I borghi più belli d’Italia: Abruzzo
Tra parchi, mare e montagna
Una regione che accoglie, tra i suoi parchi, il suo mare e la sua montagna. L’Abruzzo, territorio dove in ogni piccolo borgo si ritrova la caratteristica e meravigliosa ospitalità della gente che lo abita.
A partire dalla zona settentrionale della regione, nella provincia di Teramo, Civitella del Tronto
Si presenta come un borgo capace di stupire in ogni stagione, sia quando i boschi sui fianchi dei monti si incendiano di colori decisi, sia quando l’inverno imbianca di neve le tegole.
L’impianto urbanistico risalente al Medioevo mostra una fitta trama d’incroci, di rampe e di scale che talvolta lasciano scorgere il rincorrersi dei tetti sottostanti. Panorami tersi e infiniti incorniciano i resti della cerchia muraria del XIII secolo che caratterizza questa città-fortezza, baluardo settentrionale del Regno di Napoli al confine con lo Stato Pontificio.
La Fortezza rappresenta il punto di partenza. Edificata dagli spagnoli nella seconda metà del XVI secolo e incastonata in cima al paese come un’acropoli, raffigura un’importante opera d’ingegneria militare, con i suoi 500 metri di lunghezza e 25mila metri quadri di superficie.
Tra le fortificazioni più grandi d’Europa, questa meravigliosa sentinella del Regno di Napoli faceva anche da guardia al sottostante borgo, dove oggi pacificamente ci si può perdere nelle stradine, chiamate alla francese “rue”, tra le quali pare vi sia la più stretta d’Italia: la “ruetta”.
Ma il Forte Spagnolo è anche sede del Museo Storico delle Armi, in cui è esposta una collezione di armi dal Quattrocento alla I Guerra Mondiale tra schioppi, cannoncini e obici che mostrano da vicino le differenti realtà belliche.
Questa imponente struttura, a metà agosto, ospita anche A la Corte de lo Governatore, rievocazione storica del 1557, anno memorabile per la fortezza di Civitella che riuscì a resistere all’assedio dei Francesi.
Quanto agli edifici civili, spicca su tutti il Palazzo del Capitano del XIV secolo, che mostra in facciata le cornici finemente intagliate a soggetto naturalistico con lo stemma degli Angiò, mentre gli edifici di culto più importanti sono la collegiata di San Lorenzo della fine del XVI secolo e la quasi contemporanea chiesa di San Francesco con la sua torre campanaria, il pregevole rosone della facciata e l’interno barocco.
Nella frazione di Ripe si può visitare grotta Sant’Angelo, un eremo ricavato da una grotta naturale, dove recenti scavi archeologici hanno riportato alla luce testimonianze dell’età del bronzo e del neolitico.
Ma l’attrazione principale sono soprattutto le Gole del Salinello, uno dei valloni più spettacolari di tutto l’Appennino inserite in un panorama di spettacolare bellezza e caratterizzate da sentieri escursionistici tra i più interessanti del Parco Nazionale Gran Sasso Monti della Laga.
A Civitella del Tronto si gusta una cucina essenziale, tanto negli ingredienti quanto nelle preparazioni. E da questa proviene un piatto originale come le ceppe, una sorta di maccheroni ottenuti all’inizio con un impasto di farina e acqua, a cui nel tempo si sono aggiunte le uova.
Il nome fa riferimento al bastoncino, la “ceppetta”, oggi sostituita da un fil di ferro, intorno alla quale si avvolgevano piccole porzioni d’impasto per poi sfilarle in forma di maccheroni, da condire con un buon ragù.
Tra i secondi piatti, il filetto alla Borbonica prevede una fetta di pane e una spessa fetta di carne, mozzarella e acciughe, il tutto insaporito dal vino marsala, mentre lo spezzatino, o il pollo alla Franceschiello è fatto con pollo, agnello, salsa, piccante, sottaceti e vino bianco.
Si prosegue per Campli
Località di origine antichissima che, ancora oggi, mostra nel suo tessuto architettonico la sua passata grandezza, tra le sue viuzze e le sue mura unico grande scrigno colmo di storia e di tesori d’arte.
Il fulcro della vita cittadina è rappresentato da Piazza Vittorio Emanuele II dove si affacciano i monumenti più imponenti. Il primo è il Palazzo del Parlamento, detto anche Palazzo Farnese ed oggi sede del Municipio, risale alla fine dell’XIII secolo prevalentemente in stile gotico e rappresenta uno degli edifici civici abruzzesi più antichi.
Poi la Cattedrale di Santa Maria in Platea, edificata nel 1395 sui resti di un’antica costruzione ed impreziosita dagli affreschi e dai dipinti degli artisti provenienti da scuole di maestri come Giotto e Raffaello
Ma questo prezioso borgo nasconde un’altra peculiarità. Durante il periodo in cui Campli fu sede vescovile, il 21 gennaio 1772, grazie a un Privilegio Pontificio di Clemente XIV, venne istituita la Scala Santa, che nella tradizione cristiana rappresenta la scala salita da Gesù per raggiungere l’aula dove avrebbe subito l’interrogatorio di Ponzio Pilato prima di essere crocifisso.
L’edificio sacro è costituito da 28 gradini da salire in ginocchio, per ottenere la remissione dai peccati e coloro che effettuano il rito a Campli, ricevono l’Indulgenza Plenaria con lo stesso valore dell’omonima Scala di Roma.
Ma il santuario, al di là del valore religioso, è arricchito dalle tele e dagli affreschi del teramano Vincenzo Baldati. Lungo la scala di ascesa, i dipinti consentono al penitente di ripercorrere, metaforicamente, la Passione, la Morte e la Resurrezione di Cristo, mentre lungo la scala di discesa i colori sono più vivi, indicando simbolicamente la purificazione del fedele in seguito all’Indulgenza ricevuta.
A Campli si svolge anche la festa gastronomica più antica d’Abruzzo come la Sagra della porchetta italica di Campli, che si svolge nella settimana dopo Ferragosto. Dal 1964 a Campli si assegna il titolo di miglior porchetta dell’anno e l’unicità di questa porchetta deriva dal metodo di lavorazione artigianale, dalla speziatura delle carni e dalla lenta cottura nel forno a legna.
Un altro importante evento è la Sagra del tartufo di Campovalano, la seconda settimana di luglio. Un appuntamento gourmet ormai ventennale, in cui i piatti tipici della tradizione incontrano il gusto del Tartufo della Laga tra formaggio fritto tartufato, tartufini fritti, ravioli al tartufo e ricotta della Laga.
A questa si aggiunge la Sagra del timballo di Floriano. Gli ultimi giorni di luglio ed i primi giorni di agosto, le sapienti massaie ripropongono uno dei piatti più laboriosi ed invitanti della tradizione gastronomica: 10 strati di “scrippelle” accolgono il ripieno di cubetti di verdure pastellate e fritte, polpettine, carni locali tagliate al coltello, scamorza e qualche goccia di saporito ragù di carni miste che finiscono nel tradizionale forno a legna per una lenta cottura.
Sulla strada che sale verso il Gran Sasso si incontra Pietracamela
Un paesino fatto di pietra, isolato, temerario, che sorge sulle pendici del Corno Piccolo del massiccio del Gran Sasso, nell’area protetta del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, il terzo in Italia per estensione.
Uno scenario d’incomparabile bellezza, quello che si gode dal borgo grazie alla presenza dei Monti della Laga con le loro foreste ricche di acque che scendono copiose a valle e il maestoso Gran Sasso con il Corno Grande e le sue cime aguzze e le pareti verticali.
La vita semplice di Pietracamela si è sviluppata nel tempo tra i vicoli lastricati e i fondaci ricavati nella roccia. I simboli che la caratterizzano sono le antiche chiese, quella di San Giovanni, del 1432, e quella di San Rocco, del 1530, con le date scritte sulle architravi dei portali.
