I borghi più belli d’Italia: Calabria
Regione dai molteplici volti e dalla storia che ne ha caratterizzato la sua evoluzione
La bellissima punta dello stivale. La Calabria, regione dai molteplici volti e dalla storia che ne ha caratterizzato la sua evoluzione. Un territorio costellato da piccole località, piccole comunità che si fondono insieme all’interno di parchi nazionali, montagne e mare.
Il viaggio all’interno di questa regione inizia nel suo centro abitato più settentrionale, al confine con la Basilicata, dove nella provincia di Cosenza si incontra Rocca Imperiale
Un borgo in cui si viene accolti dal monastero dei Frati Osservanti che ospita al suo interno un coinvolgente Museo delle Cere che offre una sensazionale e suggestiva atmosfera grazie alla compresenza di elementi di misticità e alla combinazione spettacolare tra il sacro ed il profano.
Numerose sono le personalità che qui vengono rappresentate con ricercata e acuta verosimiglianza a quelli che sono stati le donne e gli uomini simbolo del Novecento italiano. Non mancano poi personaggi popolari che con le loro gesta hanno dato splendore e fama a tutta la comunità. Tra le pareti di quello che un tempo fu luogo di preghiera e di culto, si respira un’aria trascendentale con le statue che evocano un contatto quasi umano.
La struttura del monastero, invece, non si discosta dal modello classico dell’architettura francescana. Come tutti i conventi dell’epoca, era dotata di chiostro con cisterna, porticato, celle e chiesa. Sono notevoli qui la semplicità delle linee e il tentativo di qualche bravo frate nel rendere bello e artistico qualche dettaglio come le cornici interne ed esterne della cupola e i capitelli dei pilastri della cisterna.
Un altro edificio di culto di grande spessore è la Chiesa di Santa Maria in Cielo Assunta, attuale chiesa madre.
Non ci sono notizie di cappelle nell’abitato, ma, annessa all’ospedale, doveva esserci, già nel secolo XIV, quella del Crocifisso. Con l’andare del tempo ne sorsero diverse: prime fra tutte quella di San Giovanni, quattrocentesca e poi, in ordine cronologico, furono edificate quella delle Cesine, in campagna e, in ultimo, quella della Croce, all’ingresso del paese.
A Rocca Imperiale sono principalmente due gli eventi. Il 19 agosto la mostra d’arte Dal tramonto all’alba, mentre l’ultima settimana del mese ha luogo Il Federiciano, festival artistico e concorso di poesia. In inverno l’ultima domenica di Carnevale si festeggia con la sfilata in maschera e la Sagra delle maiatiche, frittelle con peperoni secchi. L’offerta gastronomica continua con frizzul ca’ millic, maccheroni con sugo e mollica, arrosto di capretto e di maiale, peperoni e melanzane fritte, e muffit, sfogliata con ciccioli di maiale.
Oriolo borgo di origine remote, nacque come fortezza a difesa dei cittadini scappati dalle coste per rifugiarsi dalle continue incursioni dei saraceni.
Arroccato su uno sperone a circa 450 metri d’altezza, conserva una struttura medievale con facciate di palazzi nobiliari.
Il suo Castello, principale fortezza del borgo, fu costruito dai Sanseverino, ed era in origine a pianta quadrangolare con corte interna. Anticamente vi si accedeva tramite un ponte levatoio, sostituito in seguito con una scalinata col portale e lo stemma dei Pignone.
Abbandonato durante il periodo barbarico, il castello venne ricostruito nello stesso luogo in epoca bizantina e adornato con affreschi del Seicento. Recentemente restaurato, il castello conserva la vecchia struttura con due torri di guardia e il mastio.
Adiacente a questo spicca la chiesa di San Giorgio, Chiesa Madre di Oriolo, luogo di culto di origine normanna. La chiesa Madre custodisce reliquie di San Giorgio e di San Francesco da Paola, una collezione d’argenti, statuine del Seicento spagnolo, un settecentesco Ecce Homo in terracotta.
Un altro notevole edificio è l’ex-monastero francescano che venne costruito a metà Quattrocento a ridosso del borgo. Un luogo depositario della reliquia di S. Francesco di Paola che padre Dionigi Colomba portò dalla Francia, quale dono della regina Caterina dei Medici
Ai margini del centro storico, quasi fuori le mura, fu costruita la chiesa di Santa Maria delle Virtù cui fu annesso un ospedaletto, mentre Palazzo Giannettasio, risalente al 1700, offre ancora la sua bellezza conservando intatto il salone delle feste con soffitti decorati ed una stanza in cui è presente un affresco raffigurante San Giorgio che uccide il drago.
Al pari di molti altri paesi calabresi che hanno una parte disabitata, anche Civita ha le sue crepature e rovine.
Un borgo fantastico, uno dei 25 comuni arbëreshë della provincia di Cosenza, fondato intorno al 1471 da profughi albanesi che si erano rifugiati in Calabria per sfuggire all’occupazione turco-ottomana dei Balcani.
Nel cuore del Parco del Pollino, incastonato tra le rocce per rendersi invisibile alle scorribande dei saraceni, Civita è uno scrigno che custodisce le antiche tradizioni del popolo arbëreshe. Civita è uno degli insediamenti meglio conservati della Calabria interna, caratterizzato da una struttura urbanistica fatta di viuzze e slarghi che si intersecano le une negli altri.
Le rughe, i vicoli stretti tutti in salita, si dipartono con andamento circolare verso le piazzette che collegano i vari nuclei urbani. Una struttura presente nei tre principali rioni, Sant’Antonio, il più antico e più affascinante, Piazza e Magazzeno che si chiama in albanese gjitonia, termine d’origine greca traducibile con “vicinato”.
La gjitonia ha un significato urbanistico e nello stesso tempo è il nucleo base dell’organizzazione sociale, rappresentando la porzione più piccola del tessuto urbano, costituita da una piazzetta nella quale confluiscono i vicoli. Qui ci si riunisce a ricamare, a conversare, ci si parla dal galti, il ballatoio davanti alla porta d’ingresso.
