Mafia, rapporto Dia: “Fenomeno sottovalutato in Lombardia”

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Milano, 20 lug. (Adnkronos) – ”Nel tempo, la sottovalutazione del fenomeno, ha sicuramente contribuito a una maggiore diffusione dell’illegalità in taluni ambiti produttivi e dei servizi del territorio lombardo”. E’ quanto emerge dalla Relazione sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia nel secondo semestre 2019”.

”Sintomatico, in tal senso, quanto accaduto nel secondo semestre del 2019, con riferimento ai diversi episodi di corruzione registrati nella Regione, non tutti riconducibili a contesti di criminalità organizzata. È il caso dell’inchiesta “Leonessa” della DDA di Brescia che ha svelato, tra l’altro, un giro di tangenti che ha coinvolto alcuni appartenenti alla pubblica amministrazione, indagati per corruzione, fra i quali due dipendenti dell’Amministrazione Finanziaria. Anche un filone dell’inchiesta “Mensa dei Poveri” 4 , concluso nel mese di novembre ha colpito 3 soggetti, indagati per ipotesi di corruzione. I reati di tipo corruttivo ed economico sono ormai divenuti strumento essenziale dei sistemi delinquenziali più evoluti. Nella regione, anche figure criminali singole o comunque non inserite in contesti mafiosi tendono a mutuare, in talune circostanze, condotte caratterizzate quantomeno dalle modalità mafiose”.

”Con l’affacciarsi di nuove classi criminali sono profondamente mutati i caratteri topici del mafioso, rispetto ai modelli radicati nell’immaginario collettivo, risultando sfumata la forza intimidatrice quale elemento costitutivo del reato di associazione di tipo mafioso. La forza della mafia attualmente si manifesta perlopiù attraverso un comportamento, un metodo – quello mafioso – che si avvale della complicità di figure inserite in ambiti economici ed amministrativi, in una complessa zona d’ombra in cui si configurano nuovi modelli associativi imperniati su una fitta convergenza di interessi. Le operazioni di polizia eseguite nel semestre, così come gli esiti di importanti inchieste giudiziarie, nonché il monitoraggio delle attività imprenditoriali operato dai Gruppi Interforze istituiti presso tutte le Prefetture della Regione, forniscono elementi di conoscenza utili per comprendere il livello di radicamento del fenomeno mafioso sul territorio regionale. Il quadro di analisi che ne scaturisce evidenzia un’elevata infiltrazione mafiosa nel tessuto imprenditoriale, nel settore degli appalti pubblici e nel rilascio delle autorizzazioni, licenze e concessioni pubbliche. Tra i settori interessati figurano la ristorazione, le costruzioni, i rifiuti, la guardiania, il trasporto di merci, le autodemolizioni e il commercio di auto”.

”Osservando i dati relativi ai beni sequestrati e confiscati nella regione, pubblicati dall’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati – ulteriore indicatore della pressione criminale comune e organizzata – la Lombardia si attesta in una posizione rilevante nella classifica nazionale. Questa si colloca, infatti, al quarto posto per numero di immobili confiscati, con 3.036 unità, dopo la Sicilia (12.552), la Campania (4.982) e la Calabria (4.744), mentre è al quinto posto per numero di aziende (358), dopo Sicilia (1.305), Campania (797), Calabria (493) e Lazio (524)”. E’ quanto emerge dalla Relazione sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia nel secondo semestre 2019”.

Dall’analisi delle interdittive antimafia adottate nel secondo semestre 2019 dai prefetti toscani sono risulta­te “maggiormente esposte agli interessi delle mafie le aziende operanti nei settori della ristorazione, delle attività ricettive, del commercio e dei servizi, per legami con la criminalità organizzata campana, calabrese e siciliana”. E’ quanto sottolinea la Direzione investigativa antimafia (Dia) nella “Relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e i risultati conseguiti dalla Dia” nel secondo semestre del 2019.

Altri elementi di valutazione circa le presenze di criminalità organizzata nella regione possono essere estrapolati dalla lettura dei dati, riferiti alla Toscana, resi noti dall’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destina­ zione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Allo stato attuale sono in corso le procedure per la gestione di ben 374 immobili confiscati, mentre altri 135 sono già stati destinati. Risultano, inoltre in corso le procedure per la gestione di 44 aziende, mentre 11 sono state già destinate.