A cui si aggiungono gli altari lignei e l’acquasantiera cinquecentesca della parrocchiale di San Leucio, i portali delle abitazioni intorno alla chiesa di San Giovanni, che recano date comprese tra il 1471 e il 1616.
Ma questo borgo è anche luogo di buongustai. I ravioli di Pietracamela sono il piatto più originale, mentre nei ristoranti del territorio si assaggiano tutte le altre specialità, quali i timballi, i sorcetti, una specie di maccheroncini conditi con formaggio pecorino, l’agnello alla brace, lo spezzatino di capra, lo squisito cacio marcetto e vari altri formaggi di pecora.
Castelli è un altro piccolo borgo di origine medievale
Costruito su uno sperone breccioso tra i dirupi, i boschi e le crete di due torrenti, base di partenza per le ascensioni al Gran Sasso e noto per la produzione di maioliche dipinte.
L’arte ceramica qui è documentata fin dal Medioevo, un ruolo importante pare l’abbiano avuto i Benedettini, insediatisi intorno al Mille nell’abbazia di San Salvatore. La tradizione ceramica fu favorita anche dalle condizioni ambientali, grazie alla vicinanza di cave di argilla e alla disponibilità di acque e di legna per il fuoco di cottura.
La produzione di Castelli, famosa già nel Cinquecento per opera dei ceramisti della famiglia Pompei, Orazio per primo, si emancipò gradualmente dai modelli umbri cui si ispirava grazie alla raffinatezza delle sue maioliche, imponendo poi, tra metà Seicento e fine Settecento, lo stile di pittura “istoriato castellano”, portato al massimo splendore dai maestri appartenuti alle famiglie dei Grue, dei Gentili, dei Cappelletti, le cui opere sono oggi raccolte in musei e collezioni nazionali e internazionali.
L’abitato più antico di Castelli converge, con le sue vecchie stradine, verso la piazza centrale, su cui si affacciano il Comune e la parrocchiale di San Giovanni Battista con la sua monumentale scalinata in pietra bianca. Edificata alla fine del Cinquecento, la chiesa conserva al suo interno la cappella della Santa Croce, realizzata nel 1601 dai figli di Orazio Pompei.
Su un’altura poco distante dal centro abitato sorge la chiesa di San Donato, edificata agli inizi del Seicento ampliando una preesistente “cona”, piccola chiesa di campagna. Fu Carlo Levi nel 1963 a definirla “la cappella Sistina della maiolica” per il meraviglioso soffitto maiolicato, unico in Italia, realizzato tra il 1615 e il 1617 con la collettiva partecipazione di tutti i ceramisti castellani.
Non si può lasciare Castelli senza aver visitato il Museo delle Ceramiche, ospitato nel convento francescano dei Frati Minori Osservanti, in cui sono esposte le opere dei maestri della maiolica che hanno reso celebre il nome di Castelli nel mondo.
Il percorso comprende i mattoni cinquecenteschi della primitiva Cona di San Donato, i vasi farmaceutici Orsini-Colonna, il Paliotto di Colledoro e una significativa documentazione delle varie dinastie di maiolicari come i Pompei, i Grue, i Gentili, i Cappelletti
L’Istituto Statale d’Arte “Francesco Antonio Grue”, fondato nel 1905, è una delle istituzioni più prestigiose nel panorama ceramico italiano. Ospitato in una struttura moderna e dotato delle attrezzature più avanzate, si articola in due sezioni: arte della ceramica e tecnologia ceramica.
In più, nel periodo natalizio, è da vedere il Presepe Monumentale che raccoglie un complesso di scultura ceramica composto da 54 statue a grandezza naturale, realizzate dall’Istituto a partire dal 1965 per raccordarsi con le ricerche artistiche contemporanee.
Oltre alle ceramiche, un altro prodotto di punta di Castelli è la carne, ottima grazie alla lavorazione artigianale. Da provare, in particolare, la porchetta e il tacchino “alla canzanese”, mentre tra i piatti della ricca cucina castellana vanno ricordati i maltagliati con le voliche, una verdura che cresce oltre i 2000 metri, la virtù, ovvero il minestrone con gli avanzi della dispensa, e le mazzarelle, involtini di lattuga e interiora di agnello.
Castelli fa parte del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga. Dal paese, punto di partenza per escursioni e gite turistiche nel Parco, si può salire al Monte Camicia a 2750 metri e a Campo Imperatore, il più vasto pianoro dell’Appennino, dove si trovano impianti per lo sci di pista.
Poco distante, entrando nella zona aquilana, si scopre il borgo di Castel del Monte
Sospeso tra le vette del Gran Sasso e la valle del Tirino e dal tessuto urbano straordinariamente compatto e modellato sul terreno scosceso.
La visita al paese antico inizia da Porta San Rocco che un tempo faceva parte della cinta difensiva, ancora visibile. All’ingresso dell’abitato sorge la chiesa di San Rocco, eretta dopo la peste del 1656 con una facciata “a vela” rettangolare.
Lungo la salita si trova il Palazzo del Governatore, costruito tra XV e XVI secolo su una superficie che occupava l’intero isolato, mentre giunti a Porta di Santa Maria, ci si ferma nell’omonima via per guardare il panorama e, in basso, la chiesetta della Madonna delle Grazie, unica sopravvissuta, insieme a quella di San Donato, delle numerose chiese che sorgevano fuori le mura.
Piazzetta delle Mura, la sola alberata del vecchio borgo, riporta al tempo in cui le donne erano padrone del paese e venivano qui ad asciugare il grano, fare il bucato o chiacchierare, mentre i loro uomini erano lontani per la transumanza.
Anche questo borgo è inserito nel Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga, uno straordinario ambiente montano appenninico di boschi, faggete, piani carsici, cime innevate. Superato il valico di Capo di Serra, si apre allo sguardo la vasta piana di Campo Imperatore, base ideale per passeggiate a cavallo e in mountain bike, per lo sci di fondo e per escursioni in quota.
Salendo da Castel del Monte verso la montagna, si scoprono gli immensi spazi di Campo Imperatore, che appare, a quota 1600 metri come una prateria senza confini dove lo sguardo si perde in un mare d’erba o di neve.
A Campo Imperatore non mancano di certo i divertimenti per gli sportivi d’alta quota, tra cui il Trofeo Fonte Vetica, il 6 gennaio, il Criterium Interappenninico, che ha luogo l’ultima domenica di gennaio e la Marcia Longa, l’ultima domenica di febbraio che richiama partecipanti da ogni parte d’Italia e d’Europa e si conclude nel borgo dove viene fornita calda ospitalità.
Luogo di snodo di antichi tratturi e transumanze, il borgo di Castel del Monte conserva una produzione ovina di qualità, dal pecorino ottenuto da latte crudo al raro “marcetto”, crema piccante di pecorino fermentato, alla “chiaranese”, carne di pecora cotta secondo l’uso dei pastori.
Il 5 agosto, infatti, un evento importante è proprio la Rassegna Ovini di Campo Imperatore. Una mostra che raduna le greggi sparse nell’immensa piana, trasformandosi in festa e fiera nello stesso tempo, con benedizione e premiazione degli animali più belli.
Altra manifestazione popolare è la Notte delle Streghe, il 17 agosto. Una rievocazione delle credenze e superstizioni che, in tempi di fame, ignoranza e malattie, assegnavano poteri malefici ad alcune donne del paese. Un giorno di festa tra antiche inquietudini e nuove allucinazioni.
Poi ecco Santo Stefano di Sessanio uno dei monumenti dell’uomo tra i più suggestivi all’interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga.
