I borghi più belli d’Italia: Lombardia
Paesaggi differenti ed incantevoli allo stesso tempo
Un’economia fiorente, paesaggi differenti ed incantevoli allo stesso tempo. Una serie di borghi che testimoniano questi elementi e le vicende storiche che li hanno attraversati. La Lombardia vanta così delle splendide località da scoprire piano piano.
A partire dal sud della regione, nel mantovano, dove si trova San Benedetto Po in un paesaggio dove i rumori della vita produttiva si perdono nei silenzi della campagna, costellata di oratori, ville abbaziali, caseifici e corti agricole.
La preziosa opera di bonifica dei monaci è ancora visibile nelle idrovore monumentali e storiche. D’altra parte, se qui si è creata l’agricoltura più importante d’Italia, è stato grazie all’opera laboriosa dei monaci che hanno bonificato e coltivato il territorio consentendo produzioni d’eccellenza.
Si entra in San Benedetto dall’ingresso del monastero di Polirone, che conserva i cardini dell’antico portale, e ci si trova nella maestosa piazza, rimasta intatta nelle dimensioni che aveva nel medioevo. La basilica abbaziale accoglie con la sua imponenza e la meravigliosa architettura che disegnò il genio di Giulio Romano, tra il 1540 e il 1545, adottando soluzioni originali per far convivere i diversi stili architettonici in un insieme raffinato e omogeneo.
Nell’ambiente tra il transetto e la sagrestia si trova la tomba di Matilde di Canossa, un sarcofago in alabastro sorretto da quattro leoncini di marmo rosso. Antecedente alla morte della contessa è l’oratorio di Santa Maria, tra la fine del XI e la metà del XII secolo, che è stato adattato alla chiesa maggiore nel momento della sua riedificazione.
La visita al complesso monastico prosegue nel chiostro dei Secolari, il luogo dove venivano accolti i pellegrini, gli ospiti e i forestieri, caratterizzato da tre fasi costruttive: una anteriore al XV secolo, un’altra databile 1475 e infine quella del 1674, epoca di costruzione del scenografico scalone realizzato da Giovan Battista Barberini.
Salendo lo scalone secentesco, si accede al Museo Civico Polironiano., è uno dei maggiori musei etnografici d’Italia, con oltre diecimila oggetti e collezioni che riguardano i mestieri legati al fiume Po, l’artigianato, l’arte e la devozione popolare.
Un luogo di sicura suggestione è il chiostro di San Simeone in stile tardogotico, databile tra il 1458 e il 1480, dove si trovava il giardino dei semplici con le erbe medicinali per curare i malati. Il terzo chiostro, dedicato a San Benedetto e adiacente a un fianco della basilica, fu ricostruito intorno al 1450 nell’ambito del rinnovamento architettonico di Polirone sostenuto da Guido Gonzaga.
A chi ama incantarsi davanti a un cielo stellato, è riservato l’Osservatorio astronomico, in frazione Gorgo, con terrazza per osservazioni e telescopio computerizzato per il puntamento automatico degli oggetti celesti.
Il Comune di San Benedetto Po organizza annualmente numerosi eventi e manifestazioni, in particolare ogni prima domenica del mese ha luogo Amarcord, mercatino delle cose di un tempo, antiquariato, collezionismo ed oggettistica a cui seguono la tradizionale Sagra dell’Asparago il secondo fine settimana di maggio, occasione per celebrare questa prelibatezza coltivata in zona sin dal tempo dei monaci benedettini, e la tradizionale Sagra del Nedar (anatra) il primo fine settimana d’ottobre.
I piatti forti di San Benedetto Po riassumono la tradizione culinaria mantovana, presentata dai tortelli di zucca e dagli agnoli in brodo. Tipico del borgo il salame cotto sotto la cenere, che si può gustare nei ristoranti su ordinazione. Ottimi gli insaccati, accompagnati da mostarde, parmigiano reggiano e vino lambrusco mantovano, mentre il vanto delle pasticcerie e dei panifici di San Benedetto è la torta di tagliatelle.
A Pomponesco c’ è solo una piazza e nient’altro.
Una piazza «gonzaghesca, simmetrica, teatrale» che riassume in sé l’immaginario padano. Nelle ovattate nebbie invernali, questa piazza sembra un miraggio sorto nella palude del Po e dal sogno di un principe Gonzaga che qui ha creato la sua piccola contea.
La planimetria delle vie rispecchia l’intervento urbanistico programmato da Giulio Cesare Gonzaga sul finire del XVI secolo. La distruzione del castello gonzaghesco, ad opera dei Francesi a fine Settecento, ha lasciato vuota la piazza, delimitata a nord dalle scuderie, gli unici edifici sopravvissuti dell’antica struttura.
La piazza XXIII Aprile è rimasta sostanzialmente inalterata dal Seicento e interamente circondata da costruzioni con portici, un tempo abitate dai cortigiani e dalle loro famiglie. Sulla piazza si fronteggiano, con le loro torri campanarie, il palazzo comunale e la chiesa arcipretale di Santa Felicita e dei Sette Fratelli Martiri.
La visita a palazzo Cantoni, appartenuto a una delle più importanti famiglie israelite del paese, si prolunga al piccolo cimitero ebraico dove riposa lo scrittore Alberto Cantoni, la cui originalità fu messa in luce da Benedetto Croce, Luigi Pirandello e Riccardo Bacchelli.
La ciclovia del Po, in particolare l’itinerario che si sviluppa lungo la sponda sinistra del Po verso la confluenza con l’Oglio, consente di pedalare tranquilli su strade arginali chiuse al traffico, tra filari di pioppi e voli di candide garzette, immersi nel maestoso silenzio del fiume che scorre accanto.
Se ci si trova da queste parti a metà agosto, dopo lunghe pedalate o passeggiate, ci si può fermare alla Festa del Luadèl. Un prodotto locale, una sorta di pane a pasta sfoglia con strutto detto “la schiacciatina dei poveri”, nonostante sappia esaltare al massimo grado i profumi dei salumi, in primo luogo la spalla cotta, e dei formaggi morbidi cui si accompagna.
Le altre specialità vanno dai cappelletti in brodo, con il particolare ripieno a base di stracotto di carne bovina, ai tortelli di zucca alla mantovana con mostarda di mele cotogne e amaretti, ma sono tipici anche i maltagliati con fagioli e brodo di verdure.
Sabbioneta rappresenta il sogno di un principe. Una città “ideale”, a misura d’uomo, creata dal nulla nella seconda metà del Cinquecento da Vespasiano Gonzaga.
Questo microscopico mondo sembra slegato dall’ambiente rurale che lo circonda. Un lembo di terra bagnato dal Po e dall’Oglio, che un principe-mecenate ha immerso nella dimensione onirica del Rinascimento
Sabbioneta è il capolavoro di una sola volontà, che ha realizzato il suo spazio teatrale su misura a cui si accede da porta Vittoria e si svolta in via dei Serviti per arrivare alla chiesa dell’Incoronata, che ospita il mausoleo di Vespasiano con la statua in bronzo del duca realizzata da Leone Leoni.
Pochi passi e si arriva in piazza Ducale, delimitata a sud da un portico ad arcate che culmina a ovest nello scorcio angolare del Palazzetto del Cavalleggero, e a nord dalla chiesa dell’Assunta, iniziata nel 1578
Occupano i lati corti della piazza il palazzo della Ragione, antica dimora della Comunità e del vicario ducale, e il palazzo Ducale, centro della vita pubblica del piccolo Stato di Sabbioneta e primo tassello dell’ambizioso programma architettonico di Vespasiano Gonzaga.
I soffitti sono di legno intagliato e rivestito d’oro, come quello della Sala del Duca d’Alba che ha affreschi attribuiti a epigoni di Giulio Romano. La Sala degli Imperatori presenta un soffitto scolpito e dorato e raduna gli stemmi lignei dei casati Gonzaga, Colonna e Aragona, mentre la Galleria degli Antenati espone ventuno ritratti a bassorilievo degli avi di Vespasiano.
