Energia: gli Usa crescono, il Nord Africa ci stupirà
Ieri a Washington DC l’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, è stato invitato ad aprire i lavori sul nuovi scenari mondiali dell’energia all’Atlantic Council. Pubblichiamo una sintesi del suo intervento
Energia e geopolitica sono da sempre legate tra loro: Stati Uniti, Russia e Nord Africa sono tra i protagonisti di questo periodo storico. Occcuparmi di questi Paesi è il mio lavoro. Penso a Russia, Libia e Algeria ogni giorno ed è alla loro situazione che rivolgo il mio ultimo pensiero prima di addormentarmi. Questo perché Eni compra gas dalla Russia ogni anno per 8 miliardi di dollari, il che ci rende il primo cliente di Gazprom al mondo, ed è di gran lunga la prima società petrolifera internazionale del Nord Africa. Paesi questi che, oggi piu che mai, sono influenzati da ciò che succede negli Stati Uniti.
La rivoluzione dello shale gas in America ha cambiato le dinamiche della competizione globale. Gli Stati Uniti già godevano rispetto all’Europa di un vantaggio competitivo offrendo da sempre un contesto favorevole all’industria e al mondo degli affari con leggi e regole pragmatiche, una forza lavoro qualificata e flessibile e un grande mercato. Oggi la buon notizia per gli Stati Uniti è che possono contare su tutta l’energia di cui hanno bisogno a prezzi imbattibili. Quella che è un’ottima notizia per gli Stati Uniti non lo è per la nostra Europa. La nostra industria, già mortificata dal calo della domanda e da un mercato del lavoro ancora troppo rigido, deve ora competere con l’industria americana che paga il gas un terzo di quella europea e l’elettricità meno della metà. Come le buone idee e i capitali anche gli investimenti industriali hanno le gambe e non esitano a traslocare nella regione del mondo che offre tutto ciò che l’Europa stenta a dare. Questo ha contribuito alla diminuzione della domanda di gas in Europa del 15% rispetto al 2008, un fenomeno che non trova analogie dal secondo dopoguerra e che non si arresterà da solo. Certo, la nostra industria potrebbe beneficiare dei prezzi dello shale gas americano quando sarà esportato. Ma ciò non basta per renderla competitiva con gli Stati Uniti perché tra costi di liquefazione, trasporto e rigassificazione il gas costerà comunque il doppio rispetto agli Stati Uniti. Se l’Europa ambisce a un rinascimento industriale — con ricadute positive in termini di crescita e occupazione — deve inventarsi un «new deal energetico». La prima priorità è lo shale gas, che probabilmente in Europa c’è e in quantità rilevanti. Per sfruttarlo appieno serve però un consenso politico, che manca. Proprio lo scorso fine settimana il presidente francese, Francois Hollande, ha dichiarato che fino a quando rimarrà in carica non ci sarà alcuna attività per lo shale gas in Francia. Quindi per poter accedere alle promettenti risorse di shale gas francesi l’Europa dovrà aspettare che il presidente Hollande cambi idea o che la Francia cambi il suo presidente.
Altri possibili interventi per assicurare energia a basso costo potrebbero essere il miglior sfruttamento degli idrocarburi convenzionali, l’efficienza energetica. In un mondo ideale ci potrebbe essere anche il nucleare. Ma c’è anche un’altra soluzione: l’Europa potrebbe rafforzare i legami politici con i suoi tradizionali fornitori di gas; Algeria, Libia e soprattutto Russia. Gli interessi di lungo periodo dell’Europa coincidono con quelli dei suoi fornitori. Per sopravvivere, le nostre imprese hanno bisogno di poter contare su gas a prezzi competitivi. La Russia ha tutto l’interesse ad avere un’Europa industriale forte e in crescita essendo il mercato di sbocco naturale dei suoi idrocarburi. Se le compagnie europee emigrassero negli Stati Uniti sarebbe un danno per tutti: i giovani europei non avrebbero lavoro e i giovani russi non avrebbero a chi vendere il gas. Al contrario, se le nostre aziende potessero avere gas russo in abbondanza a prezzi competitivi sarebbe un grosso vantaggio per entrambi. Non credo che la Russia possa diventare il nostro Texas in tempi brevi. Vi è ancora molta diffidenza soprattutto politica, ma quando gli interessi economici sono così vicini una strada prima o poi la si trova.
Altro tema fondamentale dello scenario energetico mondiale è l’evoluzione del Nord Africa. L’Algeria, recente vittima di un grave attacco terroristico, sta per affrontare nuove elezioni presidenziali. Faccio parte di coloro che pensano che l’attacco al campo di In Amenas sia stato un evento isolato, e che l’Algeria, con le sue istituzioni solide e con una ricchezza petrolifera ben gestita, sarà capace di affrontare al meglio il proprio futuro. Anche sull’Egitto sono ottimista. Certo, i recenti episodi di violenza sono motivo di preoccupazione. Ma l’Egitto ha dalla sua una classe media forte e istituzioni solide, elementi che sosterranno la stabilizzazione. La preoccupazione principale è che il Paese è sempre più povero. Le manifestazioni di Piazza Tahrir sono certamente positive per il processo di democratizzazione in Egitto ma non incoraggiano il turismo, la principale fonte di ricchezza del Paese. La situazione sembra migliorare, le piazze sono meno frequentate e spero che non sia solo un effetto del Ramadan. Il guado più difficile lo sta attraversando la Libia, che si trova a costruire uno stato dopo più di 40 anni di dittatura. Al momento, in Libia, sono armati praticamente tutti — tranne il governo che non dispone di un esercito. Ma anche la Libia ha punti di forza sui quali fare leva. Politici e cittadini stanno affrontando la situazione con molta pazienza. Inoltre la Libia è potenzialmente un Paese ricchissimo, con meno di 6 milioni di abitanti e 2 milioni di barili al giorno di capacità produttiva di idrocarburi. Potrebbe essere un altro Qatar, Kuwait o Abu Dhabi, un buon punto di partenza per costruire uno Stato solido. In conclusione, gli Stati Uniti hanno davanti anni di grande crescita, l’Europa dovrà reinventarsi per rimanere competitiva e il Nord Africa smentirà i pessimisti diventando una regione forte e florida. (com)
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