistema delle certificazioni è l’eccessiva burocrazia: ‘Avevo tentato di rientrare nel sistema di riconversione al biologico alcuni anni fa: abbiamo perso tre giorni di burocrazia, ogni volta che avevo finito c’era qualcos’altro da fare. Per fare quello che dovrebbe essere normale avrei bisogno di un’altra persona a gestirmi il livello burocratico’.
E sulla corsa ‘di massa’ al biologico Celestino va cauto: ‘non si inventa dall’oggi al domani, neanche in cinque anni. O hai avuto la fortuna di un passaggio generazionali che ti ha trasmesso delle conoscenze o devi metterti nell’ordine di idee che ci vogliono anni e anni, errori ed errori. Ad esempio, per l’appassimento delle uve un tempo c’era la capacità di selezionare i grappoli che potevano durare con un appassimento naturale; ora si pensa che le macchine che muovono l’aria e controllano l’umidità e la temperatura facciano tutto. Così questa esperienza si sta perdendo’.
Abbiamo avuto modo di visitare la nuova cantina Zým?: le botti riposano in una antica cava quattrocentesca, denominata ‘la Mattonara’ che garantisce, oltre a un fascino senza tempo, condizioni di umidità e temperatura ottimali per l’affinamento dei vini in barrique.
Sul tetto di questa cantina, un’opera di design unica progettata dall’architetto Moreno Zurlo, troviamo un manto di celle fotovoltaiche che sfrutta l’energia solare per produrre energia elettrica. Durante la serata di degustazione, culminata con una verticale sull’Amarone della casa, erano presenti operatori da tutto il mondo: tedeschi, giapponesi e sudamericani; consigliamo l’annata 2003, semplicemente superba.
a.po
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