Da piazza Ducale si raggiunge il teatro all’Antica, primo esempio in Europa di teatro stabile. Il meraviglioso edificio porta la firma di Vincenzo Scamozzi, già artefice del Teatro Olimpico di Vicenza. L’elegante esterno è a due ordini: l’inferiore presenta portale e finestre contornati da un liscio bugnato, il superiore ha nicchie e finestre scandite da lesene doriche.
Palazzo Giardino era la villa suburbana del principe, annunciata dalla colonna di Pallade Atena, con statua di età adrianea. Nelle sale del piano nobile si dispiega la cultura letteraria di Vespasiano, supportata sul piano iconografico dall’apparato decorativo del cremonese Bernardino Campi.
Ogni prima domenica del mese eccetto gennaio e agosto si svolge il mercatino del piccolo antiquariato, degli oggetti d’epoca e dell’artigianato artistico che ha luogo nella Galleria e nelle piazze principali di Sabbioneta.
I piatti sono quelli tradizionali mantovani. Tra i primi, si ricorda il sorbir d’agnoli, ovvero agnolini in brodo di carne con qualche goccia di Lambrusco di Sabbioneta IGT, il vino ideale per accompagnare anche i famosi tortelli di zucca mantovani. I secondi vedono in prima fila lo stracotto d’asino e in qualche ristorante si trova anche il luccio in salsa.
Tipici di Sabbioneta sono i biscotti filòs, fatti con strutto e menta o praline di cioccolato. La torta sbrisolona qui è presentata “alla vecchia maniera”, con le nocciole al posto delle mandorle e con la farina di grano duro al posto di quella di mais.
Il nucleo storico di Grazie, frazione di Curtatone è rappresentato dal santuario della Beata Maria Vergine delle Grazie e dagli edifici posti sul perimetro della piazza antistante.
Il santuario, in posizione rialzata sui canneti del Mincio, ha il fiume che gli scorre alle spalle e la facciata rivolta verso il borgo. Iniziato nel 1399 e consacrato nel 1406, è in stile gotico lombardo, ingentilito da una loggia composta di tredici archi a tutto sesto sostenuti da quattordici colonne.
Varcata la soglia della chiesa, si è colti da stupore profondo. Una folla di statue ex-voto sembra protendersi verso lo spettatore dalle nicchie in cui sono collocate. Ci sono le nobildonne, ma anche una figura femminile con cappello di paglia chiamata, per l’aspetto dimesso, “la miseria delle Grazie”
Il tutto fa pensare a una Wunderkammer, uno di quei musei eclettici del Cinque e Seicento, dove gli oggetti erano contenuti in armadi o appesi alle pareti e al soffitto, come il coccodrillo impagliato d’inizio Quattrocento, segno del demonio che fugge davanti alla Madonna.
La parte più antica è quella delle abitazioni a schiera in via Madonna della Neve, nelle quali si riconosce la cellula originaria che diede luogo nel tempo alle varie tipologie edilizie. Case di pescatori, dunque, e case sorte dalla chiusura dei portici che contornavano la piazza.
In piazzetta Madonna della Neve ha sede il Museo dei Madonnari, che illustra i soggetti e le tecniche pittoriche usate dai madonnari, conserva fotografie e filmati dei concorsi svoltisi a Grazie dal 1973 e le opere pittoriche dei più grandi artisti del gessetto, come il californiano Kurt Wenner.
Lasciato questo presepe dei miracoli in cui si intrecciano fede, suggestione ed istinti profondi, si scende verso il fiume, da dove il santuario, che i pellegrini e i Gonzaga raggiungevano più in barca che via terra, appare come una visione di linee tondeggianti e slanciate sul ciglio di una vasta distesa di canneti.
In prossimità di Rivalta, il Mincio, scendendo dalle colline del Garda rallenta il suo corso: si allarga e si divide in più tronchi fino a impaludarsi a valle di Mantova. Il fiume si snoda fra canneti e praterie di carice, in una vasta zona umida estesa per circa 1450 ettari, che costituisce la Riserva Naturale Valli del Mincio.
L’Antichissima fiera delle Grazie è conosciuta ormai in tutto il mondo e ogni anno riesce a far vivere momenti unici. Un evento all’insegna dell’innovazione, attenta come sempre agli aspetti tradizionali e popolari.
Protagonista assoluta l’arte effimera dei gessetti, con i circa 150 Madonnari che tra la notte del 14 e il tramonto del Ferragosto danno vita ad immagini e a quadri di ispirazione religiosa sul sagrato del Santuario mariano.
Il concorso dei Madonnari è di certo il momento tra i più attesi della fiera d’agosto. Migliaia di persone, il giorno dell’Assunta, si riversano nel piccolo borgo adagiato sul lago, per recarsi in visita alla Madonna, nel suo Santuario e poi dar vita ad una tradizione dal sapore antico.
Grazie è un piccolo borgo, ma con tanti ristoranti dove provare il famoso luccio in salsa, piatto principe di una cultura gastronomica legata ai cibi di terra della tradizione contadina e ai cibi d’acqua dolce dei pescatori.
Oggi il vanto di Grazie è il fiore di loto che nei mesi di luglio e agosto fa la sua lussureggiante apparizione sul Lago Superiore. Il loto è stato importato dall’Oriente nel 1921 da una naturalista mantovana.
Arrivati a Castellaro Lagusello, frazione di Monzambano si entra in un’altra dimensione, quieta e bucolica.
Il borgo fortificato di Castellaro si specchia nel suo laghetto a forma di cuore e vi si accede dal lato settentrionale attraverso un’ampia porta che era dotata fino al Settecento di un ponte levatoio.
Un’alta torre quadrata, detta dell’orologio, sovrasta la porta a sua protezione. Subito si incontra, inoltrandosi fra le rustiche case, la chiesa barocca dedicata a San Nicola in cui è custodita una Madonna in legno del Quattrocento.
Dai vicoletti laterali, in cui regna un silenzio rotto solo dallo zampettare delle galline nei cortili, si giunge alla piazzetta terminale su cui si affaccia l’ottocentesca villa Arrighi, che ingloba un fortilizio padronale con mura di cinta a merli guelfi e bifore, dalle quali si gode una bella vista sul lago e la campagna circostante.
La villa è la trasformazione del preesistente castello feudale e incorpora la chiesetta gentilizia di San Giuseppe che, ultimata nel 1737, conserva alcuni dipinti del Seicento. La chiesa si apre sull’esterno, sulla piazzetta dalla quale si accede allo specchio d’acqua scendendo una breve scalinata.
Le colline moreniche, per i non faticosi saliscendi, sono ad altissima vocazione ciclistica e infatti lungo il fiume è stato istituito un percorso ciclabile che attraversa belle campagne coltivate e disseminate, nella zona intorno a Monzambano, di oratori: una forma di arte e devozione popolare realizzata da famiglie private o dall’intera comunità.
Sempre a Monzambano, l’ultimo fine settimana di luglio, si svolge l’evento Vino in Castello, mentre la terza domenica di settembre ha luogo la Festa dell’Uva e la Rievocazione Storica al Castello.
Monzambano, infatti, è zona di vini Doc: Tocai (bianco) e Merlot (chiaretto e rosso) si accompagnano ai piatti della cucina locale di chiara impronta mantovana. Un altro prodotto, anche questo culinario, è il salame artigianale, noto per la particolare concia (con una purea di aglio e spezie) e onorato con una Sagra.
Proseguendo nella provincia di Brescia, principalmente sulla sponda lombarda del lago di Garda, si visita il territorio di Gardone Riviera che comprende una fascia collinare, sistemata in passato a gradoni su cui si coltivano la vite e l’ulivo.
La Gardone pre-dannunziana era una stazione climatica di fama internazionale, grazie alla clientela nordica e mitteleuropea, soprattutto austriaca, che veniva a trascorrere l’inverno sulle miti sponde del Garda.