A Civita sono caratteristici anche i comignoli e le “case parlanti”.
I comignoli sono quasi delle opere d’arte, che rappresentavano la firma per una nuova casa, di cui diventava il totem, con la funzione non solo di aspirare il fumo dai camini, ma anche di tenere lontano gli spiriti maligni. Sono una cinquantina i comignoli storici, costruiti probabilmente tra fine Seicento e inizio Novecento.
Passeggiando per il borgo si incontrano inoltre alcune abitazioni dall’aspetto antropomorfo, le cosiddette case di Kodra o parlanti, una sorta di omaggio al pittore albanese di fama internazionale naturalizzato italiano Ibrahim Kodra. Si tratta di abitazioni molto piccole, con finestrelle, canna fumaria e comignolo, la cui facciata richiama con evidenza la faccia umana.
La parte più antica del paese è il quartiere Sant’Antonio, che ha origini medievali e un tessuto urbano in cui spiccano non solo i comignoli decorati, ma anche forni pensili e logge. Nel centro storico, oltre alla cappella di Sant’Antonio e a quella cinquecentesca di Santa Maria della Consolazione, è da visitare la chiesa di Santa Maria Assunta, costruita in stile barocco nella seconda metà del XVI secolo.
L’impianto è orientale: guarda verso il sorgere del sole e reca i simboli e le forme della teologia bizantina.
Oggi, infatti, vi si celebra la liturgia bizantina, perché gli albanesi d’Italia sono cattolici di rito greco.
Nella chiesa le statue sono sostituite da icone: quelle del Cristo Pantokràtor e della Vergine Odigitria sono state dipinte da Alfonso Caccese, e quelle delle dodici feste dell’anno sono giunte da Atene.
Dal borgo, scendendo oltre 600 gradini, si arriva al Ponte del Diavolo, in un paesaggio rupestre d’intatta bellezza: un canyon con le gole più lunghe d’Italia e una parete rocciosa che sembra un fondale teatrale.
L’esile e vertiginoso ponte, che in base alla leggenda, solo il diavolo poteva costruire in una posizione così ardua, conduce alle gole del fiume Raganello, lunghe 13 km e paragonate, in piccolo, al Gran Canyon del Colorado per l’unicità ambientale e le sculture naturali modellate dal vento.
Visitare Civita significa sicuramente fare una sosta al Museo Etnico Arbëreshë che raccoglie testimonianze di una cultura minoritaria ma viva, quella dell’etnia arbëreshë, legata alla tradizione religiosa greco-bizantina e al mondo contadino.
Il museo presenta diverse sezioni interessanti, come quelle sulla cultura materiale con oggetti della vita quotidiana, e sul costume arbëreshë, con splendidi modelli arricchiti di ornamenti in oro.
Proprio il costume tradizionale rappresenta per gli italo-albanesi il simbolo di una coscienza etnica collettiva, uno dei legami più forti con il proprio passato. Realizzato in ricchi tessuti di raso e sete naturali dai colori vivaci, ricamati e laminati in oro, il costume arbëreshë è considerato tra i più belli delle raccolte internazionali per la varietà, gli echi orientali e l’austero fasto bizantino.
La comunità arbëreshë, due settimane prima di Carnevale, con il Prigatorët, ricorda i defunti offrendo ai loro parenti e conoscenti grano bollito, mentre durante la Settimana Santa la passione, morte e risurrezione di Gesù sono evocati secondo i riti della liturgia greco-bizantina.
Il martedì dopo Pasqua, invece, ha luogo la Vallja, danza etnica di antiche origini, documentata nella cultura illirica e greca, che si svolge nella piazza e nelle strade del borgo per ricordare la vittoria di Skanderberg sui turchi.
Anche la gastronomia locale è un connubio tra tradizioni arbëreshë e la cucina tipica del Pollino. La sapienza delle massaie unita a materie prime di qualità e alla presenza di erbe aromatiche, sforna piatti ricchi di sapore: pasta fatta in casa condita con sugo di capretto, gnocchetti con ricotta pecorina, fettuccine con funghi porcini, agnello e capretto alla civitese con accompagnamento di vino del Pollino.
Circoscrivendo la parte calabra del Parco Nazionale del Pollino e si raggiunge Morano Calabro
Abbarbicato sul colle, con le case strette le une alle altre, è un borgo che con i suoi 2248 metri costituisce una presenza ineludibile.
La bellezza di Morano sta nella delicata combinazione di arte e bellezze naturali: la pietra degli archi e dei torrioni si sposa con la maestà dei monti circostanti creando uno scenario davvero unico. La maglia urbana, fitta e intricata, fa di Morano uno dei centri storici più suggestivi dell’intera Calabria.
La scoperta di Morano inizia dalla chiesa di San Bernardino da Siena, un gioiello di architettura monastica quattrocentesca in stile tardo-gotico. La facciata è dominata da un bel portale ogivale in pietra gialla, mentre l’interno è mistico e severo come tutti gli ambienti francescani.
Risalendo il quartiere dei Lauri, dove vi era uno stanziamento di monaci bizantini, si raggiunge la collegiata di San Nicola, costituita da due corpi di fabbrica, il superiore quattrocentesco, ma di aspetto barocco per i rifacimenti tardo-settecenteschi, e l’inferiore di epoca precedente.
Dal rione San Nicola, attraverso archi, sottopassi, viuzze e slarghi che rivelano stupendi scorci paesaggistici, si raggiunge il castello di origine normanna che risale al XII- XIII secolo, ma ampliato tra il 1515 e il 1546 da architetti napoletani per conto del Principe Sanseverino che lo elesse a propria dimora.
Da lì il passo è breve per la collegiata dei Santi Pietro e Paolo, la chiesa più antica di Morano, risalente all’anno Mille, ma ristrutturata al suo interno in chiave tardo-barocca. Altra chiesa-museo, per l’elevata concentrazione di opere d’arte, è quella di Santa Maria Maddalena, con la cupola e il campanile maiolicati giallo e blu visibili da ogni parte del centro storico
Morano è anche ricca di palazzi gentilizi, costruiti per lo più tra Sette e Ottocento dalle famiglie benestanti.