Un paese completamente costruito in pietra calcarea bianca, il cui candore è stato reso opaco dal tempo. Un gioiello, uno dei borghi considerati tra i più belli d’Abruzzo per gli integri valori ambientali, per il decoro architettonico e per l’omogeneità stilistica.
Le strade che lo attraversano, da percorrere rigorosamente a piedi, si presentano in ricchissima varietà, dall’erta scalinata che costeggia la chiesa di Maria in Ruvo ai tortuosi selciati che si insinuano tra le abitazioni e conducono alla torre.
Appartengono al dominio dei Medici i loggiati dalla linea elegante, i portali disposti ad arco con formelle fiorite, le finestre in pietra finemente lavorate e decorate da mani esperte. Sulla porta d’ingresso di sud-est svetta lo stemma della Signoria di Firenze, che su queste montagne ha lasciato un granello prezioso della sua raffinata civiltà.
Percorrendo le sue stradine si ammirano abitazioni quattrocentesche, tra cui la Casa del Capitano, e la torre risalente al Trecento, impropriamente detta medicea, dalla cui sommità si apre allo sguardo un panorama incantevole che abbraccia le valli del Tirino e dell’Aterno e si spinge sino ai fondali della catena del Sirente e della Maiella.
La chiesa di Santo Stefano Protomartire, edificata tra XIV e XV secolo, si presenta con cinque campate ed è caratterizzata da un’insolita area presbiterale su cui si aprono le cappelle e un abside semicircolare. Rilevante è anche la chiesa della Madonna del Lago, del XVII secolo, che sorge subito fuori le mura, sulle verdi rive di un laghetto.
All’interno del borgo hanno luogo due importanti mostre- mercato: Estate nel Borgo, in cui il 12 e 13 agosto vengono offerti prodotti tipici lungo le vie del villaggio, con scene di vita medioevale, cortei in costume, artigiani e vecchi mestieri.
Natale nel Borgo, il 28 e 29 dicembre, con prodotti tipici del versante aquilano del Gran Sasso all’interno di vecchie abitazioni e botteghe artigiane. Alla tenue luce di cento fiaccole e lumi romani si inscena un presepe d’altri tempi nelle vie e piazzette di Santo Stefano di Sessanio.
Il territorio produce ottimi legumi, formaggi pecorini, miele e tartufi, ma sono le lenticchie il prodotto di punta di questo borgo abruzzese, alle quali è dedicata una sagra il primo fine settimana di settembre.
Biologiche da sempre, appartengono ad una qualità rara e antica che viene coltivata soltanto nei terreni aridi di alta montagna tra i 1200 e i 1450 metri. Le caratteristiche principali sono il colore marrone scuro, le dimensioni molto piccole, la superficie rugosa e striata e, soprattutto, il sapore che le ha rese celebri in tutta l’Italia e possono essere servite con patate, salsicce o quadratini di pane fritto in olio di oliva.
Si prosegue a sud per Navelli
Dove passano i secoli e ancora, nei mesi di ottobre e novembre, si compie il miracolo dei fiori viola, quei piccoli e delicati petali che, all’improvviso, spuntano dalla terra scura spezzando l’equilibrio giallo e rosso dei tipici colori autunnali.
Il borgo di Navelli appare all’improvviso adagiato sul colle, con le sue mille finestre che guardano a valle e sorvegliano silenziosamente la piana. Le strade di ciottoli, le porte-bottega, gli stipiti e gli architravi compongono un insieme speciale, un’opera d’arte costruita nel tempo, pietra su pietra, da mani anonime e silenziose.
Navelli colpisce al primo sguardo per la splendida posizione e per la luminosità delle sue pietre. Come una piramide di case e viuzze resa dorata dalla patina del tempo, il borgo è guardato a distanza dal profilo della Maiella e dall’imponenza del Gran Sasso. Dal punto di vista naturalistico, Navelli è considerata la “porta dei parchi”, trovandosi all’incrocio del Parco Nazionale del Gran Sasso – Monti della Laga con il Parco regionale del Sirente – Velino.
Una visita a questo borgo diventa d’obbligo, soprattutto quando contro il suo elegante profilo, illuminato dal colore dorato della pietra, si stagliano i campi di velluto viola che custodiscono il prezioso zafferano, “l’oro rosso” che ha fatto la fortuna di Navelli.
Questo cresce a Navelli sano e purissimo ma, anche se il più prezioso, non è l’unico prodotto che caratterizza il borgo. Occorre ricordare anche l’olio d’oliva, uno dei pochi extravergini della zona, le mandorle e i ceci, piccoli e saporiti.
Lo zafferano e i ceci sono gli ingredienti base della cucina del territorio di Navelli. Tra i primi piatti si menzionano gnocchetti o sagnette e ceci, risotto allo zafferano e tra i secondi, costatine d’agnello allo zafferano. Tra i dolci sono ottimi i cauciunitti, ai ceci o alle mandorle e i nocci interrati, mandorle con lo zucchero, mentre per concludere, un buon liquore allo zafferano.
Navelli in Estate è caratterizzata da manifestazioni artistiche, musicali, teatrali, enogastronomiche, tra cui la Sagra dei Ceci e dello Zafferano, il primo week-end dopo ferragosto che comprende il Palio degli Asini e gli stand con i piatti della cucina locale.
Dalla sommità del paese si viene accolti dal secentesco Palazzo Santucci, sorto sulle rovine dell’antica fortezza medievale. Si accede al palazzo baronale da un androne che conduce al cortile, mentre due scalinate in pietra introducono all’elegante teoria di arcate a tutto sesto del loggiato superiore.
Dal cortile posteriore del palazzo si raggiunge la chiesa di San Sebastiano, costruita sui resti della primitiva chiesa di San Pelino, il cui campanile era originariamente la torre d’avvistamento del castello medioevale.
Il nucleo antico al suo interno racchiude angoli di storia contadina, come le tre vasche circolari, chiamate pilucce, scavate nella pietra, che servivano da mangiatoia per gli asini al ritorno dai campi.
Passeggiando, si incontrano luoghi di vita comunitaria come i vecchi forni comunali, belle strade ciottolate come via San Pasquale, sulla quale si aprono le porte di diversi edifici nobiliari, e bizzarri particolari architettonici quali i gradini tagliati nella roccia viva.
Da qui si raggiunge in poco tempo Bugnara
Tra i profumi del formaggio pecorino che ricordano come questa sia terra di pastori, luogo antico di transumanze che sta cercando di non disperdere la sua vocazione legata alla fecondità del suolo.
La degustazione dei prodotti dei pastori trova la sua più alta espressione a giugno durante la Sagra del Formaggio Pecorino e si accompagna alla possibilità di assistere all’intero processo di lavorazione del latte.
Bugnara all’apparenza si mostra quasi dimessa, senza qualcosa che colpisca in modo particolare. Arrivando nel borgo si è accolti subito dalla chiesa del Santissimo Rosario che si affaccia sull’omonima piazza. Terminata nel 1602, si presenta con una sola navata ed in stile tardo barocco con soffitti decorati a rilievo.
In breve si arriva al palazzo Ducale, chiamato anche Rocca dello Scorpione. Costruito intorno all’anno Mille, evidenzia nell’imponente struttura architettonica le esigenze difensive cui era destinato, anche se nel tempo fu trasformato per accogliere gli agi e le comodità della vita di palazzo.
Allontanandosi un po’ dal paese si arriva alla chiesa della Madonna della Neve, che raccoglie la storia più interessante di Bugnara. Edificata anch’essa intorno al Mille, si presenta in stile gotico a tre navate e con all’interno statue e affreschi molto antichi.
Ma ciò che più colpisce è il pavimento originario del tempio romano a spina di pesce, su cui pare sia sorta. Lo dimostrerebbe la lapide dedicata a Helvia, sacerdotessa della dea Cerere, che merita grande attenzione. Oltre all’iscrizione è stato riportato alla luce un bassorilievo che raffigura la sacerdotessa mentre compie i riti.