Gardone è turisticamente la più nota e la prima, in ordine di tempo, fra le stazioni di villeggiatura gardesane. Il Savoy Palace è la prima testimonianza della Gardone della Belle Epoque. Costruito nel 1906 in stile secessionista viennese, è uno dei tre Grand Hotel storici. Gli altri due sono il Grand Hotel Fasano e il Grand Hotel Gardone del 1883, il primo albergo di fama mondiale del Lago di Garda, fondato da Luigi Wimmer, lo “scopritore” di Gardone.
Da vedere, sul lungolago, progettato nel 1909 come Kurpromenade della stazione climatica, Villa Acquarone, Villa Turati, e la scenografica Villa Alba, con la sua monumentale scalinata. In collina, il borgo più intatto è Gardone Sopra, dove si trovano il palazzo Comunale, la chiesa settecentesca di San Nicola e il Vittoriale.
Il Vittoriale degli Italiani, donato allo Stato italiano nel 1930, è l’ultimo capolavoro di Gabriele D’Annunzio, che trasformò in sua ultima dimora e qui visse dal 1921 al 1938. Ogni ambiente di questa monumentale casa-museo assume un valore simbolico, rappresentato dai numerosissimi oggetti che affollano le stanze.
Decorate anche con motti, frasi enigmatiche, citazioni letterarie, le stanze sono frutto della creatività di D’Annunzio. Il Vittoriale è anche spettacolo: il suo Teatro all’aperto, infatti, in grado di ospitare 1.500 persone, è sede ogni estate di una prestigiosa rassegna di prosa, balletto, operetta, cabaret e musica.
Meravigliosi parchi con piante ed essenze mediterranee circondano le ville e gli alberghi in stile liberty, coppedè o déco di Gardone. Il Giardino Hruska, appartenuto al medico e botanico Arturo Hruska che vi raccolse oltre 2mila esemplari diversi di piante, dal 1989 è diventato il Giardino Botanico della Fondazione Andrè Heller.
Questo si estende su una superficie di circa 10.000 mq. e comprende centinaia di piante e fiori provenienti da tutti i continenti. Ne è proprietario l’artista austriaco Andrè Heller che l’ha trasformato in un luogo in cui l’arte dialoga con l’ecologia.
Continuando sulla stessa sponda del lago si incontra Tremosine sul Garda arrivare quassù, dove il mondo dell’altopiano dialoga con il lago, e le atmosfere alpine incontrano quelle mediterranee.
L’altitudine del comune è compresa fra i 65 metri e i 1976 metri s.l.m. La frazione capoluogo del municipio, Pieve, si trova ad un’altezza di 414 metri s.l.m. mentre Vesio, la frazione più abitata, si trova invece a 626 metri s.l.m. Tra le altre frazioni, Campione del Garda è quella che si trova all’altitudine più bassa e si affaccia direttamente sul Lago di Garda.
Arrivati a Pieve, il panorama si apre. Posta sullo strapiombo roccioso, Pieve è il capoluogo di altre diciassette piccole frazioni sparse sullo splendido altopiano, che costituiscono il comune di Tremosine, uno dei più vasti della provincia di Brescia.
Nel borgo è piacevole percorrere le stradine della parte alta e più antica, con la parrocchiale settecentesca dal bel campanile, che è ciò che resta della pieve romanica demolita intorno al 1570. Proseguendo, dal sagrato della chiesa in pochi passi si arriva in piazza Cozzaglio, da dove si ammira un meraviglioso panorama sul lago e sul Monte Baldo.
Inserito nel Parco Alto Garda bresciano, l’ambiente naturale si presenta molto vario: i piccoli nuclei abitati sono incastonati tra vallette, pianori ricoperti di olivi, prati, pini. Numerose le mulattiere che, snodandosi dolcemente lungo i fianchi delle montagne, portano in quota, nei luoghi che, fino al 1918, segnarono il confine con l’Impero Austro-Ungarico.
Ma restano ancora luoghi da scoprire, come la chiesetta di Pregasio, iniziata nel 1564, l’eremo di San Michele nella omonima valle, e l’unica frazione a lago, Campione, con l’ex villaggio operaio, il palazzo Archetti e la chiesa di Sant’Ercolano.
Moltissimi gli itinerari per escursionisti e amanti della mountain-bike, che possono sfruttare la rete delle mulattiere e dei sentieri sparsi nell’entroterra verso la Valle di Ledro. Si possono praticare il trekking, il nordic-walking, il canyoning e, al porto, nella frazione di Campione, anche windsurf, kite-surf e vela.
Fra sentieri, prati e boschi si possono fare anche passeggiate gastronomiche come avviene a giugno con le Cinque Miglia del Ghiottone. Un evento nel corso del quale ogni borgo visitato propone un piatto tradizionale.
E tra questi risaltano i tortelli di Tremosine alla polenta cùsa, preparata con farina nera, formaggio e burro. Da ottobre ad aprile molti ristoranti propongono lo spiedo, da accompagnare con polenta e vino rosso. Con la polenta si mangiano anche il capretto e il coniglio, mentre tra i dolci si ricorda lo spongadì.
La formaggella di Tremosine è, insieme al Garda, l’ottimo risultato della trasformazione del latte munto nelle stalle e nelle malghe. Prodotti naturali del versante bresciano del Parco Alto Garda, oltre ai formaggi, sono anche il miele e l’olio extravergine, ricavato a freddo con la molitura delle olive e la pressatura meccanica della pasta.
E poi ecco Bienno dove forza e compattezza si leggono nell’impianto urbanistico rimasto inalterato nel tempo, con stretti vicoli e corti acciottolate che si insinuano tra le possenti mura in pietra degli edifici medievali.
Due sono i principali itinerari di visita del borgo. Il primo parte da via Artigiani per andare alla scoperta del Vaso Re lungo il percorso disegnato dall’acqua. La storia industriale del borgo si fa concreta man mano che si incontrano i luoghi che l’hanno segnata: le antiche fucine ora Scuola di Fucinatura, l’opificio secentesco della Fucina Museo e il secentesco Mulino Museo, capace di produrre, con le macine di pietra mosse dall’acqua del Vaso Re, dell’ottima farina da polenta.
Il secondo itinerario si sviluppa nel centro storico di Bienno. Salendo lungo via Contrizio si incontra il palazzo Simoni Fè, il cui nucleo originario risale al XV secolo. Poco oltre c’è la torre Avanzini del 1075, a fianco della quale una stretta via conduce alla piazza su cui si affaccia la chiesa di Santa Maria Annunciata, costruita nel XV secolo tra i vicoli stretti e le alte case.
Si giunge dunque in piazza Castello con l’antica torre Mendeni e, continuando la salita, si passa sotto un’altra torre più minuta rispetto alle precedenti. All’apice di via Castello si trova la secentesca chiesa parrocchiale circondata da un ampio sagrato e dedicata ai Santi Faustino e Giovita, le cui statue si trovano in due nicchie in alto.
Per gli amanti della montagna, Bienno è un’ottima base di partenza per le escursioni, sia in estate, quando è bello raggiungere il Lago della Vacca a quota 2000 metri, da cui parte l’Alta via dell’Adamello, sia in inverno, quando gli appassionati di sci alpinismo trovano diverse possibilità di divertimento.
Bienno è un museo all’aperto dove secoli di storia hanno depositato forme architettoniche ancora leggibili. Per questo il comune ha predisposto un percorso di 14 pannelli illustrativi sull’itinerario “Il racconto delle pietre” che si snoda tra i palazzi del borgo e che consente di individuare le diverse tipologie edilizie che nel tempo si sono sovrapposte ed intersecate a Bienno.
Il ferro è il prodotto attorno al quale si è sviluppato l’antico abitato. Nel 2008 è stato costituito “L’ecomuseo del Vaso Rè e della Valle dei Magli” con l’obiettivo di mantenere in vita e rendere fruibile l’enorme patrimonio culturale del territorio legato alla millenaria arte della forgiatura. Tuttora operano in paese abili artigiani capaci di manipolare il ferro sotto i colpi del maglio.
