Aggressione pitbull, veterinario: “Non demonizzare ma vanno gestiti con regole severe”
(Adnkronos) – "Il pitbull non è una razza più aggressiva di altre. E' vero che nel 2024 ci sono state diverse aggressioni e anche il bimbo morto" ad Eboli, "ma demonizzare il pitbull è riduttivo e troppo superficiale. C'è un dato numerico, ci sono tantissimi esemplari in giro perché è un cane che va di moda tra quelli di media-grossa taglia. Succedeva anni fa con i dobermann anche loro presi di mira per le aggressioni e anche loro di moda in passato. Ma quando si porta in casa, con anche dei bambini, un pitbull si deve essere consapevoli che è un cane che ha un morso che può uccidere. Io non sconsiglio questa scelta alle famiglie, ma ripeto che i pitbull vanno gestiti, devono avere regole severe e capire che c'è un capobranco che è il padrone. Altrimenti le regole se le fanno loro ed è un disastro". Lo spiega all'Adnkronos Salute Federico Coccìa, veterinario di Roma, dopo l'aggressione a una bambina – ricoverata in gravi condizioni al Niguarda a Milano – da parte di un pitbull. Perché la moda pitbull? "La maggior parte delle persone lo prendono perché è un cane che dà soddisfazione – risponde il veterinario – E' molto possessivo, ma si affeziona tanto alla famiglia. Diciamo che affettivamente riesce a dare molto ai proprietari. Dall'altra parte, però, va educato molto bene. Serve un polso fermo e deve capire chi comanda". Sul tema è intervenuto anche lo psichiatra Claudio Mancacci secndo il quale la parola d'ordine è "prima di tutto educazione: educazione dei cani, magari a loro volta vittime di traumi e non sufficientemente curati né attenzionati; educazione dei bambini nell'interazione con l'animale; educazione dei padroni". "Le aggressioni sono un fenomeno in crescita", insieme alla "diffusione dei cani e anche di cani che non sono un ornamento, uno status symbol da esibire come fossero supercar, bensì animali che devono essere educati e che bisogna saper gestire e trattare", è la riflessione dell'esperto, co-presidente della Società italiana di neuropsicofarmacologia (Sinpf) e direttore emerito di Psichiatria all'Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano. Il cane va addestrato perché "il tema è anche la tutela degli animali, oltre che ovviamente dei bambini", spiega Mencacci all'Adnkronos Salute, e "va addestrato il padrone". Che se necessario, ragiona lo specialista, "deve farsi aiutare nell'educare l'animale alla presenza in ambienti urbani e non urbani, dove più facilmente può mancare l'abitudine all'interazione uomo-cane. E' un problema di educazione diffusa", insiste lo psichiatra, "compresa l'educazione dei bambini da parte dei genitori che, se da un lato hanno il compito di sorvegliare i figli, dall'altro sono chiamati anche a educarli su come avvicinarsi a un cane e gestire il rapporto con l'animale". Il rischio, avverte l'esperto, è di compromettere per sempre una relazione che è invece importantissima nel percorso di crescita dei piccoli. "Parliamo di soggetti, i bambini e i cani – precisa Mencacci – che hanno entrambi delle reazioni molto impulsive, per entrambi mosse spesso da sentimenti di paura, ma in un rapporto di forza totalmente sproporzionato". Per interagire alla pari, conclude lo psichiatra, l'educazione è il primo comandamento. Ma che succede quando l'amico più fedele, il compagno di tanti giochi, all'improvviso diventa nemico e si rivolta, ti attacca e ti ferisce? Un cane che aggredisce un bambino è per la vittima "un trauma che resta e può durare una vita. Un episodio che segna, condizionando l'atteggiamento verso il futuro che rischia di essere un futuro fatto di paura". "Dal punto di vista clinico – precisa lo psichiatra – le ripercussioni psicologiche sono particolarmente pesanti e persistenti se l'aggressione avviene prima dei 6 anni d'età. Quando esposti a questo genere di violenza, i bambini più piccoli sviluppano un trauma che si può manifestare in diversi modi", illustra Mencacci. "Innanzitutto con l'evitamento di tutto ciò che può in qualche modo ricordare l'aggressione subita: i luoghi, le situazioni, a volte anche le persone che hanno assistito alla violenza e che a questa vengono associate", descrive lo specialista. Ma nel bimbo possono insorgere anche "un senso di confusione – elenca – una perdita di interesse o di partecipazione a ciò che lo circonda. E se l'aggressione è stata forte, può scattare un comportamento socialmente ritirato", quindi una propensione all'isolamento, una diffidenza non solo verso gli animali, ma anche verso l'uomo. Ancora, prosegue Mencacci, "il piccolo aggredito potrà mostrare maggiore irritabilità, anche con esplosione di rabbia. E poi uno stato di ipervigilanza, come se vivesse in un perenne stato di allarme". Infine "difficoltà del sonno, con problemi ad addormentarsi o con incubi. Insomma il trauma rimane", conclude, come una ferita difficile da rimarginare. —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)