Tra questi il seicentesco palazzo Rocco, l’elegante palazzo Salmena, palazzo Cozza col suo loggiato angolare e palazzo Lauria con il bel portale barocco.
Il borgo di Morano ricade all’interno dell’area protetta del Parco Nazionale del Pollino, circa 40 mila ettari, ed è quindi sottoposto a vincolo paesaggistico e ambientale. Da questa, che è la più alta montagna del Sud, nelle giornate più belle è possibile vedere i tre mari, Adriatico, Jonio e Tirreno.
La natura intorno a Morano offre anche prelibatezze come caciocavallo, mozzarella, treccia, ricotta, pecorino, tutti derivanti dalla lavorazione artigianale del latte di pecora autoctona. A questi si aggiungono gli insaccati di maiale e la pasta fatta in casa: la scelta è tra cavateddri (gnocchi), rascateddri (maccheroni con sugo di salsiccia), lagane (tagliolini) con fagioli o ceci. Tra i piatti esclusivi di Morano c’è lo stoccu e pateni, stoccafisso con patate e peperoni secchi.
Proseguendo verso nord, ma nel versante ovest della regione, si incontra Aieta un borgo dell’Alto Tirreno cosentino che tra mare e montagna, sorprende per il suo raro tocco rinascimentale.
Questo viene offerto dal palazzo nobiliare, accerchiato da stretti vicoli dove si fanno ammirare i portali in pietra scolpiti da maestranze locali. Il borgo di Aieta guarda in alto, alla montagna dove corrono i lupi, al verde abbraccio del Pollino. Da Aieta lo sguardo spazia dalla dolcezza mediterranea del golfo di Policastro e ai rudi contrafforti dell’Appennino, in un bel gioco di contrasti.
Aieta ha origine medievale. Le sue stradine strette e in dislivello riportano agli anni intorno al Mille, quando in queste contrade giunsero gli abitanti della cittadina magnogreca, lucana e poi romana, di Blanda Julia, abbandonata perché esposta alle scorrerie dei corsari saraceni.
Il borgo, le cui note di colore dominanti sono il bianco delle facciate e il rosso dei tetti, si stringe intorno al suo edificio più prezioso, il palazzo eretto nel XVI secolo dai Martirano, ampliato dai marchesi Cosentino e poi venduto agli Spinelli di Scalea.
Uno dei pochi esempi dello stile rinascimentale applicato all’edilizia civile in Calabria.
Tra gli edifici religiosi, invece, spicca la chiesa madre, dedicata a Santa Maria della Visitazione, realizzata nel XVI secolo su impianto di età normanna. A 800 metri dal centro storico, nella cappella di San Vito Martire del XVII secolo, con portale ad arco e portico di ingresso, è conservata la statua lignea settecentesca del patrono di Aieta.
Nell’area archeologica di Monte Calimaro, ad 895 metri s.l.m., una grotta rivela l’antico insediamento di Aieta Vetere. Passaggi secolari di pastori, contadini, legnaioli e carbonai, conducono a boschi di cerri e faggi dove si può incontrare il giglio rosso.
Posto tra mare e montagna, il borgo è collegato, grazie a una bella strada panoramica, ai centri costieri di Praia a Mare e di Diamante. Con facili percorsi di trekking si raggiungono anche i paesi di Papasidero, Laino Borgo e Laino Castello, e con uno più impegnativo la cima del monte Ciagola a 1462 m.
Ad Aieta è molto rinomata la Sagra del Prosciutto, il 12 agosto.
Un evento che rende bene l’idea della bontà del prosciutto di maiale, che ad Aieta presenta la caratteristica di un gusto un po’ salato. Altri salumi portano in tavola i sapori di questa terra, come la pancetta affumicata (vrina in dialetto locale), la salsiccia, il capocollo e la soppressata, nel cui impasto spicca il pepe rosso.
Tra i piatti che offre il borgo sono da gustare i fusilli, una pasta lunga stesa con il ferretto e condita con sugo di carne di capra o di maiale o, all’aietana, con olio, aglio, mollica di pane, acciughe salate e pepe rosso. Tra i secondi, invece, le cotiche di maiale e fagiolini e la cossa ‘mbittunata, la coscia di castrato o agnello con aglio, peperoncino, prezzemolo, vino bianco e rosmarino.
In direzione sud ecco Buonvicino in parte montano e in parte dislocato nella valle del fiume Corvino.
Il suo territorio arriva quasi a lambire il Tirreno ed è cinto da ulivi secolari nella fascia collinare, profumato dalle verdi cedriere lungo il corso del fiume, incorniciato da magnifici boschi sulle alture.
Il borgo antico sorge su uno sperone roccioso all’interno del Parco nazionale del Pollino e accoglie in un dedalo di viuzze e scalinate su cui si affacciano portali di buona fattura. Buonvicino, tra le sue particolarità, ha un belvedere in cui è posta la statua monumentale di San Ciriaco, da dove lo sguardo spazia sul parco marino della Riviera dei Cedri e sul golfo di Policastro.
Sull’impianto medioevale si sviluppano le abitazioni costruite sui dirupi a strapiombo, con archi e supporti dominano nella visione prospettica delle stradine, mentre le case più signorili e i palazzotti portano il segno delle differenti epoche anche attraverso i portali.
Nel centro storico sorge il palazzo De Paola dei baroni di Malvito, come degni di nota sono anche i tre palazzi nobiliari attribuiti alla famiglia Cauteruccio.
Il primo è abbandonato nella piazzetta XVII Settembre, il secondo, acquisito dal Comune, è ora sede del Museo Arti e Gusto Buonvicino, il terzo, ha dato vita, insieme ad altri immobili, al Borgo dei Greci, il primo Albergo Diffuso del Parco del Pollino.