Un’abilità che viene manifestata ancora di più durante la Mostra Mercato dell’Artigianato e dell’Antiquariato, l’ultima settimana di agosto. Si svolge nel borgo medioevale, reso fatato dalla luce delle torce, una delle più importanti manifestazioni della valle, cui partecipano centinaia di espositori.
Tipica della zona è la polenta, da accompagnare alle pietanze a base di carne e cacciagione: gustosissima è quella con la farina prodotta dalle macine in pietra del mulino seicentesco. Il dolce tradizionale è la spongada, una soffice focaccia di farina, uova, burro, zucchero, sale, latte, lievito.
I casunsei, invece, sono una sorta di ravioli ripieni e conditi con burro fuso, salvia e formaggio, sono squisiti, specie se i latticini vengono dagli alpeggi estivi sui monti attorno a Bienno. Ottima, infatti, è la produzione casearia con latte di malga.
Monte Isola sorge dalle azzurre acque del lago d’Iseo, ed è contemporaneamente montagna, lago e isola, con le gradazioni di colore offerte dagli ulivi e dai castagni.
Le undici frazioni che compongono il Comune hanno ognuna la sua storia, e quelle sul monte sono diverse da quelle sul lago, a partire dalla pietra con cui sono fatte le case: bianca e calcarea per quelle di monte, pietra di Sarnico per quelle verso la riva.
In mezzo al lago spuntano due isolette minori, San Paolo e Loreto, così piccole da non poter ospitare che una villa ciascuna, circondata di cupe conifere. Di Monte Isola, l’isola più grande dei laghi europei chiamata “la Capri del nord”, Siviano, a 250 metri d’altitudine, è da sempre il capoluogo.
Si sbarca sul pontile, nella frazione Porto, e davanti ad un grappolo di case antiche si ammirano la chiesetta e la cinquecentesca villa Solitudo. Salendo per una lunga e stretta stradina, dai gradini in pietra di Sarnico consunti, si giunge al centro dell’abitato, dove l’imponente torre Martinengo domina la piazza del municipio.
Siviano, in fondo, non è che un grandioso castello medievale trasformato con l’aggiunta di alcune fabbriche. Affacciato sul lago, con le sue case con archi, loggette, stipiti di pietra e abbellite dai fiori, è il regno degli inviti seducenti.
Si raggiunge Masse, a 400 metri d’altitudine, per una vecchia strada di acciottolato bianco che parte dal centro di Siviano. Belle le case in pietra e la piazzetta con la chiesa quattrocentesca di San Rocco, restaurata nel seicento.
L’abitato di Masse è quello che si è meglio conservato. Le case hanno il carattere della montagna, con muri in grossi blocchi di pietra locale, gli affacci rivolti verso le corti interne e il basso rustico sottoportico in pietra.
Peschiera Maraglio, un tempo abitata quasi interamente da pescatori, sembra fatta per vivere più all’aperto che dentro le abitazioni. Il lungolago, dove ancora sostano le barche, era tutto ricoperto di reti esposte al sole. Le case fiorite di gerani, gli stretti vicoli collegati da archi e scale che sempre riconducono al lago, l’odore del pesce che sta essiccando, ne fanno un luogo di fascino.
A Peschiera, dominata dalla mole del castello Oldofredi, vi sono diversi edifici di notevole interesse architettonico, come casa Erba, rivolta verso il lago con il suo portico di cinque arcate. Sensole, golfo del sole, non conosce i rigori invernali, per il clima mite e la bellezza dei dintorni, ed è forse la località più artistica dell’isola, celebrata da pittori e poeti.
A Senzano, piccolo paese che si trova sulla strada per Cure, è possibile visitare la piccola chiesa dedicata a San Severino. Con i suoi 500 metri d’altezza, Cure è la frazione più elevata, accovacciata ai piedi del santuario della Madonna della Ceriola. I suoi abitanti si dedicano all’agricoltura e conservano ancora le tradizioni del mondo rurale.
Il Santuario della Madonna della Ceriola è un luogo di religioso silenzio nel punto più alto dell’isola, a 600 metri, da dove si gode la più bella vista del lago d’Iseo, come dall’albero maggiore di una nave. Il Santuario, bianco com’è, sembra una perla incastonata nel verde dei pascoli e nel cielo azzurro.
Sotto, sui versanti della montagna, gli fanno da corona le undici frazioni di Monte Isola, quasi avvolte dal manto di protezione della Madonna della Ceriola. Ricco di ex voto, il santuario potrebbe essere uno dei più antichi luoghi di culto mariani in Italia, sorto agli albori del cristianesimo sul luogo di un tempietto dedicato a divinità pagane delle selve.
A Montisola non ci sono automobili. Niente rumore, niente smog, niente stress. Tutti a piedi o in bicicletta. Un consiglio è zaino in spalla e camminate che conducono verso i sentieri solitari che costeggiano il lago o salgono verso i poggi.
E dopo un po’ di fatica si viene ricompensati gustando le prelibatezze del luogo. Il menù comincia con un antipasto che comprende il salame di Montisola, sarde e cavedano essiccati con polenta, aule con cipolle oppure in carpione, e prosegue con un risotto al pesce persico o con una pasta al sugo di pesce di lago.
Per i secondi, si può scegliere tra il pesce di lago al forno o fritto, e la carne in umido, accompagnato dalla polenta cotta nei tradizionali paioli di rame. Il salame cotto e il cotechino sono invece cucinati con la verza. Dolci tradizionali sono i fritulì, una sorta di frittelle con le mele, le ciambelle e le crostate di frutta. Il vino è naturalmente quello della Franciacorta.
Dagli ulivi di Monte Isola si ricava un pregiato olio extravergine d’oliva Dop, dalle particolari proprietà organolettiche, usato per le sue virtù anche come medicinale. Un altro prodotto di vanto è il salame, confezionato manualmente nella frazione di Cure secondo un rito che si ripete identico da secoli, tra gennaio e febbraio, con luna calante. Un’altra tradizione locale è l’essiccamento del pesce, con tecniche tramandate nel tempo che permettono di ottenere un prodotto degno di raffinati palati.
A poca distanza, ma nel territorio bergamasco, ecco Lovere la cui vita, oscillante tra il suo incantevole lago e un artigianato siderurgico, si è sviluppata senza fratture per secoli.
Lovere ha cercato di non compromettere questo delicato equilibrio tra la bellezza del paesaggio e la realtà industriale e produttiva, aprendosi all’arte e ospitando sul suo territorio realtà insospettabili in un centro di dimensioni ridotte.
Dopo aver viaggiato tra i monti e le valli bergamasche e bresciane si arriva, improvvisamente a Lovere. Il tessuto urbano si è sviluppato in funzione del suo territorio, stretto tra lago e montagna, e si presenta come un grande anfiteatro.
Il vero spirito di Lovere, città lacustre, è nel suo originario anfiteatro, composto da palazzi costruiti con buon gusto e perfetto senso architettonico, che fanno da secoli degna cornice e splendida corona alla piazza del Porto, o piazza 13 Martiri, che è una delle più belle del lago d’Iseo
Dalla piazza, attraversando il rione delle “beccarie”, si sale per il centro storico e si arriva in piazza Vittorio Emanuele, dove l’orologio della vecchia torre civica scandisce il passare del tempo. In questa piazza, racchiusa tutt’intorno da splendidi edifici, confluiscono tutte le vie piccole e strette del borgo medievale.
Sul lungolago fa bella mostra di sé il palazzo Tadini. Sede dell’Accademia di Belle Arti istituita dal conte Luigi Tadini nel 1828, fu costruito in forme neoclassiche su disegno dell’architetto Salimbeni tra il 1821 e il 1826.
La galleria Tadini è uno dei musei più importanti d’Italia. Ospita una splendida collezione di opere di scuola lombarda e veneta del XV e XVI secolo, tra cui quadri di Lorenzo Veneziano, di Jacopo Bellini, di Domenico Tintoretto e del Parmigianino.