La rievocazione delle attività connesse al lavoro dei campi, come la mietitura e la trebbiatura, si collega alle origini pagane di Bugnara, sede dell’altare della divinità romana del grano. Origini che vengo rappresentate dalla Festa della Madonna della Neve, il 5 agosto, in cui, durante la manifestazione si celebra anche la Sagra del Grano, a ricordo della vocazione agricola del luogo.
E poi, magnifica, si presenta Anversa degli Abruzzi posta all’inizio delle Gole del Sagittario.
Il paese sorge a circa 600 metri su di un ampio sperone che domina lo sbocco delle gole scavate dal fiume Sagittario.
Anversa è un paese di antichi produttori di pignate e giocattoli sonori, di rinomati maestri muratori, di pastori. La “pignata”, il recipiente in terracotta (pignatta) usato per la cottura dei legumi, è simbolo di Anversa insieme al “cucù”, il fischietto d’argilla dal caratteristico suono.
La visita del centro storico inizia dalla chiesa di Santa Maria delle Grazie con il portale rinascimentale in pietra calcarea datato 1540, unico nel suo genere in Abruzzo per il raro motivo iconografico, e un magnifico rosone del 1585, recante lo stemma di Anversa, con le serpi attorcigliate alle asticelle del compasso.
Risalendo le strette vie che portano al castello normanno del XII secolo, ridotto, dal terremoto del 1706, a una scenografica quinta di rovine, si incontra una fila di case costruite in solida pietra lavorata, abbellite da armoniosi portali e finestre quadrate.
Affascinante è l’atmosfera che si respira tra i vicoli interni e i sottopassaggi ad arco del borgo medievale, individuato nella cinta esterna di case, costruite per la maggior parte sopra dirupi, che circoscrivono il vecchio abitato sormontato dai ruderi del castello.
Da lì si giunge in breve al Belvedere sulle Gole del Sagittario e, percorrendo via Duca degli Abruzzi, alla chiesa di San Marcello, di impianto romanico dell’XI secolo con elegante portale tardo gotico, rigoglioso di fantasiose sculture con motivi ornamentali.
Da visitare, infine, la frazione di Castrovalva che si affaccia sulle incantevoli Gole del Sagittario. Si entra nel borgo attraverso una porta ogivale per ammirare la parrocchiale di Santa Maria della Neve e la chiesetta di San Michele Arcangelo, risalente al XII secolo.
Le caratteristiche stradine del borgo medievale sono il punto di partenza per una visita alla Riserva Naturale Gole del Sagittario, che si estende dai 500 metri di quota, a valle dell’abitato di Anversa, fino ai pascoli di montagna di Pizzo Marcello, ai confini con il Parco Nazionale d’Abruzzo, a 1500 metri.
Da visitare anche il Giardino Botanico Gole del Sagittario, aperto da marzo a dicembre con orari diversi. Un museo a cielo aperto per riflettere sull’ordine e la regolarità della vita naturale e per incantarsi davanti a uno stagno, una siepe, un prato fiorito, rifugi di mondi nascosti
Si prosegue in direzione sud verso Villalago un paese in cui non manca di certo l’acqua
Da quella che si scorge dalla bifora dell’eremo di Prato Cardoso, dove visse il monaco itinerante che fondò il borgo, fino all’acqua del lago di Scanno e del lago Pio e quella dei fiumi Sagittario e Sega.
Superate le aspre Gole del Sagittario, Villalago appare all’improvviso in alto, sulla sommità del Monte Argoneta.. Dalla piazza principale il borgo si arrampica ad anfiteatro sul versante orientale del monte, in un’affascinante sequenza di gradinate, vicoli e piazzette. Caratteristica del luogo sono i suppuort, gli archi che supportano sopra di loro un’abitazione costruita in pietra e travi di legno.
Dalla Piazza Celestino Lupi, salita la grande gradinata, si arriva al cuore del paese, dove si incontra subito la chiesa parrocchiale in stile romanico abruzzese, in cui sono conservati un dipinto in tela del 1521 raffigurante la Madonna del Rosario e l’altare di San Domenico, prezioso monumento del XII secolo scolpito in pietra.
Per scovare il genio del luogo, l’idea e la pratica di vita da cui è nata Villalago, bisogna recarsi all’eremo di San Domenico, luogo di ritiro spirituale dove visse l’anacoreta intorno al 1010. Qui San Domenico trovò la pace che cercava.
L’eremo sorge come una gemma incastonata tra rocce e acque di uno splendido verde smeraldo. Il portale in pietra della chiesa riporta disegni bizantineggianti, mentre oggi questo luogo è riserva naturale insieme al lago Pio, circondato da montagne con boschi di cerri e faggi, ai confini del Parco Nazionale d’Abruzzo.
A San Domenico Abate, inoltre, è dedicata una festa patronale il 21-22 agosto, giorno della sua santificazione, in cui si incontrano i pellegrini che giungono a piedi da Fornelli, in provincia di Isernia. A dicembre, nel bacino del lago di San Domenico, invece, si svolge il Presepe Subacqueo, unico del suo genere in tutto l’Appennino.
Da queste parti, una località assolutamente da non perdere è Scanno
Un paesino dall’identità forgiata, in secoli di nomadismo pastorale e poi di emigrazione, sulle partenze, sullo spaesamento, dove baricentro di tutto è il vecchio borgo.
Identità che si legge anche nei costumi femminili e nei gioielli che li impreziosiscono continuamente. Rifatti, riprodotti, quasi a ripetere l’ossessione di una testarda volontà di sopravvivenza, come dimostrano le donne ultraottantenni che continuano a indossare il costume tradizionale. Proprio questi, il 14 agosto, giocano un ruolo centrale per Ju Catenacce, rievocazione di un antico corteo nuziale.
Il tessuto urbanistico del centro storico resta armonico e compatto. La bellezza di questo presepe ormai senza più pastori, si scopre addentrandosi senza meta nei suoi vicoli, dove è piacevole farsi sorprendere da un particolare curioso, un dettaglio architettonico.
Qui una piccola chiesa, qui una corte, tra cui è suggestiva quella del seicentesco Palazzo Tanturri de Horatio. E poi un rosone, uno stemma su una fontana, un affresco, come la splendida Madonna in trono della chiesetta di Santa Maria di Costantinopoli. Scanno è da scoprire così, lasciandosi trasportare dal piacere degli occhi, testimoniando una volontà di stupire e di frivolezza che ben contrastano con l’ambiente severo di montagna.
I vertici di questa sensibilità, oltre che nelle numerose chiese e nei palazzi padronali, sono raggiunti nelle arti applicate, nell’artigianato orafo, nell’arte del ricamo con la lavorazione del tombolo, nei costumi tradizionali femminili.
Il territorio di Scanno, compreso tra i 950 e i 2250 metri di altitudine, è inserito in buona parte nel Parco Nazionale d’Abruzzo, la seconda riserva naturale più antica d’Italia. Forse solo qui, tra questa natura e questi borghi, resiste il vero mondo appenninico, mentre il lago di Scanno, formatosi per sbarramento naturale, è circondato da monti aspri e selvaggi.
Scanno con le sue architetture, il costume delle donne, l’ambiente naturale ha da sempre attratto i grandi maestri della fotografia, tanto che nel 1998 fu istituito il Premio Internazionale “Scanno dei Fotografi”.
A poca distanza, un’altra piccola e graziosa realtà come Opi
Posto su un’altura a schiena di cavallo, lambito dalle rocce, con le sue case in pietra, il borgo cerca di sopravvivere ai terremoti che con continuità minacciano di disfarlo. Opi è un luogo totalmente modellato sul territorio, in equilibrio instabile, come un lungo e bianco gregge di pecore su un dirupo.