Il Museo Arti Gusto Buonvicino MAGB espone numerosi attrezzi e strumenti della tradizione contadina: 350 pezzi raccolti e catalogati nel corso di più di 30 anni. Il Museo racchiude la storia del paese in cinque sezioni tematiche: archeologia, arte popolare, arte sacra, arte contemporanea e beni ambientali. Una sala è dedicata a Ippolito Cavalcanti, vissuto a cavallo tra XVIII e XIX secolo, duca di Buonvicino e gastronomo alla corte dei Borboni, autore del Trattato di cucina teorico-pratica contenente più di mille ricette.
Da Buonvicino partono numerosi sentieri naturalistici situati nel Parco Nazionale del Pollino, un’area naturale dove la presenza dell’uomo è rarefatta e il panorama comprende solo verde, spazio, cielo e roccia. Nella valle del Corvino si può visitare la grotta in cui visse da anacoreta San Ciriaco Abate tra il X e l’XI secolo, mentre a valle del villaggio di Serapodolo, nei cui pressi hanno il loro habitat cinquanta tipi di orchidea selvatica, si raggiunge il Sasso dei Greci, un antico insediamento di origine ellenica.
Risalendo la montagna, a 800 m d’altitudine si trova il santuario della Madonna della Neve.
Nel corso degli anni la chiesa è stata ampliata, decorata ed è diventata meta di pellegrini, soprattutto in occasione della festa del 5 agosto. Dalla vetta del monte, dove è posto il Santuario, si gode una vista unica, che spazia dal Golfo di Policastro alla Sicilia e sul verde riposante dei boschi della catena Appenninica, in un fantastico spazio panoramico.
Il 4 e il 5 agosto, infatti, si celebra la festa dedicata alla Madonna della Neve tra tarantelle e piatti tipici. Segue, a metà settembre, la festa patronale, in cui San Ciriaco è portato in processione nella valle del Corvino, dove lo si ricorda mangiando fusilli con sugo di carne di capra, baccalà e peperoni fritti, spezzatino e trippa di capra.
Nel periodo pasquale la cultura gastronomica si intreccia con quella religiosa: è tradizione trascorrere la Pasquetta nel Parco del Pollino portando con sé pietanze come la pasta al forno, il capretto con patate al forno, la frittata di asparagi, ‘a pizzatua dolce o salata.
A poca distanza si trova Altomonte che presenta una meravigliosa vista sul Pollino, la piana di Sibari e il mar Ionio.
Ma ulteriori sorprese riserva questo luogo dalle antichissime radici fenicie, dove i vini pregiati che avevano attirato i romani, sarebbero poi stati ignorati dai monaci basiliani dediti all’ascetismo.
Una vena orientale aleggia su Altomonte, segnata dalla persistenza del rito greco e dall’impianto urbanistico di derivazione araba, fatto di vicoli ciechi, strade e stradine che si incrociano e si annullano come in una casba.
Con la sua muraglia di case, balconi e ruggini, Altomonte cerca di conservare la bellezza aristocratica e austera che ne fa uno dei centri artistici più importanti della regione.
Altomonte è una cittadina difficile da dimenticare, tutta vicoli e scalinate intorno alla chiesa della Consolazione, il massimo esempio dell’arte gotico-angioina in Calabria.
Adiacente a questa si presenta il Convento domenicano che oggi ospita il Museo Civico, in cui è presente una straordinaria raccolta di opere d’arte provenienti la maggior parte dal Convento e dalla chiesa di Santa Maria della Consolazione. Su tutte spiccano i capolavori dei maestri toscani del Trecento, come il San Ladislao di Simone Martini, commissionato da Filippo Sangineto nel 1326, e le due tavole di Bernardo Daddi, pittore fiorentino seguace di Giotto.
Su piazza Tommaso Campanella è ricordato con un monumento il soggiorno del filosofo di Stilo nel Convento domenicano, costruito a partire dal 1440 e di cui si ammira il chiostro della stessa epoca. Sulla stessa piazza si affaccia palazzo Pancaro, risalente al XVI secolo, una delle più antiche dimore gentilizie.
Lasciata la piazza, si raggiunge piazza Balbia, che nel medioevo era il luogo delle assemblee pubbliche, il cui slargo ospita la chiesa di San Giacomo Apostolo, di probabile origine bizantina e con interno barocco.
Da piazza Balbia continuando per le stradine tortuose del centro storico si arriva in piazza San Francesco di Paola su cui si affaccia l’omonima chiesa con l’attiguo complesso monastico, ora sede del Municipio, al cui interno si ammira un bel chiostro settecentesco.
A San Francesco di Paola è dedicata la festa patronale che ha luogo la seconda domenica dopo Pasqua, mentre a luglio e agosto si può assistere a Festival Euromediterraneo, rassegna di teatro, danza, musica e arti visive: una delle manifestazioni culturali estive più importanti del sud Italia.
A settembre ecco Di… Vino Jazz, assaggi itineranti nel borgo antico tra jazz, vino e gastronomia. Ad Altomonte la cucina contadina punta sulla genuinità degli ingredienti. Piatti forti sono le paste fatte in casa, le minestre a base di verdure e legumi, la mischiglia, composta da nove erbe spontanee cotte insieme. Tipiche del luogo sono le cicerchie, raro legume che sta tra i ceci e i lupini e i zafarani cruschi, peperoni essiccati al sole e saltati nell’olio bollente.
Dirigendosi a sud, verso la costa tirrenica, si trova Fiumefreddo Bruzio
Si accede attraverso la Porta merlata che si apre su piazza del Popolo, dove già si intravedono i vicoli ciottolati in pietra viva, e i cui contorni sono segnati da tre monumenti.
La chiesa Matrice di San Michele Arcangelo, edificata nel 1540 e rimaneggiata nei secoli, si presenta con l’aspetto posteriore al terremoto del 1638 e conserva pregevoli tele di Francesco Solimena e Giuseppe Pascaletti .
Sulla piazza, si affacciano a destra il palazzo del Barone Del Bianco e a sinistra il palazzo Gaudiosi. Proseguendo per via Risorgimento si arriva, passando davanti a palazzo Zupi, dotato di splendido portale, ai ruderi del castello, costruito nella parte alta del borgo sugli strapiombi del vallone.