Sempre presso l’Accademia Tadini hanno luogo i Concerti di Musica da Camera, ciclo annuale di concerti, iniziato nel 1927, che propone un’ampia rassegna di concertisti di livello internazionale e mostre di pittura di artisti nazionali ed internazionali.
Proseguendo per il lungolago, dominato dalle belle facciate di numerose ville e palazzi, tra cui il cinquecentesco palazzo Marinoni e villa Milesi con il suo parco, appena passata la piazza si risale e ci si trova di fronte all’imponente basilica di Santa Maria in Valvendra, edificata tra il 1473 e il 1483, periodo di particolare espansione economica per Lovere.
Dalla Val Camonica e dalla Val Seriana, ma anche dalla pianura bresciana, arrivano molte varietà di formaggio e la farina di granturco macinata a pietra. Specialità della zona sono i salumi, tra cui la salciccia di castrato, la soppressa e il musetto.
Arrivati a Bergamo si visita Borgo Santa Caterina, quartiere della città.
Vivacissima giorno e notte e ricca di attività, Santa Caterina è una sorta di città nella città, che non gode di affascinanti dimore e palazzi, ma possiede uno spirito di bottega che si è mantenuto ancora oggi.
Il borgo rimane casa di giovani laboratori e di alimentari locali. Nel Novecento Santa Caterina fu definita il borgo dei fornai e ciò non si allontana dall’assetto attuale, considerando che solo nella via ne sono presenti tre, in cui farsi travolgere dal profumo di pane o farsi incuriosire dalla pasta fresca.
La ricchezza e varietà dei capolavori permanenti, tra cui gli importanti corpus dei pittori Lorenzo Lotto e Giovan Battista Moroni, sono arricchiti da diverse mostre provvisorie per mantenere vivo l’interesse artistico dei concittadini, oltre che dei turisti.
La Chiesa e il chiostro medievale a pianta quadrata del monastero dei Celestini, risalgono al ‘300 e si ergono inaspettati in mezzo ad edifici moderni. Le linee architettoniche e la struttura semplice rispecchiano i canoni dell’Ordine benedettino lontano dagli sfarzi.
Il Parco Suardi è lo spazio verde da non farsi sfuggire. Inaugurato nel 1950, è costellato di giochi e attrazioni per bambini e percorso da ampi vialetti, ideali per una passeggiata romantica. Qui si staglia un’epigrafe dedicata a tre esponenti della poesia dialettale: sullo sfondo dei loro versi arguti la storia del Borgo e dei suoi abitanti, luogo di vita e di socialità per artisti e cittadini.
L’Accademia Carrara di Bergamo si trova proprio nel Borgo Santa Caterina ed è uno dei musei più importanti d’Italia. L’Accademia ha un ricco patrimonio, costituito da opere di tipologie diverse. La raccolta più significativa è quella dei dipinti, che abbraccia un ampio arco cronologico, dal Rinascimento alla fine dell’Ottocento.
A dipinti e sculture, protagonisti del percorso di visita, si aggiungono una ricca collezione di disegni e stampe e preziosi nuclei di arti decorative: bronzetti, medaglie, ventagli, porcellane, peltri, argenti e oreficerie. I fondi antichi dell’archivio e della biblioteca storica completano il patrimonio museale.
Uno degli eventi religiosi e popolari più amati dai bergamaschi è la festa dell’Apparizione, che si celebra il 18 agosto, con spettacolari fuochi d’artificio, cena sociale lungo la via Santa Caterina e processione che culmina di fronte all’Accademia Carrara.
Altro evento estivo è rappresentato dai venerdì del Borgo. Tra giugno e luglio, per quattro venerdì sera consecutivi, il borgo di santa Caterina si chiude al traffico e si popola di mercatini, laboratori per bambini, musica, spettacoli, mentre bar e ristoranti si trasferiscono in strada.
I casoncelli sono il piatto tradizionale, pasta fresca e ripiena di carne, che nasce per riutilizzare gli avanzi bovini e suini. Il biscotto del Bigio, invece, è nato a San Pellegrino Terme, ma è stato riprodotto con la stessa ricetta dal 1934 e rivenduto solo da selezionati locali. Si tratta di un frollino dorato profumatissimo, ammaliante e intenso al palato
Lasciata la città di Bergamo si procede in direzione nord dove si scopre Gromo
Un villaggio nell’alta Valle Seriana che fu presidio di ricche miniere di ferro, poi sede di libero Comune e quindi luogo di smistamento verso i mercati europei di armi bianche, forgiate dai poderosi magli mossi dal suo torrente.
L’acqua è stata la sua ricchezza e la sua rovina. Ne ha plasmato le forme nelle ere preistoriche, ha portato energia e guadagno alle sue botteghe, e cancellato con una inondazione tutte le sue fucine, un giorno di novembre del 1666.
Vedere Gromo dall’alto dei pascoli e delle mulattiere, con le piode, i tetti d’ardesia, che la ricoprono come un duro e uniforme manto protettivo, non è sufficiente. Bisogna entrarci, in questo paese di montagna, e visitarlo con calma, per scoprire non solo la felice combinazione degli elementi (acqua, legname, aria buona) ma anche le ricchezze artistiche custodite da questa piccola comunità.
La scenografica piazza Dante con il duecentesco castello Ginami, il palazzo Milesi con l’elegante loggiato, la chiesa di San Gregorio con la sua pala d’altare secentesca in cui è raffigurato il borgo com’era, sono solo la parte più visibile di un patrimonio che comprende anche le residenze private con portali in pietra locale, i vicoli e le scalinate che percorrono la parte alta del centro storico.
Tutti questi elementi rendono l’antico borgo uno dei gioielli della montagna bergamasca. Ma resta ancora da vedere il monumento che meglio esprime la raffinatezza artistica raggiunta da questo borgo della Val Seriana, ovvero la chiesa di San Giacomo che si trova fuori del centro storico, lungo l’antica via di transito che prosegue verso l’alta valle.
Tale collocazione aveva forse lo scopo di rendere la chiesa l’elemento unificante tra il nucleo urbano e le frazioni sparse nel territorio. San Giacomo si presenta al fedele quasi accovacciata, nascosta, e con una sua struttura che si è formata nel corso dei secoli, molto austera nelle sembianze esteriori
A Spiazzi di Gromo, il Parco Sospeso consente di osservare la flora e la fauna alpina a 1300 metri di altitudine e di divertirsi utilizzando corde e liane, ponti e reti. Il territorio di Gromo, inserito nel Parco delle Orobie, è ricco di percorsi escursionistici che uniscono la bellezza del paesaggio alle testimonianze di antiche attività economiche lungo i corsi d’acqua, come cave, miniere, mulini e fucine.
A Gromo riveste particolare importanza la Processione del Venerdì Santo che prende luce dai falò che lungo il fiume Serio e sulle pendici dei monti disegnano i simboli della Passione. Per segnare il percorso sono usati come lucerne anche i gusci di lumaca. In questa occasione si mangia la maiasa, una specie di torta fatta con farina gialla, cipolle e fichi secchi.
E poi si arriva a Cornello dei Tasso, frazione di Camerata Cornello un angolo fuori dal tempo, che non è stato possibile rovinare.
Cornello dei Tasso è una delle località della provincia di Bergamo dove meglio si è conservata la struttura urbanistica medioevale.
Il secolare isolamento ha favorito il mantenimento dell’originario tessuto cittadino che è caratterizzato dalla sovrapposizione di quattro diversi piani edificativi. Sul piano superiore corre la via porticata, sovrastata da arcate in pietra, coperta da un soffitto in travi di legno e pavimentata in acciottolato, che costituisce l’elemento di maggior pregio di tutto l’abitato.
Sotto il porticato si aprono verso valle gli accessi agli edifici del piano inferiore e si affacciano verso monte le botteghe e le scuderie che nel periodo di maggior sviluppo erano il cuore commerciale del paese.
