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Legge elettorale, Follini: “Prima di proporzionale ricostruire i partiti”

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Roma, 6 feb. (Adnkronos) – “La proporzionale torna di gran moda e chi, come il sottoscritto, è di quella scuola non può che rallegrarsene. A un patto però: ed è che non si metta il carro davanti ai buoi. Come invece temo si stia facendo.

La proporzionale infatti ha un grande merito: abbassa la temperatura politica del paese, liberandolo almeno in parte dalla febbre di certi estremismi. Ma essa ha anche un grande limite: per funzionare deve poggiare su solide basi di partito. E qui viene il difficile.

Detto altrimenti, e senza troppi giri di parole: sono i partiti che producono la proporzionale e non viceversa. Si può fare la proporzionale se ci sono in campo partiti degni del nome. Ma non si può fare la proporzionale contando che essa faccia nascere dal nulla partiti che non ci sono più (o che magari non ci sono ancora).

Così, chi vorrebbe una legge elettorale meno costrittiva e meno divisiva, chi vorrebbe liberare le forze politiche dall’obbligo di alleanze innaturali, chi vorrebbe sottrarre il nostro destino civile al demone della radicalizzazione, ha bisogno prima di tutto di rimettere mano -una robusta mano- all’identità dei soggetti in campo. E dunque occorre prima di tutto dedicarsi a cercare di ricostruire partiti che abbiano una cultura, un’identità, un significato, un progetto. Partiti che somiglino almeno un po’ alle parole che Mattarella ha rivolto loro, spronandoli, nel suo discorso di insediamento. Partiti cioè che promettano di durare nel tempo, e non di sfaldarsi alla prima occasione o al primo litigio. Partiti che ospitino al loro interno un dibattito, e accettino una sfida. Partiti che non sfigurino troppo al cospetto dei loro più augusti antenati. Pur sapendo che le cose non torneranno mai più al punto di prima.

Il punto debole di chi invoca la proporzionale (da ultimo, quasi tutti) è che questo lavoro di ricostruzione di un tessuto associativo non è neppure alle viste. E per l’appunto nella surreale disfida che si è svolta nei giorni scorsi alle pendici del Quirinale se ne è avuta una prova fin troppo evidente. Si sono sfaldate le coalizioni, è vero. Ma ognuno dei contendenti si è poi mosso per suo conto, in ordine sparso. Come se le decisioni sul capo dello Stato non avessero a che vedere con i disegni di partito del giorno prima e del giorno dopo. Dentro ognuno dei partiti si intravedevano disegni diversi, magari opposti. Senza però che la contesa e l’attrito tra questi disegni generasse una discussione tale da valere anche per il giorno dopo, non appena l’agenda legislativa e di governo si sarebbe ripresa i suoi diritti.

Così, oggi, ognuna delle forze in campo sembra avere a disposizione una gran quantità di esiti possibili. Il M5S può essere di Conte, ma anche di Di Maio, e le due cose sono anche politicamente agli antipodi. Il Pd può essere alleato dei grillini, ma anche no. Salvini può condurre la Lega verso la lealtà di governo o verso le praterie di opposizione. Forza Italia può coltivare le nuove oppure le vecchie alleanze. I frammenti del centro che fu possono riunificarsi o magari invece federarsi al modo di soci che non si fidano più di tanto l’uno dell’altro. E così via. Ognuna di queste scelte fa parte della politica, è ovvio. Ma il modo in cui si compirà l’una o l’altra o l’altra ancora non è affatto limpido. Manca, per l’appunto, un solido contesto di partito entro cui ogni comunità possa maturare le sue decisioni alla luce del sole, seguendo un filo logico e dandone conto, per quanto possibile, ai propri potenziali elettori.

Ora è chiaro che prospettare la proporzionale a partiti siffatti, che vanno e vengono e non danno nessuna garanzia su quel che sarà di loro, significa indurli in tentazione. Peraltro senza spingerli a migliorare e rafforzare se stessi. Mentre le cose, a mio parere, dovrebbero svolgersi all’incontrario. Prima i partiti danno prova di avere serie e nobili intenzioni. E dopo, come per conseguenza, la legge elettorale riconosce la novità politica. Capovolgere questa sequenza non porterebbe una gran fortuna. Parola di un antico (e non pentito) proporzionalista”.

(di Marco Follini)

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