Da Largo castello ci si dirige verso piazza Vittorio Veneto, il punto focale della vita cittadina, dove fa bella mostra di sé palazzo Pignatelli, di fattura cinquecentesca e dimora di diversi feudatari. Andando verso Largo Torretta si incontra la chiesa dell’Addolorata, di antichissima origine, XI secolo, ma di aspetto barocco, con pregiati lavori di stuccatori calabri all’interno.
Ci si dirige poi verso la Rupe dove sorge la chiesa di San Rocco del XVIII secolo, costruita a pianta esagonale sulla cinta muraria e nei pressi della Porta di mare.
Gli affreschi dell’interno sono di Salvatore Fiume (1980) e rappresentano San Rocco che salva il popolo colpito dalla peste.
Alle spalle del borgo, i rilievi della catena costiera offrono diversi spunti per le escursioni, come la Grotta dell’Eremita in cima allo sperone della Timpa Badia, dove trovarono rifugio gli asceti in epoca bizantina, e la zona selvaggia della Bocca d’Inferno. Storia e natura, infine, si incontrano al Fiume di Mare che scorre tra i monti prima di precipitare, creando cascatelle, in una stretta e profonda gola, nei pressi dell’abbazia di Fonte Laurato.
Un particolare evento si svolge il 15 agosto, giorno in cui si celebra Santa Maria Assunta. La festa culmina con la distribuzione della “filiciata”, il caratteristico fior di latte posto sulle felci. La filiciata è uno squisito piatto a base di formaggio fresco su foglie di felce. Altro piatto tipico è la frittata di patate, da accompagnare con vino rosso, mentre tra i dolci, i cuddruri sono fatti con uova, zucchero, cannella e anice.
Attraversando in orizzontale la regione, nella provincia di Crotone si trova Caccuri
Con un territorio che si sviluppa attorno all’antico borgo, arroccato su uno sperone di roccia e circondato principalmente da uliveti che costituiscono la principale fonte del reddito agricolo del paese.
Il paese è dominato dall’antico castello medioevale, ai cui piedi si trova la Villa Comunale, un parco suggestivo per le sue rocce calcaree dalle forme insolite, che si stagliano tra il castello e i pini del parco, in cui ha sede il Municipio. All’interno del castello, inoltre, è conservata la cappella palatina dall’aspetto tardo-secentesco della ristrutturazione eseguita dalla famiglia Cavalcanti e dipinti della scuola napoletana.
Tra ripide salite e discese, tra viuzze e costoni rocciosi, si dipanano strade tortuose interrotte dalle cosiddette “rughe”, piazzette verso le quali si rivolge l’ingresso di ogni casa e che un tempo costituivano luoghi di socialità.
La chiesa di Santa Maria del Soccorso, poco fuori Caccuri, è parte dell’antico convento domenicano realizzato con il contributo dei feudatari che, all’interno dell’edificio, ottengono una cappella gentilizia, come nel castello. Qui i Cavalcanti potevano seguire le funzioni religiose senza mischiarsi alla folla.
Il santuario di San Rocco, invece, risale al 1908, edificato in occasione di un’epidemia in onore del Santo Patrono e situato ai margini del centro abitato e in prossimità della “Porta Piccola”, via d’accesso alle campagne ed uliveti del paese. Nelle vicinanze è situata anche l’antica via Judeca, un tempo sede di una sinagoga ebraica, come possono dimostrare i bassorilievi presenti
A San Rocco, appunto, è dedicata anche la festa patronale, dal 14 al 16 agosto, a cui si aggiungono la Festa d’autunno nel borgo del castello, l’ultima settimana d’ottobre e la Festa del maiale, all’inizio di gennaio. Eventi in cui poter gustare una salsa di bianchetti e peperoncino piccante, specialità locale comune all’area della Sila e il calzone con la sardella.
E poi Santa Severina borgo che sorge su uno sperone di tufo che domina la vallata del fiume Neto.
A testimonianza della dominazione bizantina, rimane il quartiere della Grecìa, nella zona orientale, praticamente intatto dal punto di vista urbanistico, dove le case sono tutte aggrappate sullo sperone roccioso, quelle delle famiglie più agiate in cima al colle, mentre le altre scavate nella roccia.
Dal IX fino all’XI secolo la città conobbe il periodo di massimo splendore: il battistero, la vecchia Cattedrale, la chiesa di Santa Filomena e altre rovine sparse sul territorio, sono le testimonianze più appariscenti del periodo di Bisanzio.
Il Battistero, cui si accede da una porticina della Cattedrale, è il più antico monumento bizantino della Calabria: realizzato tra VIII e IX secolo, a base circolare con croce greca inserita, in origine era un martyrium e solo più tardi fu adibito a battistero.
La chiesa dell’Addolorata, risalente ad epoca pre-normanna, sorge sui resti dell’antico vescovado e conserva numerosi elementi della vecchia cattedrale consacrata nel 1036. L’interno a tre navate, edificato nel XVII secolo, custodisce un bellissimo altare barocco.
La chiesa di Santa Filomena, interessante esempio di architettura bizantino-normanna, è una costruzione dell’XI secolo formata da due cappelle sovrapposte a pianta rettangolare, con una cupoletta adorna di colonnine e due portali ogivali normanni.
Lo stesso castello, maestoso e imponente, è stato eretto nel 1076 dai Normanni sui resti di una precedente fortificazione bizantina.
Opera militare tra le più complesse e belle della Calabria, è composto da un mastio quadrato, quattrocentesco, con quattro torrioni angolari in corrispondenza dei quali si trovano quattro bastioni sporgenti.
La Cattedrale a nord e il castello normanno a sud sono le due importanti emergenze architettoniche del “Campo”, nome col quale gli abitanti di Santa Severina chiamano la propria piazza, per antica memoria di un suo uso militare. Separati dal castello da un profondo fossato, due spuntoni rocciosi formano un belvedere che si affaccia su un suggestivo scenario che spazia dai monti della Sila al mare Ionio.
In piazza Campo, inoltre, ha luogo l’Estate Sanseverinese, da luglio a settembre, con una serie di manifestazioni musicali, teatrali, cinematografiche e sportive.