Ad Opi non ci sono edifici di particolare rilievo a Opi. Un luogo esposto, già di suo, all’opera imperscrutabile della natura che nella sua potenza rivela la bellezza del paese, incastonato in mezzo a una corona di montagne tutte visibili dall’abitato, come il monte Marsicano, il monte Amaro, la Val Fondillo e la catena delle Camosciare.
Posto in quota a 1250 metri, Opi conserva il fascino della posizione e la fisionomia tipica delle comunità pastorali d’altura. I pastori con i loro greggi sono all’origine delle tradizioni culinarie dei borghi d’altura attraversati dai tratturi.
Ecco dunque la m’paniccia, fette di pane raffermo ammorbidito nel siero ancora caldo, la pecora al cotturo, la m’cisca, carne di pecora essiccata, la ricotta e il pecorino. Si ricordano anche i cicatelli con le foglie e le frittelle di cavolfiore, mentre il pasto termina con un dolce tipico come i tanozzi e con il fragolino, un liquore fatto con le fragoline di bosco.
La struttura urbana di Opi, rimasta inalterata e originata da due schiere di abitazioni che costituivano la protezione muraria, rivela quello che dovrebbe essere il significato vero del toponimo, vale a dire oppidum, “castello fortificato”.
Oltre al palazzo secentesco attuale sede del municipio, a Opi sono da considerare due edifici religiosi. Il primo è la chiesa di Santa Maria Assunta, situata a metà strada tra il nuovo centro e il nucleo storico, danneggiata più volte dai terremoti e ricostruita nella forma attuale nel XVII secolo. Il secondo è la cappella di San Giovanni Battista, collocata nei pressi della piazza principale, edificata in epoca barocca da Vincenzo Rossi, nobile del luogo.
La natura qui è padrona e non mancano le possibilità di escursionismo, passeggiate a piedi, a cavallo o in mountain bike lungo gli oltre cinquanta sentieri del Parco Nazionale d’Abruzzo. Un magnifico itinerario è quello che sale al monte Amaro (1862 metri) dalla Val Fondillo per la cresta ovest.
Una piacevole passeggiata attraverso i boschi è quella che segue il fondovalle della Val Fondillo, lungo l’antica mulattiera che, attraverso il Passaggio dell’Orso, conduce verso la Val Canneto e il versante laziale del Parco.
Ripida e fittamente boscosa, la Camosciara è uno dei luoghi segreti del Parco, raggiungibile all’inizio con una comoda mulattiera, e poi con sentieri più ripidi che consentono splendidi colpi d’occhio su cascate, integre faggete e montagne a perdita d’occhio.
Proseguendo la scoperta dei borghi aquilani si incontra Pescocostanzo il cui assetto urbanistico è frutto di una programmazione rigorosa e illuminata.
Ogni altare, ogni chiesa, ogni casa o scultura è il frutto di una precisa volontà, di uno studio e di una committenza consapevoli, mai traditi dalle straordinarie capacità di artisti e artigiani che con dedizione hanno regalato la loro idea di bellezza.
Le case a schiera, uniche nel loro genere, creano un legame architettonico con l’ambiente circostante che dà al borgo un carattere scenico. Qui si ritrova la corrispondenza tra le forme della pietra e quelle del ferro battuto, tra i delicati disegni della filigrana e i fili intrecciati del merletto al tombolo, espressioni artigianali di antica tradizione ancora fiorenti.
Tra gli immensi e silenziosi pascoli che la Maiella e l’alta valle del Sangro sorvegliano, sorge l’abitato di Pescocostanzo. Il luogo è così ricco di tesori d’arte e bellezze naturali da apparire miracoloso, una specie di quaderno rinascimentale e barocco da sfogliare con cura.
A partire dalla Chiesa di Gesù e Maria e dall’annesso Convento dei francescani, cui si arriva dalla stazione percorrendo un lungo viale costeggiato dai giardini pubblici. Fondata nel 1611, la chiesa presenta pregevoli altari barocchi in marmo, sui quali spicca il grandioso altare maggiore realizzato su disegno di Cosimo Fanzago.
Si arriva in breve allo slargo su cui si affaccia la Collegiata di Santa Maria del Colle che conserva al suo interno magnifiche opere d’arte come il soffitto a cassettoni dorato e dipinto che copre tutta la navata centrale, realizzato da Carlo Sabatini intorno al 1680.
Vicino si ammirano Palazzo Coccopalmeri del XVII secolo con bel portale, balconi e finestre lavorate in pietra e, proseguendo frontalmente, sulla sinistra, Palazzo Colecchi dalla severa architettura cinquecentesca.
Tra gli altri palazzi degni di nota, si incontrano Casa D’Amata, risalente al XVI secolo, con il caratteristico “vignale”, ovvero il pianerottolo su scala esterna, porte abbinate e finestre riquadrate, e Palazzo Grilli del XVI secolo con quattro torrette angolari e due portali in pietra lavorata.
Il borgo è compreso nel Parco Nazionale della Maiella, una montagna con grandi canyon, pareti di roccia e fitti boschi nei valloni. Per conoscerla da vicino, si possono seguire gli antichi sentieri dei monaci, dei briganti e dei pastori.
Tra Pescocostanzo e Cansano, inoltre, si estende, tra i 1290 e i 1420 metri di quota, il Bosco di S. Antonio, una delle più belle faggete d’Abruzzo. Protetto come Riserva Naturale dal 1985, il bosco, oltre ai faggi, custodisce nei suoi 550 ettari numerose piante secolari, aceri, cerri e ciliegi.
All’inizio dell’estate fioriscono la genziana, la peonia e una delle orchidee selvatiche più rare d’Italia, la pipactis purpurea. In inverno, è possibile praticare lo sci di fondo tra i faggi e nel pianoro sottostante, mentre l’estate si presta per passeggiate e picnic.
Proseguendo in direzione nord si visita Pettorano sul Gizio, ancora ricco di feste e tradizioni come pochi altri paesi d’Italia.
Così restano vivi i costumi delle donne, il re Carnevale, i rituali primaverili di ispirazione pagana, la pietra di cui è fatto il borgo, l’aria frizzante di montagna, l’acqua del fiume Gizio che da sempre scorre accanto. Tutto testimonia il ricordo di antiche usanze, espressioni di cultura, ma anche di modelli organizzativi di vita sociale basata su regole di sapiente gestione del patrimonio culturale e naturale.
Il vuoto nel tessuto urbano lasciato dall’emigrazione viene sovrastato dalla bellezza delle antiche stradine che scendono verso le mura articolandosi tra scalette, cortili, antichi edifici arricchiti da iscrizioni e stemmi incisi dal tempo.
La sua struttura urbana ha assunto la forma odierna nel tardo medioevo. Tra gli edifici religiosi, meritano una visita la piccola chiesa extra muraria di San Nicola, già esistente nel 1112, e la chiesa della Madonna della Libertà da cui si dipartono le caratteristiche rue, stradine in discesa che conducono alla vallata del fiume Gizio attraverso interessanti stratificazioni architettoniche.
Gli imponenti resti del Castello dei Cantelmo, oggi ristrutturato, hanno vegliato il borgo nel lungo periodo di abbandono seguito al venir meno delle esigenze difensive e di controllo dei commerci nella valle. L’altro regno dei Cantelmo era rappresentato dal Palazzo Ducale, loro residenza privata articolata in tre volumi intorno a una corte quadrata che ha un lato aperto sulla vallata.
Il centro storico di Pettorano ricade tutto all’interno della Riserva Naturale Regionale Monte Genzana Alto Gizio, che possiede un’estensione di 3.164 ettari. Un caso unico nel panorama complessivo delle riserve naturali regionali in cui precisi vincoli tutelano le bellezze della natura insieme a quelle edificate dall’uomo.
