Marchionne, due anni senza il manager che ha rivoluzionato Fiat
Milano, 25 lug. (Adnkronos) – Sono passati due anni dalla scomparsa di Sergio Marchionne, il manager che nei 14 anni alla guida del gruppo Fiat ha trasformato l’azienda torinese, realizzando l’acquisizione di Chrysler e sbarcando nel florido mercato del Nord America. E che ha tracciato il futuro di Fca, indicando la strada delle grandi alleanze e delle fusioni. Il manager italo-canadese si è spento il 25 luglio 2018 all’ospedale universitario di Zurigo, lasciando sorpresa la sua stessa azienda. Pochi giorni prima della morte di Marchionne, il presidente John Elkann e il consiglio di amministrazione di Fca avevano dovuto accelerare il cambio al vertice, nominando amministratore delegato Mike Manley, manager inglese a lungo collaboratore di Marchionne.
LE ORIGINI – Nato a Chieti il 17 giugno 1952, Marchionne è figlio di un maresciallo dei carabinieri e di una giovane istriana. Dopo l’adolescenza trascorsa in Abruzzo, segue la famiglia in Ontario, in Canada, dove si era già stabilita una zia materna. In Canada Marchionne ottiene la laurea in Filosofia all’Università di Toronto, seguita da una laurea in legge alla Osgoode Hall Law School of York University e quindi un Master in Business Administration alla University of Windsor.
Dopo avere esercitato la professione di procuratore legale, Marchionne entra nel 1983 in Deloitte Touche come avvocato commercialista ed esperto nell’area fiscale, primo passo di una carriera che nel 2000 lo porta in Svizzera alla carica di amministratore delegato del Lonza Group, attivo nel settore dei prodotti per le industrie farmaceutica e sanitaria.
FIAT – A portarlo sotto i riflettori è il successo ottenuto nel risanamento di Sgs, colosso elvetico nei servizi di ispezione, verifica e certificazione, di cui diventa amministratore delegato nel 2002. I risultati ottenuti in Sgs, che fra i suoi clienti aveva proprio Fiat, lo portano all’attenzione del Lingotto, alle prese con la crisi aggravata dalla scomparsa di Gianni Agnelli. Entrato nel cda del Lingotto dal 2003 su designazione di Umberto Agnelli, dopo la morte di quest’ultimo, Marchionne viene nominato il primo giugno 2004 amministratore delegato del gruppo. Al suo fianco il presidente Luca Cordero di Montezemolo e il vicepresidente John Elkann, all’epoca 28enne.
La sua impronta ‘decisionista’ emerge subito, sia con una serie di cambi ai vertici del gruppo che, soprattutto, con il duro braccio di ferro con General Motors, che lo porta a sciogliere l’accordo raggiunto nel 2000 da Paolo Fresco, costringendo gli americani a versare 2 miliardi di dollari purché da Torino non venisse esercitato l’obbligo di acquisto di Fiat Auto.
CHRYSLER – Ma è nel 2009 che Marchionne compie il suo colpo manageriale: in un’America piegata dalla crisi finanziaria, che da Wall Street aveva ormai raggiunto anche l’economia reale, Fiat ottiene dall’amministrazione Obama il 20% di Chrysler, una delle ‘Big Three’ dell’automobilismo Usa, che, dopo la fallimentare alleanza con Daimler, era praticamente fallita. A convincere Washington, oltre alla personalità di Marchionne, l’esperienza e le garanzie offerte da Fiat su nuove formule di mobilità ‘verde’.
FCA – E’ il primo passo di un percorso che, attraverso l’acquisto delle rimanenti quote, porterà nel 2014 i torinesi al controllo del 100% di Chrysler. E’ la nascita di Fiat Chrysler Automobiles che consacra Marchionne come uno dei grandi protagonisti dell’automotive mondiale. Un cammino scandito da alcune operazioni, a iniziare dal rilancio di Jeep, divenuta ormai il gioiello della corona di Fca, passando per la rinascita di Maserati e la scommessa su una Alfa Romeo ‘premium’, marchio negato ai concorrenti tedeschi.
In mezzo però, anche la delocalizzazione di numerose produzioni, con la chiusura di diversi impianti italiani, primo fra tutti quello siciliano di Termini Imerese che porta a una frattura in fondo mai sanata con i sindacati. E l’ultimo piano industriale presentato dal manager che conferma quanto già annunciato da tempo, ovvero il declino del marchio Fiat e l’uscita di scena di Lancia.
Per il futuro Marchionne, che ha inseguito inutilmente altre alleanze, convinto che solo grandi gruppi abbiano speranza di sopravvivere nel mercato automobilistico globale, aveva già delineato altre priorità, a iniziare dall’abbandono progressivo del diesel per sposare nuove forme di mobilità ‘verde’. Un processo che, in base ai piani annunciati al mercato, il manager avrebbe seguito dai vertici di Exor, visto che la famiglia Agnelli-Elkann non aveva nessuna intenzione di ‘liberarsi’ dell’uomo che aveva salvato il gruppo.
CONFINDUSTRIA – Gli anni passati da Marchionne a Torino sono caratterizzati anche da un rapporto ‘dinamico’ con la politica e con il resto dell’imprenditoria italiana, come testimonia la decisione di portare Fca fuori da Confindustria. Molti i protagonisti che hanno sperimentato il ‘tocco’ di un manager che non tollerava ostacoli sul proprio cammino: a iniziare da Luca Cordero di Montezemolo, diversissimo per storia e stile, uscito di scena dalla ‘sua’ Ferrari nel 2014 alla vigilia dello sbarco a Wall Street.
VITA PRIVATA – Nonostante i riflettori, il manager italo- canadese è riuscito a mantenere uno stretto riserbo sulla sua vita privata, complice anche la scelta di mantenere in Svizzera la propria residenza, nel cantone di Zugo, dove abitano anche la prima moglie Orlandina, italiana con origini canadesi, e i due figli Alessio Giacomo e Jonathan Tyler. Dopo la fine del primo matrimonio Marchionne ha iniziato, nella più totale discrezione, una nuova relazione, nata all’interno dello stesso gruppo.
STAKANOVISMO – Molti gli aneddoti sul suo stakanovismo, come quello di muoversi con il jet privato da una parte all’altra dell’Atlantico a seconda delle giornate festive o lavorative, affiancato alla dedizione assoluta richiesta ai suoi collaboratori, seconda solo a quella che si era auto-imposto. Pochi gli hobby conosciuti:una passione per le Ferrari e per la musica lirica. E un vezzo: quello di presentarsi agli appuntamenti più importanti, compresi la Casa Bianca o il Quirinale, con un informale maglioncino blu, diventato il simbolo di un’era, come fu l’orologio sopra il polsino di Gianni Agnelli. Fra le poche eccezioni, l’ultima uscita internazionale, quando a Balocco sotto il tradizionale pullover rivelò una cravatta. Era un impegno che aveva assunto per il giorno in cui Fca sarebbe stata senza debiti. Missione compiuta.
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