A questa si aggiunge, nella seconda decade di settembre, Suono italiano per l’ Europa, stage nel castello e concerti dei musicisti italiani inseriti nella Orchestra Giovanile Europea (European Union Youth Orchestra).
Nel Palazzo Arcivescovile ha sede il Museo Diocesano di Arte Sacra, uno dei più interessanti musei di Calabria. Gli oggetti conservati consentono di ricostruire l’importanza di Santa Severina come centro religioso nei vari momenti storici.
Vi è esposto il tesoro della Cattedrale: paramenti, arredi sacri e documenti ecclesiastici, il più antico dei quali è una bolla papale di Lucio III del 1184. Pregevole un dipinto di gusto bizantino dell’VIII-IX secolo raffigurante il volto di Cristo.
Sempre nello stesso palazzo si trovano la Biblioteca e l’Archivio storico diocesano che custodiscono un patrimonio inestimabile per la storia dell’intera Calabria. L’Archivio conta centinaia di pergamene e manoscritti che raccontano le vicende della Metropolia bizantina e delle singole parrocchie.
Il viaggio nella meravigliosa Calabria prosegue a sud della regione scoprendo un posto incantevole come Tropea nel territorio di Vibo Valentia.
Tropea rappresenta la straordinaria simbiosi tra storia, ambiente, tradizione e patrimonio immateriale. E a questa si aggiunge l’accoglienza solare dei suoi abitanti, risorsa speciale che rinnova il desiderio di ritornare nel borgo risplendente sul mare.
La testimonianza di questo grande retaggio risplende nel centro storico, proteso sul mare, con un pregevole alternarsi di palazzi patrizi con sontuosi portali, chiese dal volto medievale, richiami rinascimentali, lineamenti barocchi e neoclassici insieme ai conventi che mantengono vivo il ricordo del fervore religioso.
L’architettura dei palazzi patrizi si articola tra vie suggestive e larghi arieggiati con i sontuosi portali in granito e tufo locale.
Le chiese e i conventi offrono una varietà unica in uno spazio di appena sette ettari quadrati. Santa Maria dell’Isola è un antico eremo fondato da monaci ortodossi tra il VI ed il VII secolo poi divenuto santuario benedettino nell’XI secolo Simbolo di Tropea e della Calabria nel mondo, vanta un terrazzo panoramico ed un giardino rigoglioso di macchia mediterranea.
La Chiesa Concattedrale, fondata dai Normanni nel 1163, racchiude al suo interno l’Icona della Madonna di Romania risalente al XIV secolo e Patrona di Tropea, il Crocifisso Nero del XV secolo e il mausoleo della famiglia Gazzetta del XVI secolo, mentre la Chiesa del Gesù sfavilla al suo interno di preziosi altari marmorei e di tele settecentesche di pittori calabresi, tra cui spicca la grande tela de “La Natività” di Giuseppe Grimaldi.
Nell’antico palazzo del Convento delle Clarisse ha sede il Civico Museo del Mare (MuMaT), suddiviso in tre sale dove sono esposte un’importante sezione paleontologica e mostre di biodiversità marine delle specie attuali del biosistema del Tirreno.
L’ Archivio privato “Toraldo di Francia” è costituito da 37 pergamene comprese tra il XIV e il XVIII secolo, tra cui privilegi angioini, libri manoscritti di memorie e buste di carteggio della famiglia Toraldo dei secoli XVII-XIX. Nell’Archivio privato “Toraldo Serra” invece, sono presenti altrettante pergamene, atti privati, contabilità e documenti riguardanti la città e del suo territorio.
Davanti la rupe di Tropea, in gruppo o in solitaria, ci si può divertire con il volo in Parasailing, mentre è possibile anche fare escursioni in barca al largo della rupe con vista dei fondali oppure escursioni culturali alla scoperta del borgo fra storia, arte, folclore Laboratori esperienziali nelle cucine delle cuoche del borgo.
Proprio la cucina è caratterizzata dal prodotto principe di questo affascinante borgo calabrese: la cipolla rossa di Tropea.
Fonti storiche e bibliografiche attribuiscono l’introduzione della cipolla nel bacino mediterraneo e in particolare in Calabria, prima ai Fenici e poi ai Greci. Molto apprezzata nel Medioevo e nel Rinascimento, era un prodotto fondamentale per l’alimentazione e per l’economia locale.
I Macccheroni con Cipolla Rossa di Tropea, infatti sono la specialità del luogo. Una pasta tipica preparata a mano che viene condita con un sugo preparato sobbollendo le cipolle, con l’aggiunta iniziale di pochissima acqua, finché si riducono ad una morbida e consistente crema a cui si unisce, quasi a fine cottura, olio, sale e a piacere, un po’di polvere di peperoncino piccante essiccato.
Ancora più a sud, continuando sulla costa tirrenica e verso la punta dello stivale, nella zona di Reggio Calabria si incontra Chianalea, quartiere di Scilla.
Scilla, nell’immaginario collettivo, è legata al mostro creato dalle fantasie dei naviganti ed entrato nella leggenda omerica di Ulisse. Di fronte, là dove Calabria e Sicilia sembrano quasi abbracciarsi, c’è Cariddi, l’altro mostro che ingoia le acque e le rivomita, simboleggiando i pericolosi vortici delle correnti marine.
Per preservare questo luogo, in cui gli antichi coloni greci hanno collocato le loro paure e fantasie, non bisogna dunque liberarlo dal mito, ma anzi farlo rivivere ogni volta che si guarda il mare. Solo così è possibile non contaminare le emozioni mediterranee, i colori dell’acqua che cambiano con le ore, tenui all’alba, rossi o violetti al tramonto.
Scilla si estende lungo la costa della Calabria tra il mare Tirreno e le pendici dell’Aspromonte, mentre Chianalea è il vecchio borgo di pescatori, che ancora vive dell’attività antica della pesca.
