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Tiraboschi “Una proroga del blocco licenziamenti? Non è giustizia sociale”

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Roma, 20 gen. (Labitalia) – “Per prima cosa va preso atto che il divieto di licenziamento ha avuto un effetto rilevante sui contratti a tempo che non sono stati rinnovati e altre forme di ingresso (penso agli stage) penalizzando soprattutto donne e giovani. Una proroga si può comprendere sulla base di motivazioni politiche, ma non certo in chiave di ragioni di vera giustizia sociale”. Così Michele Tiraboschi, giuslavorista e coordinatore scientifico di Adapt, associazione di studi sul lavoro fondata nel 2000 da Marco Biagi, commenta, con Adnkronos/Labitalia, l’ipotesi di una proroga del blocco dei licenziamenti, invocata soprattutto dai sindacati. “Altra cosa, in termini di metodo, è se la proroga -precisa Tiraboschi-venisse avanzata all’interno di un patto tra le parti sociali volto ad affrontare tutti i problemi del mercato del lavoro del post pandemia che sono non solo i problemi dei lavoratori ma anche del sistema delle imprese (che, sia chiaro, è cosa diversa dall’interesse del singolo imprenditore al profitto)”, conclude.

Il blocco dei licenziamenti, introdotto per contrastare l’emorragia di posti di lavoro in seguito alla pandemia, è un unicum tutto italiano ma è “difficile dire, in una situazione del tutto emergenziale, che la misura fosse sbagliata. Sta di fatto che è una anomalia, che ha non poco ingessato il nostro mercato del lavoro, e che tuttavia è difficile spiegate oggi in una ottica ancora emergenziale” dice ancora Michele Tiraboschi. L’analisi di quanto accaduto a livello mondiale vede l’Italia in una posizione abbastanza isolata. “Siamo l’unico Paese -aggiunge Tiraboschi-ad aver introdotto una misura di protezione così rigida come il blocco dei licenziamenti. Senza richiamare contesti a noi lontani come quello degli Usa, dove la libertà di licenziamento ha consentito una più rapida riattivazione del mercato del lavoro, la soluzione maggiormente seguita in tutta Europa è stata quella di compromesso e cioè di non vietare i licenziamenti ma contenerli con misure di incentivazione e sostegno alle imprese”. “Misure analoghe alla nostra cassa integrazione -osserva Tiraboschi- che però si sono fatte apprezzare per efficienza e rapidità di erogazione del sostegno economico. Il virus è con noi da quasi un anno e gli effetti sul mercato del lavoro sono un dato di fatto non più qualcosa di imprevisto e improvviso: rinviare la soluzione del problema, visto che prima o poi i licenziamenti ci saranno, non aiuta a risolverlo e ci pone in situazione problematica rispetto all’andamento della economia su scala globale dove altri Paesi partono ora avvantaggiati”.

“Una riforma degli ammortizzatori sociali ora non avrebbe alcun senso. Riforme di questo tipo, per essere sostenibili e strutturali, andrebbero affrontare a bocce ferme, diciamo in periodi non emergenziali, sapendo che poi ci vogliono anni per la loro effettiva messa a regime” spiega poi Michele Tiraboschi commentando con Adnkronos/Labitalia l’ipotesi di mettere mano al sistema di protezione sociale adesso. “La vera lacuna -aggiunge Tiraboschi che è stato consulente tecnico del ministro del Lavoro, in varie legislature- resta piuttosto quella delle politiche attive e direi anche una riforma del sistema di relazioni industriali. La pandemia non ha fatto che accelerare processi che rendono del tutti evidenti i limiti, invero già intuibili all’atto di sottoscrizione, del ‘patto della fabbrica’ e la necessità per sindacati e imprese di contrattare su basi diverse e più moderne il valore economico di scambio del lavoro ponendo particolare attenzione ai territori e alle aziende”.

“Senza politiche attive e azioni per la qualità e produttività del lavoro, la rete di protezione sociale non potrebbe funzionare sarebbe tutta a debito e come tale non sostenibile”, conclude Tiraboschi. (di Mariangela Pani).

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