Separato dal contesto urbanistico è il palazzo Tasso, che sorge su uno sperone di roccia sul lato meridionale del borgo con evidente funzione di guardia verso la valle. Il paese è dominato dall’alto dalla chiesa, il cui campanile con finestre a bifore è tra i pochi esempi di stile romanico in Val Brembana.
L’aspetto più interessante riportato alla luce dai lavori di restauro è il grandioso ciclo di affreschi che ricoprono le pareti interne della cappella nobiliare dei Tasso e che risalgono al XV-XVI secolo. La complessità, la varietà dei temi e il notevole gusto stilistico rendono questo ciclo uno dei più pregevoli tra quanti adornano le chiese della Val Brembana.
Un itinerario interessante è quello che si snoda lungo le contrade nelle quali è documentata la presenza di abitazioni dei Tasso. Dal Cornello si sale ai Tassi, quindi al Bretto, con le sue antiche case ancora segnate dagli stemmi dei mastri di posta, la chiesetta che appartenne alla famiglia e, nella valle, i resti del vecchio mulino che per secoli macinò le granaglie dei contadini della zona.
Un giro tra le contrade alte porta alla Brembella e, da lì, attraverso una mulattiera, ai Lavaggi e al roccolo di Boffalora. Poco oltre, si entra nel fitto bosco della Lunga e si incontrano i gorghi spumeggianti della Val Secca.
Cornello offre una cucina semplice, a base di prodotti che si fanno apprezzare per l’intensità del gusto e dell’aroma. Il posto d’onore tra i primi piatti spetta ai casonséi, grossi ravioli fatti in casa con ripieno a base di pangrattato, formaggio, uovo, aglio e prezzemolo, e conditi con burro e salvia.
Passando alla polenta, accanto alla nota taragna, è tipica della zona la polenta cunsada, servita appena cotta, a bocconcini, ricoperti di taleggio fresco e conditi con panna e burro fritto con salvia. Prelibato anche il chisöl, un involtino di polenta ripiena di taleggio fresco che viene fatto abbrustolire sulla brace o sul piano della stufa.
Tra i prodotti del borgo risalta il Formai de mut dell’Alta Val Brembana. Un formaggio Dop la cui area di produzione corrisponde ai territori di 21 comuni della valle. Se ne distinguono due produzioni: una estiva, ottenuta con il latte degli animali al pascolo, più limitata e dunque più ricercata, e una invernale, proveniente dalle latterie e dalle aziende agricole di fondovalle.
Altri formaggi tipici della Val Brembana sono il Branzi, il cui sapore dolce e delicato viene dalle particolari essenze vegetali presenti nei foraggi della valle, l’Agrì, la Formagella, lo Stracchino e il Salva, prestigiosi prodotti dell’arte casearia garantiti dal marchio “Prodotti della Valle Brembana”.
Spostandosi verso il Lago di Como si arriva nel borgo di Tremezzo in un insieme fantastico di verde, acqua e pietra.
Sono quattro i piccoli borghi interessanti disseminati sul territorio comunale, di cui uno sul lago (Bolvedro) e gli altri tre in collina (Rogaro, Volesio e Balogno), tutti abbastanza ben conservati con l’acciottolato originario e le facciate in ordine.
I palazzi, le ville, le filande, certi scorci e tagli di luce, l’odore del lago. Nell’aria si respira qualcosa che fa capire di essere approdato a un nord dolce, mediterraneo, dove il clima fa crescere l’ulivo, la vite e i limoni sui terrazzamenti.
Il percorso per conoscere Tremezzo si divide in due parti: camminare tra i vicoli dei borghi in collina e visitare le ville storiche. Partendo da queste ultime, richiede una visita approfondita la celebre villa Carlotta del XVIII secolo, oggi museo con splendido giardino botanico.
Si prosegue con il parco di villa Mayer, risultato della ristrutturazione, a cura dell’architetto razionalista Pietro Lingeri, di una villa ottocentesca danneggiata da un incendio nel 1919. Bellissimo il parco a lago, in cui Lingeri ripropose il giardino all’italiana di villa Colonna a Roma.
Oggi il parco Teresio Olivelli è un’area attrezzata aperta al pubblico, dove è bello passeggiare, bere un bicchiere sulla terrazza della Darsena o prendere il sole vicino alla Tarocchiera. Ma Lingeri, a Tremezzo, è anche autore della particolarissima villa Amila, simile a una nave in mezzo agli alberi, posta all’imboccatura del torrente Bolvedro e affacciata sul lago.
Esaurito il giro delle ville, si possono scoprire i borghi in collina. Il percorso più invitante della frazione di Tremezzo è quello che si sviluppa attorno ai Portici Sampietro, sotto i quali si trovano numerosi locali e negozi di artigianato locale.
Sulla riva di fronte all’imbarcadero si incontra la chiesa di San Bartolomeo. Dell’edificio originale, risalente al XII secolo, restano solo alcune parti della struttura in pietra. Il resto è il frutto di un restauro in epoca barocca.
Da qui attraverso una serie di stradine in acciottolato si possono raggiungere i borghi collinari. Il primo è Rogaro, arroccato in un ambiente incontaminato con una magnifica vista sul lago. Il nucleo antico è costituito da case sei-settecentesche riunite attorno alla piazzetta barocca su cui si affaccia il santuario della Madonna degli eremiti.
Unico in Italia a portare il titolo di Madonna di Einsiedeln, o “degli Eremiti”, il santuario ha una storia da raccontare. Con la riforma luterana un gruppo di cattolici svizzeri fuggì dalla confederazione elvetica sconvolta da aspre tensioni religiose e si rifugiò sul lago di Como, portando con sé l’effige della Madonna Nera venerata nell’abbazia di Einsiedeln.
Lungo la stradina che collega Balogno a Volesio è incastonata la chiesa dei santi Pietro e Paolo, a struttura romanica preceduta da un portico. Restaurata nel 1732 circa, è ancora in buono stato. Meritano una visita anche tutti gli altri piccoli borghi, che danno al visitatore l’impressione di camminare all’indietro nel tempo, fra case contadine e scorci mozzafiato a picco sul lago.
Dal 2018 Tremezzo è fra i promotori del Lake Como Christmas Light un grande evento di luce che trasforma il bacino del lago nel più grande presepe del mondo. Un prolungamento della storica città dei balocchi che ha trasformato il capoluogo Lariano nella capitale del Natale in Lombardia.
La gastronomia lariana è legata ai prodotti che offrivano la terra e il lago. Polenta con farine di mais e di grano saraceno, latticini, zuppe di verdure, pesce. Piatto forte della tradizione è il risotto al pesce persico. Un risotto all’onda servito con filetti di pesce persico dorati nel burro e aromatizzati con salvia.
Altro piatto da non perdere è la polenta uncia, la classica polenta di farina mista largamente condita con formaggio, burro fuso e aglio dorato. Nelle cucine della Tremezzina è molto diffuso in stagione l’asparago, prodotto tipico della frazione di Rogaro, storicamente coltivato fra i filari di viti e servito in succulenti risotti o semplicemente bolliti con uova in tegamino, burro fuso e parmigiano.
Tra i dolci il paradell, frittella rotonda, grande, ripiena di mele, servita con una spolverata di zucchero, e la miascia, una prelibatezza con frutta autunnale, pane ammollato nel latte e frutta secca che danno origine a questa particolare torta decorata e profumata con ciuffi di rosmarino.
E poi il missoltino, detto anche misulten. Si tratta dell’agone, pesce di lago essiccato al sole, salato e aromatizzato con alloro, che nella tradizione era conservato per i mesi invernali e servito con fette di polenta grigliate.
Dal lago di Como si procede in direzione Milano e, dopo aver attraversato l’hinterland cittadino, si arriva a Cassinetta di Lugagnano
Come i patrizi veneziani villeggiavano sul Brenta, così le nobili famiglie milanesi trascorrevano le estati lungo il Naviglio, nelle ville settecentesche che costituiscono il grande patrimonio di Cassinetta di Lugagnano.