Passeggiando tra le sue suggestive viuzze è facile incontrare pescatori che, sotto casa, costruiscono le reti per la pesca, apportano piccole riparazioni alle barche o si preparano a partire per affrontare una nuova giornata in mare.
Sullo “Scaro Alaggio”, dove i pescatori ancorano le proprie barche per ripararle dalle onde, si impone per armonia architettonica il palazzo Scategna, con il suo doppio ordine di balconi in pietra squadrata disposti su tre piani.
Vicino si trova villa Zagari, un edificio del 1933 in stile eclettico. Le antiche fontane, sparse qua e là, le piazze e le chiese, ognuna con la propria storia, gli scogli e le rocce che si frantumano nel mare, offrono un paesaggio naturale di grande bellezza, vigilato dall’austero castello dei Ruffo, sulla rocca che è la stessa del mostro omerico.
Costruito a scopo militare, l’imponente edificio è stato riadattato ad uso residenziale dal conte Paolo Ruffo che nel 1532 subentrò nel feudo di Scilla ai precedenti signori. Dal castello si gode un meraviglioso panorama che comprende le isole Eolie e la costa siciliana.
In un paese affacciato sul mare il suo prodotto principale non può che venire dallo stesso.
Il pesce spada, infatti, è il re incontrastato della gastronomia scillana, a cui è dedicata una sagra nel periodo estivo. Qui viene cucinato secondo tradizionali ricette, al forno, in padella o nel sugo dei maccheroni; più sbrigativo, anche se meno consueto, il pesce spada alla griglia. In qualunque modo venga preparato, deve essere accompagnato da un vino del posto, ottenuto dalle uve zibibbo.
Quasi alla punta della regione ecco Bova un ambiente fatto di luce e silenzio che invita alla calma e alla riflessione.
Chi arriva qui viene accolto in modo semplice e spontaneo da una comunità che non ha smarrito la memoria del suo passato, tanto che i nomi delle strade sono scritti anche in grecanico.
Dal balcone di Bova, posto in posizione panoramica a 850 metri d’altitudine, è possibile abbracciare con lo sguardo tutto l’arco costiero. Il borgo è uno dei centri più importanti dell’isola grecanica della provincia di Reggio Calabria e vanta una lunga storia di cui rimangono molte tracce nell’abitato e negli eventi che si svolgono in questo borgo suggestivo.
Tra questi la Paleariza, festival di musica tradizionale etnica e grecanica, luglio-agosto, nel cuore della Calabria greca resiste una tradizione viva della musica e della danza che questa importante manifestazione, frutto di un lavoro lungo e rigoroso, ha il merito di far conoscere e valorizzare.
Nella Pasqua Bizantina, invece, dopo la cerimonia religiosa, le palme sono benedette e portate in giro per le vie del borgo.
Su uno scheletro di canne s’intrecciano ramoscelli d’ulivo, che poi vengono ricoperti sino a formare statue antropomorfe a grandezza umana, con le fattezze dell’uomo o della donna.
Ad agosto si svolgono anche le esplosive evoluzioni del ballu di lu camiddhu, una sorta di macumba mediterranea dove nacchere e tamburelli accompagnano il ballo tarantolato di un uomo imbottito di fuochi d’artificio.
Bovarché è una manifestazione di arti visive, letteratura e poesia che si svolge sempre ad agosto.
Una sorta di laboratorio permanente di documentazione dell’arte contemporanea meridionale, che pone Bova all’avanguardia tra i comuni calabresi per vivacità culturale.
Anche il fiorente artigianato locale si riconduce alla tradizione agro – pastorale e alla cultura “grecanica”, seguendo una lunga tradizione che sopravvive oggi in alcuni settori, come l’intaglio del legno, la lavorazione del vetro e la tessitura.
La materia prima per la tessitura popolare è costituita dalla lana, dal lino e soprattutto dalla ginestra, raccolta sulle pendici dell’Aspromonte e lavorata in maniera naturale dalle stesse tessitrici con lunghi processi manuali.
I prodotti della tradizione agro-pastorale come latte di capra, pomodoro, olio d’oliva, sono la base di prelibatezze come i maccarruni al sugo di capra, i cordeddi con il sugo, i tagghiarini con i ceci, i ricchi di previti con il pomodoro, la carne di capra alla vutana. Da gustare infine la lestopitta, una frittella di farina e acqua, fritta nell’olio e mangiata calda.
Tra i vicoli di Bova, inoltre, si presentano molti palazzi gentilizi che testimoniano l’importanza di questo paese.
In genere sono costruiti in pietra e mattoni e arricchiti all’esterno da decorazioni di lesene, cornici e mensole e da splendidi portali d’ingresso.
Da vedere il palazzo Mesiani-Mazzacuva, sorto alla fine del XVIII secolo nei pressi delle antiche strutture difensive della città e destinato dal Comune a diventare un centro culturale sulla Magna Grecia, il palazzo Nesci Sant’Agata del XVIII secolo che sorge nella piazza principale e il palazzo Tuscano risalente al XIX secolo nella parte alta del centro abitato,
In direzione nord, attraversando il Parco dell’Aspromonte, si raggiunge Gerace
Tra le Serre e l’Aspromonte, l’antica città emerge fra i bagliori argentati degli ulivi e l’azzurro dello Ionio che si intravede in lontananza.
L’incredibile concentrato artistico di chiese e palazzi non esaurisce il fascino di Gerace, che si prolunga nelle stradine, nelle piazzette, negli archi, nei ricchi portali, nei muri carichi di storia, riservando splendidi scorci e sorprese qui è là, come le bifore moresche della cosiddetta “Casa Catalana” o, nel quartiere Borgo.
Qui tutto parla di civiltà che si mescolano, di nobiltà decaduta, di turbolenti addii, di profonda religiosità. Si può andare anche in ordine sparso incontro ai monumenti più significativi, seguendo solo gli umori e le suggestioni che nascono dal puro sguardo.
La cattedrale, ad esempio è una meravigliosa opera d’arte, tra le più importanti del Meridione.