TOSCANA – Alberghi, ristoranti, attività immo­ biliari, commercio all’ingrosso, costruzioni, attività manifatturiere ed edili, terreni agricoli, appartamenti, ville, fabbricati industriali, negozi, sono solo alcune tra le tipologie di beni sottratti alle mafie in Toscana, concentrati, seguendo un ordine quantitativo decrescente, nelle province di Lucca, Firenze, Arezzo, Pisa, Livorno, Pistoia, Prato, Massa Carrara, Siena e Grosseto.

Per quanto riguarda la ‘ndrangheta, in Toscana non risultano attivi locali, espressivi di un radicamento territoriale consolidato. Emergono, invece, presenze di esponenti delle ‘ndrine, che potrebbero rappresentare cellule prima­rie con legami di sangue tra i componenti e costituite, quindi, dalla famiglia naturale del capo-bastone, cui se ne aggregano altre. Queste operano, conformemente alle consolidate strategie della mafia calabrese, mantenendo il centro nevralgico in Calabria, ma svolgendo molte attività criminose, specie quelle connesse al reimpiego di capitali, attraverso una costante opera di proiezione fuori dall’area di origine, confondendosi nelle realtà locali dove costituiscono strutture periferiche dotate di un limitato autogoverno.

Il livello di diffusione degli interessi della ‘ndrangheta nel tessuto socio-economico toscano, emerso dagli esiti info-investigativi, tende a far ritenere la criminalità organizzata calabrese, al momento, quella più diffusa nella regione. Un territorio in cui appare attrattivo per le mafie anche per i tradizionali intenti criminali, come il traffico di droga, l’usura, le estorsioni e il riciclaggio. E proprio nel riciclaggio, abbinato a tentativi di infiltrazione dell’economia legale, i sodalizi ca­labresi in Toscana hanno confermato la tendenza a diversificare gli investimenti, rafforzando la propria presenza economico-finanziaria grazie anche ad una rete collusiva di appoggio.

MAFIA CINESE – La criminalità organizzata cinese, concentrata soprattutto nell’area che abbraccia le province di Firenze e di Prato, con propaggini in provincia di Pistoia, si conferma un insidioso fenomeno per l’intrinseca ed impenetrabile componente “solidale”, ma soprattutto per le ricadute che la contraffazione dei marchi e il contrabbando dei prodotti determinano a lungo termine sui mercati e sull’economia legale, specie nella filiera del tessile e dell’ab­bigliamento. Un settore dove, notoriamente, le ditte cinesi avviano la produzione con gravi violazioni della normativa ambientale, sanitaria e del lavoro, spesso con l’impiego di manodopera clandestina nonché irrego­larità in materia di sicurezza. Un fenomeno che viaggia parallelamente a sistemi di trasferimento illegale di capitali, desumibili anche da numerose segnalazioni per operazioni sospette e da indagini che, nel recente passato, hanno profilato ipotesi di riciclaggio. Oltre a ciò, la criminalità cinese gestisce importanti giri di affari legati allo sfruttamento della prostituzione, an­che all’interno di circoli e locali notturni, nonché bische clandestine e sale per il gioco d’azzardo.

PROSTITUZIONE – Ormai da anni sono consolidate in Toscana presenze provenienti dal Nord e Centro Africa, in particolare, elementi appartenenti ad organizzazioni di origine sia maghrebina (provenienti dal Marocco, dalla Tunisia e dall’Algeria) che nigeriana. Desta preoccupazione il fenomeno dello sfruttamento della prostituzione che spesso degenera in forme di riduzione in schiavitù.

DROGA – Il narcotraffico risulta l’attività illecita privilegiata dai gruppi criminali stranieri, poiché il consumo di sostanze stupefacenti, in crescita in tutta la regione, alimenta un mercato sempre più fiorente, che viene gestito dai sodalizi, separatamente o in sinergia, in base ai contingenti interessi delle piazze. I gruppi al­banesi (e in modo residuo i romeni) conservano una posizione dominante nel traffico, anche internazionale, di cocaina ed eroina, mentre il commercio di hashish e marijuana è gestito soprattutto dai gruppi nordafricani.

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