L’acqua del Gizio è anche la fonte che genera le specialità culinarie di questo borgo. Prima fra tutte la polenta rognosa, rigorosamente cotta nel paiolo di rame e tagliata a fette con un filo. Tipici del luogo sono anche mognele e chezzerieje, gnocchetti acqua e farina conditi con la verdura locale degli ortolani- pastori, le pizzelle dolci con farina, uova, zucchero, cannella e limone e la pizza di San Martino con farina, uova, zucchero, noci, cioccolato fondente, cannella, mosto cotto, chiodi di garofano.
Pacentro appare da subito meravigliosa, offrendo la sensazione di oltrepassare una porta da tempo abbattuta, chiudere gli occhi e aprirli su una selva di torri, anche se diroccate o mozzate.
I monti stringono Pacentro tanto da ridurre il suo orizzonte, ma in compenso la riparano dalla furia dei venti. I boschi ossigenano l’aria e le acque sgorgano fresche dalle numerose sorgenti della Maiella.
A ponente il cielo su Pacentro si allarga e la vista spazia per la Valle Peligna. Sulla sommità della collina si erge il castello dei Caldora, che nella sua struttura originaria risale al X secolo e faceva parte sistema difensivo della Valle Peligna.
Proprio dal castello parte l’Arrolamento della Gente d’Arme di Antonio Caldora, il 16-17 agosto. Una rievocazione storica in costume dell’arruolamento e dell’investitura dei cavalieri da parte del signore di Pacentro nell’Anno Domini 1450.
Una camminata per il borgo permette di scoprire altri luoghi interessanti come i Canaje, l’antico lavatoio pubblico, costruito con lastroni di pietra, in cui le donne vi convenivano da ogni punto del paese, trasportando sulla testa le caratteristiche uaccile, catini di rame.
Poi la Preta Tonna, o pietra dello scandalo, una grossa pietra incavata utilizzata come antica unità di misura del grano, sulla quale i debitori insolventi erano obbligati a sedere nudi davanti ai passanti, come forma di pubblica umiliazione.
Tra le chiese, invece, merita una visita la cinquecentesca chiesa Madre, con la sua imponente facciata, ornata da un cornicione lavorato e arricchita da una graziosa meridiana. Nei dintorni fanno bella mostra di sé diversi palazzi signorili dagli splendidi portali, come il seicentesco Palazzo Tonno e, più avanti, Palazzo La Rocca, che ospita il municipio.
Non si può, infine, lasciare Pacentro senza aver visto le pitture rupestri. Nella grotta di Colle Nusca, poco distante dal paese, mani cavernicole hanno tracciato con ocra rossa dei graffiti raffiguranti otto uomini armati di frecce e archi, illustrando scene di caccia di parecchie migliaia d’anni fa.
Pacentro è la porta naturale e al tempo stesso il cuore del Parco Nazionale della Maiella. Il paese si trova a 700 metri d’altitudine, ma l’altimetria del suo territorio va dai 430 ai quasi 2800 metri di Monte Amaro, la vetta della Maiella.
Un borgo prettamente montano, dal quale è facile salire in quota per assicurarsi le più belle vedute panoramiche ed ammirare una flora di grande valore naturalistico. Escursioni e passeggiate portano sempre in luoghi stupendi, come la cascata del Vallone o il passo San Leonardo.
La gastronomia ha carattere di sobrietà e rispecchia le tradizioni di una vita semplice, che per l’alimentazione si basa esclusivamente sui prodotti locali. Le ottime carni sono fornite dal bestiame allevato nei pascoli montani, ricchi d’erbe aromatiche che trasferiscono poi ai prodotti caseari sapori unici.
In un paese dalla grande tradizione gastronomica non poteva di certo mancare la festa culinaria. Ed ecco la Sagra della Polta, un gustoso piatto contadino base di verdure bollite e poi ripassate in padella con aglio e peperoncino.
Un altro evento importante è la Festa della Madonna di Loreto e la Corsa degli Zingari, la prima domenica di settembre. Il sacro e il profano si mescolano in questa gara che vede un gruppo di giovani correre a piedi nudi dal masso tricolore sul colle Ardinghi, di fronte al borgo, fino al fiume Vella, e risalire poi, per un antico viottolo di campagna, sino alla chiesa della Madonna di Loreto. Il vincitore è premiato con un taglio di stoffa, una sorta di palio dei tempi poveri, dal quale si ricavava un abito.
Il viaggio continua nella provincia di Pescara con Caramanico Terme
Un borgo sorto in epoca longobarda all’imbocco del canyon dell’Orfento e della valle del fiume Orta, nel Parco Nazionale della Maiella, che unisce alla vocazione termale scenari naturali incontaminati.
Eremiti e monaci hanno trovato qui i luoghi della loro ascesi, fondando chiese ed eremi incastonati nella roccia della Maiella. I due romitori frequentati da Celestino V, il monaco eremita divenuto Papa, sono l’eremo di San Bartolomeo a 650 metri d’altitudine, in cima al vallone di Santo Spirito, e l’eremo di San Giovanni, di più difficile accesso, posto a 1220 metri in un punto scenografico della valle dell’Orfento.
Il percorso principale si sviluppa sulla linea di crinale, con in cima la fortificazione, che doveva essere assicurata non solo dal castello, ma anche dalla stessa chiesa principale, la quasi millenaria abbazia di Santa Maria Maggiore, dotata allo scopo di robuste mura.
Se la chiesa della Trinità non può certo competere con la vicina abbazia di Santa Maria Maggiore, basta spostarsi in via Verdi per imbattersi in due palazzi settecenteschi ricchi di stemmi araldici, come i palazzi D’Aquino e Salerni, costruiti dopo il terremoto del 1706, quando l’antico tessuto medievale fu sostituito da costruzioni più solide e importanti.
Da via Duca degli Abruzzi si accede alla parte bassa del borgo, la più autentica perché non interessata dagli interventi di demolizione ottocenteschi. Il borgo antico custodisce la chiesa di San Nicola di Bari, dalla sobria facciata neoclassica che incornicia l’esuberante portale barocco del 1592.
Anche se l’intonaco ha progressivamente coperto le murature faccia a vista, il quartiere di San Maurizio rimane il cuore del sognante paese che presenta una serie di manifestazioni estive come la Rassegna concertistica internazionale “Festival Valle dell’Orfento” dell’Accademia Marino da Caramanico, il Festival Musicarte e gli appuntamenti musicali itineranti di “Borghi in Musica”.
A queste, il 14-15 agosto, si aggiungono I Palmentieri, tipica festa contadina di ringraziamento che ha luogo al culmine della mietitura. I “palmentieri” sono cesti di vimini chiusi da un cono rovesciato adorno di pizzelle, dolce locale che ragazze in costume tradizionale depongono in omaggio ai piedi della Madonna dell’Assunta, protettrice del paese.
Si continua per Abbateggio piccolo borgo alle pendici della Maiella
Costituito da un nucleo antico di casette in candida pietra locale, aggrappate a uno sperone roccioso che domina la stretta valle del Fosso Fonte Vecchia. La parte più antica del paese si presenta come un paesino attraversato da tortuose stradine e ripide scalinate, scendendo le quali ci si affaccia verso i verdi panorami che circondano il borgo.
Il nucleo più alto, invece, è costituito di case rurali in pietra con caratteristiche stalle e fienili in parte ancora utilizzate dagli agricoltori locali, inframmezzate da orti e piccoli campi. Nel centro storico, corrispondente al sito in cui sorgeva il castello di Abbateggio, è da visitare la chiesa di San Lorenzo Martire, a pianta rettangolare e a una sola navata, con facciata rinascimentale e portale in stile quattrocentesco.