Consacrata secondo tradizione nel 1045 e riconsacrata nel 1222 alla presenza dell’imperatore Federico II, ha il fascino dei monumenti dalla vita tormentata tra rimaneggiamenti, cambiamenti di stile e di rito, crolli da terremoto o alluvione. L’interno è diviso in tre grandi navate da una doppia fila di pregevoli colonne di marmo provenienti dai templi della Magna Grecia. Il suo primitivo stile, tra il romanico e il normanno è puro ed essenziale.
I bagliori barocchi della Gerace secentesca che nella Cattedrale facevano capolino solo dagli altari, esplodono nel fastoso altare maggiore e nell’arco trionfale della chiesa di San Francesco, che per il resto è invece un grandioso edificio gotico del 1252, con splendido portale arabo-normanno.
La luce orientale di Bisanzio, invece, viene emanata dalla chiesa di San Giovannello, piccolo edificio medievale del X secolo ad una sola navata che evoca una spiritualità sommessa e austera, se confrontata con la magnificenza della Cattedrale. Bisanzio è anche dentro gli evanescenti affreschi, l’architettura a navata unica, le sepolture rimescolate nelle tombe della chiesa Annunziatella, dello stesso periodo di San Giovannello,
Parla invece di una grecità ancora viva a Gerace la chiesa di Santa Maria del Mastro, superbo edificio di impianto bizantino sebbene sorto dopo il consolidamento del potere normanno.
Il castello di Gerace è ormai ridotto a rudere.
Vi si arriva salendo dalla chiesa di San Francesco o dalle vie laterali della Cattedrale, e attraversando il “Baglio”, uno spiazzo con vista sulla vallata.
Il 26-27-28 luglio ha luogo Borgo Incantato, prima rassegna internazionale di arte di strada in Calabria che si svolge alla luce delle fiaccole che rischiarano le viuzze dell’antico borgo. Nelle cantine dei vecchi palazzi sono allestiti tavoli di degustazione dei prodotti della gastronomia locale, mentre nelle vie del centro si esibiscono musicisti, giocolieri, funamboli, mangiafuoco e maghi.
Il luogo si fa apprezzare per la gastronomia che ha le sue radici nella civiltà contadina e per il clima di alta collina, fresco in estate e dall’aria pura e tersa. La cucina qui comincia dal vino. Il prodotto più noto della zona, infatti, è il leggendario Greco di Gerace, che si produce a Bianco, ad una ventina di km di distanza. Una prelibatezza che i Greci offrivano come segno di ospitalità, unito al miele. Un vino liquoroso di 17 gradi, ottenuto da uve greco, di colore giallo ambrato, e prodotto in limitate quantità.
Il viaggio all’interno dei borghi calabresi si conclude nel pieno entroterra con Stilo
Se ne sta ritta di fronte al sole, affacciata sull’argentea fiumara, con le sue case erette sulla pietra tufacea, le sue rughe e la sua generosa fierezza.
Baluardo della Calabria bizantina, Stilo ha una storia lunga e misteriosa, iniziata al tempo delle colonie greche nell’Italia meridionale e resa ancor più affascinante dall’insediamento sul suo territorio di numerose “laure” del monachesimo orientale, la cui principale testimonianza è la Cattolica.
Un tempietto del IX secolo che ricalca il tipo classico della chiesa bizantina su pianta quadrata e croce greca, con tre absidi rivolte a oriente e cinque cupolette. Qui i monaci basiliani, che in Calabria avevano trovato rifugio dalle persecuzioni, ricercavano il loro ideale di povertà e distacco dal mondo.
Ciò che colpisce, all’interno, è soprattutto la luce, quasi folgorante nella parte superiore e tenue nella parte bassa, così da favorire il raccoglimento. L’ambiente emana dolcezza e serenità. Gli affreschi, scoperti dall’archeologo Paolo Orsi nel 1927, sono gli unici esempi di pittura normanna intorno al Mille in Calabria.
Se la Cattolica di Stilo può considerarsi l’esempio perfetto di tempio bizantino in Italia, un altro ricordo lasciato dai monaci è la piccola chiesa di San Nicola da Tolentino, con una dolce cupola a “trullo” e la caratteristica disposizioni degli “embrici”, le tegole, che la ricoprono. Da qui lo sguardo sconfina verso gli infiniti orizzonti del mare e le colline digradanti della vallata dello Stilaro..
Il piccolo convento della chiesa di San Domenico, costruita intorno al ‘600 dai Domenicani, ospitò il frate Tommaso Campanella nei suoi anni giovanili.
Pure barocca e internamente decorata a stucchi, con una bella facciata affiancata da due campanili, è la chiesa di San Giovanni Theresti, eretta nel 1625 e dedicata nel 1662 dai monaci basiliani al loro santo, di cui si conservano le reliquie.
Il Duomo di Stilo, trecentesco ma variamente rimaneggiato, fu una delle più antiche sedi vescovili della Calabria e presenta almeno tre capolavori: il maestoso portale gotico ogivale, incorniciato da tante colonnine, la scultura in pietra alla destra dello stesso portale, raffigurante due uccelli affrontati e stilizzati di fattura normanna e la tela secentesca Il Paradiso del Battistello, pittore napoletano allievo di Caravaggio.
Il 24 giugno ha luogo la Fiera della Ribusa, mercato dell’artigianato e dei prodotti tipici.
A questo segue il Palio di Ribusa, rassegna di spettacoli medievali, la prima settimana di agosto. Una delle manifestazioni estive più seguite della Calabria con rievocazione storica, musica, spettacoli e cucina per le vie del borgo e, l’ultimo giorno, la Giostra dell’Anello con assegnazione al vincitore del Pallium, un drappo artisticamente lavorato.
Eventi che si trasformano in occasioni per assaggiare la pasta fatta in casa, filata con il “ferro” secondo l’uso antico e condita con sughi dai sapori forti, tra cui ragù alla carne di capra o con una salsa di melanzane ripiene. Le saporite olive “cumbité”, i profumatissimi pomodori secchi, il piccante e candido pecorino, gli insaccati di maiale sono altri gustosi elementi che arricchiscono l’offerta gastronomica di Stilo.
Alessandro Campa
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