I due nuclei urbani di Cassinetta e Lugagnano, situati sulle rive opposte del Naviglio Grande, sono collegati da un ponte a schiena d’asino. Il ponte sul Naviglio fu ricostruito nel 1862 per facilitare la navigazione sul canale. Accanto è posta la statua di San Carlo Borromeo, realizzata nel 1749 per ricordare la sua breve sosta nel 1584.
Di origine quattrocentesca, ma rimaneggiata nel Settecento è la chiesa di Santa Maria Nascente e Sant’Antonio Abate. Lungo il Naviglio, subito dopo il ponte di Cassinetta, si incontra l’oratorio di San Giuseppe, interessante esempio di rococò lombardo costruito nel 1742.
Le residenze nobiliari sul Naviglio, appartenute alle più importanti famiglie milanesi (Trivulzio, Visconti, Mantegazza, Parravicini ) sono “case da nobile” utilizzate dai proprietari per effettuare periodici controlli sulla gestione dei terreni da parte degli affittuari e come abitazioni per la villeggiatura.
Villa Negri è la prima dimora storica che si incontra sul Naviglio, sulla destra, appena arrivati a Cassinetta. Costruita nel 1761 dal generale austriaco Dembowski, nel 1875 fu acquistata, con la circostante Cascina Piatti, dall’allora sindaco di Milano Gaetano Negri.
Accanto al ponte, colorata del giallo della Milano settecentesca, appare la neoclassica villa Visconti Castiglione Maineri. Il fronte principale si affaccia all’interno sul doppio giardino all’italiana e all’inglese. Villa Cattaneo Krentzlin, protetta da un muro di cinta e nascosta dagli alberi, si allunga sulla riva del Naviglio subito dopo villa Visconti Maineri.
Villa Castiglioni Nai Bossi, l’ultima villa che si incontra sul Naviglio Grande nell’abitato di Cassinetta, risale alla prima metà del Settecento ed è probabilmente opera dello stesso proprietario, l’architetto Carlo Federico Castiglioni.
La più antica e grande dimora patrizia sulla riva destra del Naviglio è Villa Birago Clari Monzini. Un tempo si collegava al canale tramite un viale alberato di 800 metri che da piazza del Teatro proseguiva oltre il corso d’acqua fino alla grande esedra di villa Gambotto Negri.
Strade asfaltate e poco trafficate, tratti sterrati e piste ciclabili compongono l’anello di 200 km lungo il quale si snoda l’area del Parco cicloturistico dei Navigli. Basta spostarsi di qualche chilometro da Milano e il rumore dell’acqua che scorre tra i campi coltivati del Parco agricolo Sud e del Parco Ticino accompagna il ritmo della bicicletta, mentre le trattorie lungo la strada invitano a una sosta golosa.
Oltre alla bici, la barca: il Naviglio Grande è un canale navigabile che nasce prendendo acqua dal Ticino nei pressi di Lonate Pozzolo e finisce dopo 50 km nella darsena di Porta Ticinese a Milano. Nato come canale sia irriguo sia navigabile, come gli altri quattro Navigli lombardi (Bereguardo, Martesana, Paderno e Pavese) anche il Naviglio Grande ha accumulato nei secoli un grande tesoro rappresentato da nobili residenze estive, mulini, paesaggi rurali e naturali.
Poco distante Morimondo dove, quasi novecento anni fa, tutto iniziò dalla colonna ottagonale in pietra che i monaci francesi venuti da Morimond piantarono nelle zolle del Ticino, come atto di fondazione della nuova abbazia.
Questo paesaggio di fiume, prati, boschi, risaie e cascine ha ricevuto dai monaci la sua vocazione agricola. E c’è continuità tra i filari di pioppi e l’architettura cistercense che esprime la spiritualità dell’ordine, fatta di preghiera, studio, lavoro e rispetto della natura.
Le trame che tessono i fili del mondo mettono insieme il cielo e il mattone rosso di Lombardia, un’agricoltura fiorente e l’abbazia fondata nel 1136 da un gruppo di monaci venuti dalla Borgogna. Con l’abito bianco di lana grezza di pecora, questi edificarono presso le rive del Ticino l’abbazia di Santa Maria di Morimondo. Il monastero ha generato il borgo di Morimondo, e oggi il borgo vuole rigenerare il monastero: non solo l’ha restaurato, ma ne ha fatto proprio il linguaggio.
Una storia lunga secoli, perché il lavoro diretto dei monaci fu la condizione per lo sviluppo dell’agricoltura e la custodia degli ambienti naturali che contraddistinguono il territorio del parco del Ticino.
Le poche case del borgo sorto a ridosso dell’abbazia, in corrispondenza delle fattorie e delle grange, i centri agricoli del monastero, create dalle bonifiche dei cistercensi, sono state coinvolte nell’azione di recupero. Il risultato è un complesso omogeneo nella calda tonalità del cotto, che si sposa alla perfezione con i cieli sopra il Ticino, il verde di orti, prati e boschi.
Ma l’abbazia di Morimondo conserva tutti i caratteri di una bellezza che parla all’anima più che ai sensi, quindi è principalmente architettura monastica, essenziale, basata sulla misticità della luce nel rapporto con l’ombra e della geometria nelle dimensioni degli edifici.
Come tutti i monasteri cistercensi, anche Morimondo presenta una regolare distribuzione degli ambienti intorno al chiostro quadrato. Il porticato ha un lato romanico, appartenente alla primitiva abbazia, e tre rinascimentali, costruiti dai monaci fiorentini.
Si possono visitare tutti gli ambienti: lo scriptorium, dove i monaci amanuensi tra il 1170 e il 1210 circa, realizzarono una novantina di volumi miniati, la Sala del Capitolo, in cui veniva eletto l’abate e si esercitava il governo del monastero e il locutorium, dove l’abate assegnava gli incarichi.
Meta di gita domenicale dei milanesi, Morimondo è un’oasi verde nell’area più industrializzata e urbanizzata d’Italia. Non c’è niente, intorno, che possa sconvolgere la serenità di una giornata in campagna.
La zona del Parco Regionale della Valle del Ticino conserva la sua vocazione agricola: ovunque, cascine con orti e piante da frutto o terreni coltivati a riso, carne e latte a km zero. A Morimondo ci sono 14 cascine, alcune delle quali derivano direttamente dalle grange fondate dai cistercensi, come Fallavecchia, Monte Oliveto, Basiano, Ticinello e Fiorentina, la meglio conservata delle antiche grange, visitabile come fattoria didattica.
Alcune sono diventate agriturismi di qualità con produzioni proprie (cotechino, riso, carni bovine) come la cascina Lasso, mentre altre associano l’agricoltura alla cultura, ospitando nel fienile o nell’aia le proiezioni della rassegna itinerante “Cinema in cascina”.
Ad ottobre Morimondo e i suoi Sapori è una rassegna enogastronomica con Festa Contadina che celebra il mais, il riso e le ricette ad essi collegate. La specialità è la cassoeula con la polenta, piatto tipico lombardo che si ritrova, in realtà, in quasi tutte le trattorie, insieme con i risotti e il brasato.
Le fattorie di Morimondo forniscono il latte usato per lo stracchino e il gorgonzola, mentre i salumi che si gustano nelle trattorie sono tutti di produzione locale, tra cui ottimi il cotechino e il salame, crudo e cotto.
Si prosegue verso sud arrivando a Fortunago nella provincia di Pavia.
Qui bisogna venire in primavera, quando il bosco è tutto una fioritura di primule, narcisi e pervinche. Pieno di sole, di brezze e di bufere primaverili, questo luogo di antiche pietre rimesso a nuovo incita a una bellezza possibile, conciliabile con le esigenze della modernità.
