Abitare sostenibile/2 La bioedilizia, storia di una teoria tutta europea

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La bioedilizia è nata alla fine degli anni Settanta in Germania in seguito alla crisi energetica del ’73 che coinvolse il mondo intero. Aboliti materiali isolanti, pavimenti di cemento, colle sintetiche e vernici impermeabili. Non si tratta di una moda nè di una pratica radical chic

 

Bioedilizia, green building, bioarchitettura o architettura sostenibile: anche se può sembrare un concetto facile da comprendere, non tutti conoscono in cosa consiste veramente. Sfatiamo un po’ di miti: non si tratta di una moda che fa “chic”, né di una idea di un gruppo di architetti con il pallino dell’ecologia, come non si tratta di un lusso per pochi eletti. La bioedilizia è nata alla fine degli anni Settanta in Germania, in seguito alla grande crisi energetica che nel’73 ha coinvolto tutto il mondo. Così, molti studiosi hanno iniziato ad interessarsi alle fonti alternative al petrolio per il rifornimento di energia alle abitazioni, privilegiando quella solare, e a diffondere le proprie idee in tutta Europa e Oltreoceano.

 

Alcuni dei principi che fanno capo alla bioarchitettura sono, come sosteneva l’architetto e teorico norvegese Christian Norberg-Schulz, la creazione di luoghi significativi per aiutare l’uomo ad abitare, nel pieno rispetto del genius loci (lo spirito del sito); il concepimento di edifici flessibili e riadattabili nel tempo; e l’utilizzo di materiali e tecniche ecocompatibili, preferibilmente appartenenti alla cultura materiale locale. Gli architetti della nuova scuola, negli anni, fecero significativi passi avanti sperimentando e dando importanza all’ombreggiamento, all’isolamento termico, alla ventilazione, alla deumidificazione, alla protezione da precipitazioni atmosferiche, e più attenzione all’illuminazione naturale e a quella derivante da fonte solare. Il sapiente impiego delle risorse naturali hanno dato vita a caratteristiche abitative di tipo “reattivo”, in grado, cioè, di adattarsi all’ambiente esterno e ai cambiamenti climatici, e ad una forte sperimentazione di materiali da costruzione “poveri” o non tradizionalmente impiegati in questo settore: la pietra, il legno, il gesso, la calce e, al posto di vernici, colle, smalti e pitture di derivazione chimica, altri completamente naturali, come la cera d’api e vernici con pigmenti naturali. Nel costruire, la bioedilizia comincia col considerare attentamente l’esposizione della facciata d’ingresso, preferibilmente rivolta a Sud per usufruire al massimo della luce e del calore del sole: anche gli altri ambienti vengono situati in aree idonee, scelte secondo una giusta combinazione di luce ed ombra.

 

Aboliti materiali isolanti, pavimenti di cemento, colle sintetiche e vernici impermeabili: la casa deve “respirare”, e in questo modo si evita di produrre un pericoloso inquinamento degli ambienti interni, aria viziata ed esalazioni derivanti da altri materiali da costruzione. Inoltre, tipico di una casa ecologica è la presenza di piante, che liberano ossigeno e trattengono anidride carbonica: inoltre, il terriccio, grazie ai microrganismi in esso contenuti, assorbono gas ed esalazioni nocive, come l’ossido di carbonio, mentre le foglie trattengono il pulviscolo e la fuliggine. (Flavia Dondolini)

 

 

 

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