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Senza filtri: Black Lives Matter

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Casa è successo veramente in America? Lo sguardo attento e senza filtri su un fenomeno di portata mondiale, dal nostro corrispondente Marcello Sasso

Ho aspettato un po’ a scrivere qualche riflessione su quello che è accaduto ormai mesi fa negli Stati Uniti. Ma cosa è successo e perché’ è diventato un fenomeno di portata mondiale?  

Cerchiamo di analizzare alcuni fatti senza cadere in particolari simpatie o antipatie.

Dunque, come tutti sanno, è successo che alcuni agenti di polizia, in fase di arresto, hanno utilizzato metodi aggressivi per immobilizzare l’ormai famoso George Floyd che, non potendo respirare a causa dell’immobilizzazione violenta, è deceduto. L’arrestato era un uomo di colore.

Inizialmente la protesta è montata contro i metodi spesso violenti della polizia.

Per poi essere estesa alla causa razziale, poiché in diversi altri casi alcuni agenti di polizia sono stati sorpresi ad applicare maniere più forti nei confronti delle persone di colore.

Fin qui tutto chiaro.

La protesta scende in strada nei confronti di quei poliziotti violenti che macchiano l’onore dei cosiddetti “first responders”, tanto amati dagli americani durante l’11 settembre.

Attenzione, si protesta inizialmente contro i modi di alcuni agenti, chiedendo che i corpi di polizia vietino tali atteggiamenti, perché le vite delle persone di colore valgono quanto quelle dei bianchi e/o altre etnie.

Dunque, si protesta contro i metodi, non contro la polizia come corpo.

Non tutti sanno però che negli Stati Uniti esistono migliaia di lobby, più o meno politicizzate, che sostengono i partiti politici e ne finanziano le campagne elettorali. Non fa eccezione il corpo di polizia.

Il FOP, Fraternal Order of Police è una lobby dei dipendenti dei corpi di polizia.

Non bisogna dimenticare che a novembre ci sono le elezioni per eleggere il prossimo Presidente degli Stati Uniti. Una corsa che sta dividendo sempre più la nazione tra Democratici e Repubblicani. Il FOP ha spesso avuto un orientamento Repubblicano, e lo fece anche nel 2016, appoggiando il candidato di allora Donald Trump.

Dunque, una battaglia per i diritti umani, e il rispetto delle varie etnie, si è trasformato pian piano in un terreno di guerra per interessi politici, snaturandone la vera ragione.

Bisogna dire che se da una parte Donald Trump è una personalità controversa che può piacere o non piacere agli americani, soprattutto per le sue politiche sull’immigrazione, dall’altra parte Joe Biden è un candidato poco carismatico e debole per contrastare un falco repubblicano.

L’elettorato di colore, poi, è stato uno zoccolo forte del governo di Barack Obama, di cui Biden era il vice.

Allora quale occasione più ghiotta per giocarsi consensi elettorali? Pian piano le folle cominciano ad essere più organizzate e strutturate e tra le file di chi protesta, cominciano a spuntare politici più o meno in incognito. La protesta si fa più violenta. Il focus si è spostato sui corpi di polizia e le istituzioni che li regolano, non più sul comportamento di pochi.

Non si chiede più a chi vigila di controllare, ma si demonizza l’intero sistema.

A Columbus, in Ohio, succede addirittura che un componente di maggioranza e il presidente del consiglio comunale, cioè l’organo che può regolare l’esercizio della polizia comunale, vengono travolti dalla reazione della polizia che ha utilizzato spray al peperoncino.

Ma che ci facevano esponenti di maggioranza del consiglio comunale a protestare contro il consiglio comunale, e quindi contro sé stessi?

Purtroppo, la risposta, a cui siamo arrivati in tanti, non è bella. Per giorni bisognava creare una continua provocazione nei confronti della polizia per generalizzare le ombre su tutti i corpi di polizia, e chiederne il depotenziamento in termini di finanziamento.

In un paese dove le elezioni le vince chi riceve più finanziamenti, diventa di vitale importanza indebolire le lobby che finanziano l’avversario.

Ma non solo. Il presidente Trump aveva inviato la guardia nazionale per creare un cuscinetto imparziale tra i protestanti e la polizia, ma la generalizzazione della protesta a tutte le forze di polizia, ha fatto sì che la guardia nazionale diventasse un ulteriore obiettivo per le proteste. Bisognava colpire il presidente, a cui risponde la guardia nazionale.

Provocando una reazione violenta della guardia nazionale, si sarebbe potuto accusare lo stesso presidente di violenza.

Abbiamo vissuto, quindi, settimane di tensione continua, dove non è arrivata la risposta violenta della guardia nazionale ma una provocazione di risposta da parte del presidente Trump, in occasione della sua camminata dalla Casa Bianca verso la vicina chiesa di St. John con una Bibbia in mano, scortato dalla guardia nazionale, suscitando molte critiche.

Ed ora? A distanza di due mesi, cosa è successo? Esiste ancora il movimento Black Lives Matter?

A parte alcuni cartelloni che citano lo slogan, posizionati nei giardini di fianco a quelli “Biden for President”, le proteste sono in gran parte finite, solo poche città ancora parlano di ridurre i fondi per i corpi di polizia, mentre in altre, come Seattle e Portland, si riaccendono le proteste e gli scontri si stanno facendo più cruenti. Dopo mesi di proteste, la polizia e il FOP ne escono con le ossa rotte e Trump ha perso diversi punti percentuali in termini di consensi.

Macchiavelli diceva che il fine giustifica i mezzi.

Ma creare divisioni in che modo può giovare alla democrazia di una nazione? Le campagne elettorali americane sono ormai famose per la loro intensità, e volte anche per il tasso di ferocia e aggressività che le caratterizza. Mancano ancora quattro mesi a novembre, ma la temperatura è già abbastanza alta.

Marcello Sasso
Vice President – Aimpoint Research

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