Su un colle roccioso di fronte al borgo, con vista sul Gran Sasso, i monti della Maiella e del Morrone e il mare Adriatico, si trova il santuario della Madonna dell’Elcina. La chiesa è eretta sul luogo in cui si tramandano alcune apparizioni mariane tra XV e XVI secolo, e ha dunque un notevole valore religioso per l’intera vallata.
Poco distante dal borgo ha sede il sito archeologico di Valle Giumentina, una delle principali testimonianze del Paleolitico inferiore e medio in Abruzzo. Vi si ammira un gruppo di capanne a tholos, notevoli per fattura e dimensioni.
Si tratta di strutture in pietra a secco costruite da pastori e contadini come ripari e la loro forma ricorda i trulli pugliesi e i nuraghi sardi. L’edificio principale del gruppo, l’unico a due piani, è il più grande degli esemplari sparsi nella zona.
Tutta la montagna è percorsa da una fitta rete di sentieri, che permettono di compiere brevi passeggiate o lunghe e impegnative escursioni. Da Abbateggio inizia anche un viaggio alla scoperta degli antichi eremi nascosti tra le rocce della Maiella. I più vicini sono quelli di San Bartolomeo di Legio, di Sant’Onofrio di Serramonacesca, di Santo Spirito a Maiella.
Riscoperto tra le sementi delle famiglie contadine, il farro, da anni, è oggetto di attenzione da parte di piccoli produttori locali che cercano di favorire la reintroduzione di questo cereale nell’alimentazione moderna.
E proprio il 10 agosto, ad Abbateggio, ha luogo la Festa del Farro, in occasione della ricorrenza di San Lorenzo, il patrono del paese. Allo spettacolo visivo delle stelle cadenti si unisce quello olfattivo dei molti piatti a base di farro cucinati dalle massaie locali, prime fra tutti le insalate e le minestre di farro.
Percorrendo la regione in direzione nord si arriva a Penne il cui corpo urbano è vestito di cotto, il mattone rosso che dalla pavimentazione delle strade sale fino alla cima delle case e dei palazzi nobiliari.
Qui, su questo naturale terrazzo, si affaccia il Gran Sasso e si può iniziare la visita al centro storico da Porta Santa Croce, che ha accanto la chiesa di Santa Croce e la scenografica piazzetta omonima.
Percorrendo il corso dei Vestini si incontra la chiesetta settecentesca di San Ciro, restaurata nel 1843, e due pregevoli edifici civili: sulla sinistra, il cinquecentesco Palazzo Scorpione, già dimora di Margarita d’Austria, duchessa di Penne, con cortile rinascimentale in mattoni, mentre sulla destra, il Palazzo De Dura, con facciata rinascimentale in mattoni a vista.
La chiesa dell’Annunziata, le cui origini romaniche sono visibili nella parte esterna dell’abside, rappresenta uno degli edifici sacri più belli del Settecento abruzzese. Presenta un campanile a vela, facciata in cotto del 1733, interni barocchi, e una lunga storia: dal 1570 parte da qui la processione del Cristo Morto che si svolge il Venerdì Santo.
Giunti al Duomo, la cui esistenza è nota già nell’868, quando vi furono trasferite le spoglie di San Massimo, ci si trova di fronte una facciata in cotto ricostruita nel dopoguerra, mentre solo la cripta, il portale e il trecentesco campanile appartengono all’originaria fase romanico-gotica.
Piazza Duomo è anche sede del Museo Civico Diocesano. Le sale del piano inferiore sono costituite dalla cripta del Duomo, in cui sono conservati affreschi che vanno dal Duecento al Quattrocento, mentre il piano superiore comprende sale tematiche dedicate all’oreficeria sacra dal Trecento al Settecento, alle sculture lignee, ai codici e alle tele provenienti dalle chiese di Penne.
La vocazione produttiva del territorio è incentrata sulla cerealicoltura tra farro, mais, orzo e la rinomata pasta di grano duro, sulla coltivazione dell’ulivo, con l’olio extravergine Dop Aprutino Pescarese, e della vite grazie alle Doc Montepulciano d’Abruzzo sottozona Vestina, Cerasuolo e Trebbiano d’Abruzzo.
Ma non mancano le specialità culinarie come primi piatti, tra cui il timballo al forno e i maccheroni (o spaghetti) alla chitarra e i secondi come gli squisiti arrosticini (spiedini di carne di pecora cotti sulla brace) e capretto al forno.
Spostandosi quasi in direzione del mare Adriatico si incontra Città Sant’Angelo
Posta sul suo belvedere naturale di dolci colline, rappresenta un lascito dei Longobardi da cui deriva il culto dell’angelo.
Risonanze angeliche si intravedono anche nel colore dorato dei mattoni in contrasto con la pietra bianca, nella calda tonalità bruna che le facciate di chiese e palazzi assumono al tramonto, negli ombrosi vicoletti dove si spinge l’aria di mare.
Più che un borgo, Città Sant’Angelo è una cittadina e bisogna cercare il centro storico facendosi largo tra le urbanizzazioni della collina e quelle del mare. Dal belvedere naturale su cui è stata costruita, si gode una vista magnifica sui monti della Maiella e del Gran Sasso e sulla costa pescarese.
La struttura urbanistica è chiaramente medievale, come appare dalla serie di stradine che si intersecano lungo il corso che taglia in due il centro storico. La prima emergenza architettonica all’ingresso del nucleo antico è la chiesa di Sant’Antonio, a navata unica con pareti ornate da stucchi barocchi.
Proseguendo lungo il Corso principale, si arriva al monumento simbolo di Città Sant’Angelo, ovvero alla chiesa di San Michele Arcangelo, divenuta collegiata nel 1353 e costruita su un precedente edificio del IX secolo.
Si scende quindi per uno dei suggestivi vicoletti alla chiesa di Santa Chiara, a pianta trilobata, unico esempio in tutta la regione, che merita una visita anche per la magnificenza degli stucchi e delle dorature e per il pregevole pavimento a mosaico.
Ritornati sul Corso, possiamo apprezzare il Palazzo Baronale, la dimora gentilizia più antica della città, e i palazzi Crognale, Colella e Castagna, mentre sfondo perfetto del Corso è la chiesa di Sant’Agostino, con retrostante convento.
A Città Sant’Angelo va in scena un particolare evento: Dall’Etna al Gran Sasso. Dal sabato antecedente la terza domenica alla quarta domenica di luglio un pezzo di Sicilia viene rappresentato in Abruzzo, con spettacoli musicali e teatrali, stand enogastronomici e mostra-mercato dell’artigianato artistico delle due regioni.
La Festa Patronale e del Perdono ha luogo, invece, dal venerdì antecedente al lunedì successivo la terza domenica di settembre. Al rito dell’indulgenza plenaria legato al culto di San Michele Arcangelo si accompagnano la Sagra dell’Uva, il sabato pomeriggio, con degustazione di uva e vino, la sfilata dei carri allegorici e la processione del lunedì sera.
Le viti e gli ulivi dei colli, così vicini al mare, risentono di un clima mite, generoso con le produzioni agricole. Ne derivano l’olio extravergine Dop Aprutino-Pescarese, estratto nei sei frantoi del territorio, di sapore fruttato e bassa acidità, e il vino doc Montepulciano d’Abruzzo. A questo si devono aggiungere le produzioni di Trebbiano, Cerasuolo e Pecorino, un vitigno riscoperto negli ultimi anni.
Muovendosi tra bosco e mare, tra il verde di uliveti, vigneti e aranceti, e la fascinosa Costa dei Trabocchi si arriva al borgo di Rocca San Giovanni
Le tre emergenze significative qui sono la chiesa di San Matteo, in stile romanico e ancora dotata delle originarie arcate gotiche, l’ottocentesco palazzo Comunale e il torrione medievale che fa parte della cinta muraria del XIII secolo, di cui rimane solo un tratto, con grazioso camminamento.
