Comuni turistici, in Italia sono il 79% del totale
Roma, 7 feb. (Adnkronos) – In Italia i comuni classificati come turistici, a vario titolo (per la loro vocazione culturale, storica, paesaggistica, marittima o montana) sono la stragrande maggioranza: 6.222 su 7.926, vale a dire il 79% del totale. Dall’elaborazione del Centro studi enti locali sulla base dei dati Istat (2019), realizzata per l’Adnkronos, emerge che la dislocazione sul territorio sia ”molto disomogenea”. Sono 1.704 i comuni che l’Istituto nazionale di statistica ha bollato come ‘non turistici’. Si tratta di territori in cui non sono presenti strutture ricettive e/o dove i flussi turistici risultano assenti.
La classificazione in questione, spiega il Csel, non ha carattere meramente informativo. Infatti è stata effettuata in applicazione di una norma contenuta nel decreto legge rilancio, che aveva affidato all’Istat il compito di classificare le attività economiche con riferimento alle aree ad alta densità turistica, al fine di evidenziarne il nesso turistico territoriale e consentire l’accesso a misure di sostegno mirate in favore delle imprese dei settori del commercio, della ristorazione e delle strutture ricettive colpite dalla prolungata riduzione dei flussi di turisti.
Dai risultati, spiega il Centro studi, ”dipenderà dunque la possibilità o meno di accedere ad alcune agevolazioni pensate per aiutare gli operatori del comparto turistico a risollevarsi dalle pesanti penalizzazioni che sono state indotte dalle restrizioni imposte per contenere i contagi da Covid 19”.
Circa un quinto delle presenze registrate nelle strutture turistiche italiane è catalizzato da 12 grandi città. Si tratta delle amministrazioni con più di 250.000 abitanti (Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia e Verona) che, da sole, ospitano il 15,3% della popolazione nazionale, e hanno fatto registrare, nel 2019, oltre 86 milioni di giornate di presenza nelle strutture ricettive, pari al 19,7% del totale nazionale.
Tutte le città appartenenti a questo gruppo si sono collocate nel quintile più alto dell’indice sintetico di densità turistica. Un risultato raggiunto da 1.210 comuni nel complesso, il 15% del totale, spiega il Csel. Rilevanti anche le presenze di turisti registrate negli oltre 400 comuni ‘a vocazione culturale, storica, artistica e paesaggistica’. Questi sono distribuiti prevalentemente nel Centro-nord e un po’ meno nel Sud e nelle Isole. Contano poco meno di 7,4 milioni di abitanti e hanno attratto il 7,8% dei turisti nazionali.
In Molise i comuni turistici sono solo il 35%, mentre in Valle d’Aosta, Toscana e Umbria si centra l’obiettivo del 100%. Il Molise è ”l’unica regione italiana nella quale i comuni non turistici superino abbondantemente la metà, toccando addirittura il 65%”, spiega il Csel, mentre la media nazionale si ferma al 21%.
L’Istat, nell’ambito della sua classificazione ha individuato ben 89 enti su 136 che sarebbero caratterizzati da questa natura. Seconda al Molise, è la Calabria con 183 comuni non turistici su 404 (45%), seguita da Lazio (34%), Sardegna (31%), Lombardia e Basilicata (28%), Campania (29%), Sicilia (26%), Abruzzo e Piemonte (23%).
Si collocano invece nella seconda parte della classifica, quella popolata da regioni la cui percentuale di comuni non a vocazione turistica è inferiore alla media nazionale, il Friuli Venezia Giulia (11%), il Veneto e la Puglia (7%), la Liguria (5%), le Marche (4%), il Trentino Alto Adige e l’Emilia Romagna (2%). Casi limite, in positivo, la Valle d’Aosta, la Toscana e l’Umbria, che sono le uniche 3 regioni italiane in cui, stando ai dati Istat, non c’è un solo comune non turistico.
L’86% dei ristori per mancati incassi da imposta di soggiorno è andato a comuni del centro-nord, con Roma da sola ha ottenuto il 29,5% delle risorse nazionali. Mentre sud e isole hanno dovuto spartire il rimanente 14%. Il Csel ricorda che il governo è sceso in campo, per compensare le perdite dovute al covid, per un totale di 350 milioni, da dividere tra gli enti che hanno introdotto l’imposta di soggiorno. Solo uno su 6 dei comuni a vocazione turistica individuati dall’Istat (1.041 su 6.222), ha scelto di applicare nel 2020 l’imposta di soggiorno.
Trainato dalla capitale che, da sola, ha pesato per oltre 103 milioni, il Lazio ha ottenuto contributi compensativi per 106,5 milioni (pari al 30% del totale nazionale). A debita distanza, lo hanno seguito: la Lombardia con 50,8 milioni (14%), il Veneto con quasi 45 milioni (12,8%), la Toscana con 43,2 milioni (12,4%), la Campania con 21,7 milioni (6%), l’Emilia Romagna con quasi 17 milioni di euro (5%), il Trentino Alto Adige (16 milioni, pari al 4,6%), la Sicilia con 11,2 milioni (3,2%), il Piemonte con 9,6 milioni (2,8%), la Sardegna (8,2 milioni, pari al 2,3% del totale) e la Liguria (6,9 milioni, pari al 2% del totale).
Non hanno raggiunto l’1% le restanti regioni: Calabria (3 milioni circa), Puglia (2,9 milioni), Friuli Venezia Giulia e Umbria, fermi intorno a quota 1,8 milioni, la Basilicata, la Valle d’Aosta e le Marche, che hanno superato di poco il milione di euro e l’Abruzzo (700mila euro circa). Fanalino di coda, ancora una volta, il Molise con un solo comune inserito tra i beneficiari (Agnone) e un contributo quindi di soli 479 euro.
”Il balzello, richiesto ai turisti che pernottano nelle strutture ricettive presenti sul territorio, può portare nelle casse degli enti, cifre rilevanti”, ricorda il Centro studi. Importi la cui consistenza ”è stata chiaramente minata dalle norme anticontagio che, anche l’anno scorso, così come nel 2020, hanno fortemente contratto la possibilità di spostarsi sul territorio”. Per contenere gli effetti di questi ammanchi, il Governo ha distribuito, con due provvedimenti (il primo varato a luglio e il secondo nel dicembre 2021), un totale di 350 milioni di euro ai comuni a titolo di ‘ristoro parziale a fronte delle minori entrate derivanti dalla mancata riscossione dell’imposta di soggiorno o del contributo di sbarco, nonché del contributo di soggiorno’.
Di questi, 5,5 milioni sono stati utilizzati per compensare i mancati incassi derivanti da contributi di sbarco, mentre i restanti 344,5 milioni sono stati indirizzati verso gli ammanchi riconducibili a imposta e contributo di soggiorno. Chi ne ha beneficiato? In gran parte questi denari sono confluiti verso i comuni del centro-nord che da soli hanno catalizzato l’86% delle risorse. Sud e isole hanno dovuto spartire il 14% dei ristori, poco più di 49 milioni di euro. In particolare, stando alle elaborazioni di Centro Studi enti locali basate su dati del Viminale, sono state le 4 regioni del centro Italia a fare la parte del leone, assorbendo 152,7 milioni.
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