All’interno, il borgo ha interessanti edifici ottocenteschi, come Palazzo Colizzi, quasi tutti con ampi giardini interni, e qualcuno con balconi in ferro battuto. Il rifacimento di Piazza degli Eroi, di corso Garibaldi, di Largo Lentisco e delle vie d’accesso alle mura medievali rappresentano un primo, importante passo verso la riqualificazione totale del nucleo storico.
Città del Vino, Rocca San Giovanni vanta due cantine che producono vini Doc Montepulciano d’Abruzzo e Trebbiano d’Abruzzo, con particolare attenzione ai bianchi. Se i vigneti si perdono a vista d’occhio, gli ulivi non sono da meno: dalle olive Gentile di Chieti si ricava l’olio Dop Colline Teatine, un fruttato dai sentori erbacei e di colore verde oro.
La Costa dei Trabocchi, infine, regala una varietà tipica di arance, mentre alcuni trabocchi sono aperti per visite guidate e ospitano cene a base di piatti della tradizione marinara. Acciughe o sardine, mollica di pane, aglio, prezzemolo e olio extravergine di oliva sono gli ingredienti per preparare un piatto tipico come la “palazzole”.
Si ritorna verso sud e si visita Guardiagrele dove si lavora di fino, si cesella, si ricama.
Questa, infatti, è la patria di Nicola da Guardiagrele, scultore e orafo sublime, uno dei più grandi artisti del Quattrocento italiano.
Un’abilità inventiva rimasta tesoro del borgo, ne è l’anima visibile, perché i suoi concittadini sono ancora gli artigiani più bravi d’Abruzzo, e i più strenui difensori dei “mestieri di una volta. Sede del “Centro d’eccellenza per l’artigianato d’Abruzzo”, Guardiagrele offre tutta la bellezza del “fatto a mano”: ferro battuto, ceramica, legno tornito, rame lavorato, tombolo, pietra lavorata, arte orafa e gioielli.
La particolare posizione in faccia alla Maiella spiega l’uso alternato della pietra e del mattone nel nucleo storico, il cui tessuto urbanistico si è formato tra il XIII e XV secolo, quando la cinta muraria raggiunse il suo massimo sviluppo.
La visita al centro storico parte dalla Chiesa di Santa Maria Maggiore, sorta intorno all’XI secolo. Il prospetto principale presenta uno stupendo portale ogivale trecentesco, tra i più eleganti del gotico abruzzese. Magnifico è anche, nella lunetta del portale, il gruppo scultoreo dell’Incoronazione della Vergine attribuito alla scuola di Nicola di Guardiagrele.
Il complesso monumentale di San Francesco si presenta oggi nelle forme della trasformazione settecentesca, ma la struttura risale al Trecento, quando furono realizzati il portale e il campanile, mentre la Chiesetta di Santa Chiara è caratterizzata all’interno da una profusione di stucchi settecenteschi.
Nella splendida cornice del chiostro francescano, il Museo del Costume rappresenta uno spaccato di storia locale a cavallo tra 800 e 900. Un viaggio nel passato, quando l’uomo era al passo con la natura e l’animale suo compagno di lavoro. Suddiviso in sei settori, nel corso degli anni il Museo si è arricchito di nuovi elementi, dando vita ad un’area espositiva di circa 1500 reperti autentici d’epoca, creati dagli artigiani guardiesi
Il Museo archeologico “F. Ferrari”, espone nelle sue sei sale corredi e manufatti provenienti principalmente dalla necropoli preromana di Comino. Al suo interno, una copia della funebre “Stele di Guardiagrele”, che riproduce le fattezze di un guerriero del VII secolo a.C. Visitare il Museo Archeologico equivale ad intraprendere uno straordinario viaggio nella storia antica di questo borgo meraviglioso
Quanto all’architettura civile, l’esempio più importante è il Palazzo Vitacolonna, realizzato nel XVIII secolo interamente in mattoni. La monumentale facciata, ispirata a canoni rinascimentali, presenta una lunga balconata su mensole.
A Guardiagrele ha sede il Parco Nazionale della Maiella, una montagna dolce e invitante, ricca di acque, boschi e pascoli, che racchiude, come in un grembo misterioso, anfratti e valli nascoste. Da qui partono splendidi itinerari che portano in luoghi panoramici costeggiando torrenti e fontanili, attraversando canyon e grotte, grandi faggete e fitti boschi.
Oltre alle abilità manuali e artigianali, a Guardiagrele è particolarmente apprezzata la produzione dolciaria e pasticcera: torroni, amaretti, marzapane e, soprattutto, le sise delle monache, pudicamente chiamate anche tre monti, paste fresche di pan di spagna farcite di crema e cosparse di zucchero a velo.
Il tour tra i borghi abruzzesi si conclude a Pretoro tra pascoli, prati e boschi che costituiscono la ricchezza di questo borgo appollaiato su una collina alle pendici della Maiella.
Posto tra il mare Adriatico, visibile in lontananza nei giorni limpidi, e la montagna, Pretoro ha sempre vissuto in rapporto simbiotico con il suo bosco, come dimostra la secolare tradizione dell’artigianato del legno realizzando mortai, setacci per la farina, strumenti per fare la pasta alla chitarra, cucchiai e forchette di legno.
Bosco e montagna: dai pascoli ovini veniva la lana, per filare la quale servivano i fusi, costruiti da abili artigiani, i “fusari”. Questo era, appunto, il paese dei “fusari”, e anche se di fusi non c’è quasi più bisogno, l’artigianato a Pretoro non è morto: ci sono ancora, infatti, alcuni tornitori, scalpellini e intagliatori.
I principali monumenti di Pretoro sono tre edifici religiosi. La chiesa di Sant’Andrea Apostolo, la principale del borgo, che risale ai secoli XV e XVI ed è posta sulla parte più alta dell’abitato. La chiesa di San Nicola si discosta dall’originario impianto romanico per le forme tardorinascimentali e secentesche con cui si presenta dopo la sua ricostruzione. Più conosciuta come chiesa di San Domenico, al quale sono dedicate le celebrazioni de Lu Lope (il lupo) e quella arcaica dei Serpari (i manipolatori di serpenti).
Proprio con la Festa di San Domenico e il Lupo, la prima domenica di maggio si rievocano antichi riti e miracoli del santo che protegge dai lupi e dal morso dei serpenti. Con una sacra rappresentazione si ricorda il salvataggio del figlioletto di una coppia di boscaioli rapito dal lupo, e la mattina della festa si premiano i “serpari” che hanno catturato nei boschi i serpenti più belli.
E poi l’eremo della Madonna della Mazza con un portale che testimonia un’origine duecentesca o trecentesca. Le prime notizie certe che lo riguardano sono del 1324-1325 e si riferiscono alla riscossione delle decime da parte dei monaci benedettini cistercensi provenienti dalla Francia.
Il nome di Madonna della Mazza deriva dallo scettro (o “mazza”) con cui è raffigurata la Vergine. La chiesetta è frequentata in estate e soprattutto la prima domenica di luglio, quando la Madonna viene riportata in processione qui, sui monti, dopo aver trascorso due mesi nella chiesa di Sant’Andrea.
Paesaggi incontaminati, ricchi di flora e di fauna, accolgono nella Riserva Naturale Valle del Foro, sorta nel 1997 per tutelare il territorio, divenuta il primo nucleo del Parco Nazionale della Maiella. Numerosi percorsi escursionistici conducono all’interno del Parco, mentre altre destinazioni nei paraggi sono il Passo Lanciano, la Fonte Tettone e il Monte Amaro.
Alessandro Campa
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