Le facciate tutte in pietra a vista, i serramenti di legno in tinta naturale, la pavimentazione delle strade in mattonelle di porfido, l’illuminazione curata e soffusa, l’attenzione estrema per il verde pubblico, rendono questo paese adagiato sulle colline dell’Oltrepò pavese un perfetto esempio di equilibrio tra modernità e tradizione.
Ed è così che a Fortunago rivive con naturalezza e semplicità quel piccolo mondo antico fatto di eventi minimi e di nostalgia per ciò che non c’è più. Passeggiando nel borgo si possono ammirare una torre, che è quel che resta dell’antica rocca, insieme a un tratto di mura.
C’è poi la chiesa parrocchiale della seconda metà del Cinquecento, ed un Oratorio risalente al XVII secolo. Degna di nota è anche la secentesca chiesa di San Giorgio, che conserva un trittico a tempera su legno.
Appena sotto la chiesa si notano i resti dell’antico castello con le fondamenta di una torre rettangolare risalente al Quattrocento e alcune tracce di mura. Interessante anche l’attuale municipio che deriva da un’antica casa-forte.
Fortunago è il rifugio ideale per ritrovare emozioni che si credevano perdute. Per fuggire lo stress, ci sono anche i 400 ettari di bosco protetto, con percorsi segnalati e aree di sosta, all’interno di un più vasto territorio collinare con i suoi piccoli borghi, le antiche pievi, i castelli, le strade dei vini e dei sapori dell’Oltrepò pavese.
E restando in tema di sapori sicuramente da non perdere, a fine luglio, è la Sagra della schita, la focaccia locale, mentre il 14 agosto si svolge la Festa della paciada, un’occasione per gustare antichi piatti di questa terra. Il piatto del borgo sono i malfatti, prelibatezza vegetariana a base di erbette (in particolare bietole), pane grattugiato, formaggi e uova. Ottimo anche il brasato in umido con spezie e vino Bonarda.
Non molto lontano Zavattarello dove si scorge l’imponente rocca che sovrasta il borgo antico aggrappato alla collina.
L’esposizione a levante esalta i colori caldi e chiari della pietra arenaria e delle tinte dei muri segnate dal tempo.
Zavattarello è il paese più storico della provincia di Pavia per antichi fatti d’arme. Ma non è solo per il castello del celebre capitano di ventura Jacopo Dal Verme, che merita una visita. Innanzitutto, le pietre millenarie sono incastonate in un ambiente tra i più suggestivi dell’Oltrepò pavese montano, che richiama alla memoria le visioni dei colli umbri o toscani.
Ci si trova nella Val Tidone, anticamente abitata dai Liguri, una vallata sospesa nel tempo, dove la storia si legge ovunque, nel paesaggio agrario modellato dall’uomo come nei castelli, nelle antiche pievi ed abbazie.
La visita a Zavattarello inizia dalla piazza coronata di edifici in pietra, le antiche case di “su di dentro”, com’è chiamato il nucleo medievale che conserva la struttura urbanistica originaria. Il borgo, in parte ancora circondato da mura, è attraversato da una via stretta e sinuosa e da numerosi passaggi costruiti a raggiera verso la Rocca sovrastante.
Tutta in pietra, con uno spessore murario di oltre quattro metri, la rocca titanica con il ricetto fortificato, le scuderie, gli spalti, la chiesa e le sue 40 stanze costituisce un complesso architettonico tra i più interessanti della zona.
Tornando nella piazza, è l’arte antica a farsi ammirare nell’oratorio trecentesco di San Rocco, dove si segnala uno stupendo altare ligneo del quattrocento. Contrapposta alla rocca, all’altro lato del paese, si trova la pieve parrocchiale di San Paolo, dalla struttura romanica.
Manifestazioni artistiche, musicali, teatrali si svolgono durante il Luglio Culturale, mentre tra piatti e prodotti del borgo spiccano i ravioli di brasato, polenta e selvaggina salmistrata e il salame crudo e la pancetta di maiale stagionati secondo antiche ricette lombarde.
La scoperta dei borghi lombardi prosegue nella provincia di Cremona visitando Castelponzone, frazione di Scandolara Ravara
Posto tra il Mantovano, il Cremonese e il Parmense, territori di fiorente agricoltura, il borgo di Castelponzone rappresenta un esempio di recupero della dimensione rurale. A Castelponzone l’intreccio tra agricoltura e borgo è stato talmente forte in passato, da non poter essere rimosso.
Centro fortificato senza più fortificazioni, di sapore rinascimentale, Castelponzone ha rimesso a posto le facciate e ripristinata l’originaria pavimentazione in ciottolato negli strettini, i piccoli viottoli che l’attraversano.
Il borgo è delimitato dalla strada di circonvallazione che ricalca il tracciato delle antiche mura. La rocca, demolita a fine Ottocento, era circondata da un fossato, il cui tracciato è ancora visibile. All’interno, la struttura urbanistica è caratterizzata da isolati regolari. Delle due porte di accesso rimane quella meridionale col passaggio carraio centrale e tracce degli attacchi del ponte levatoio.
I portici della via centrale risalgono alla fine del XVI secolo: sotto di essi si aprivano osterie, negozi e botteghe artigiane. La chiesa parrocchiale, dedicata ai Santi Faustino e Giovita, è settecentesca e contiene una Santa Lucia del Genovesino.
Un altro edificio storico è la residenza signorile settecentesca conosciuta come “la villa”, con il suo porticato con architrave poggiante su colonne doriche e la struttura a U. Il resto sono abitazioni rurali che si allineano nei vicoli stretti e negli slarghi, spesso abbellite da balconi e finestre fiorite, immerse nella quiete della Bassa cremonese prossima al Po.
Esiste un immenso patrimonio rurale che è l’immagine di un passato povero ma dignitoso: fienili, stalle voltate, granai, abbeveratoi, dipinti murali, oratori campestri, e naturalmente le case padronali e le dimore dei braccianti.
Questo mondo in via di sparizione lascia un’eco a Castelponzone, dove la fisionomia del territorio rispecchia i segni delle opere di bonifica che hanno garantito terre all’agricoltura strappandole alle paludi..
Sul territorio comunale e nelle zone vicine sono presenti i bodri, piccole raccolte d’acqua ferma generate dal Po, nelle aree chiuse delle lanche, quando la piena del fiume si ritira. Sono ambienti ricchi di flora e di fauna che interrompono il paesaggio piatto della pianura padana e sono tipici della campagna cremonese.
Il filo verde delle piste ciclopedonali attraversa tutta la zona collegando le testimonianze di architettura rurale, di archeologia idraulica e quelle più prettamente storiche. Vengono, infatti, organizzati percorsi guidati pedonali e ciclabili alla scoperta del territorio.
Si possono distinguere vari itinerari, tra cui quello archeologico, dove lungo il tracciato dell’antica via Postumia il paesaggio conserva tracce della centuriazione romana, i cui cardi e decumani si perdono nei campi; quello rinascimentale, in cui la vicina Sabbioneta, città ideale del Rinascimento, e Mantova, capitale dei Gonzaga, sono a poche decine di km.
A questi si aggiunge quello della via Francigena. A pochi km dal borgo, infatti, si trovano chiese collegate a questo itinerario medievale, come la gotica pieve di Caruberto e la tardogotica chiesa di San Zavedro a San Giovanni in Croce. E poi l’itinerario delle ville e dei castelli, un percorso che tocca alcune ville-castello di costruzione ottocentesca.
La ricca offerta gastronomica locale comprende i marubini, un primo piatto composto da tre brodi riuniti di gallina, manzo e salame da pentola, e i tortelli di zucca condivisi con i mantovani di là dell’Oglio.
In particolare i tortelli sono conditi con ragù rosso ai funghi chiodini ed i marubini con crema di lambrusco. Tra i secondi, il cotechino cremonese e il lesso accompagnato dall’immancabile mostarda, mentre dal fiume di latte che esce dalle stalle cremonesi, si ricava un ottimo grana padano.
Soncino è un luogo di acque dal corso instabile che diventate canali, mulini e archeologia industriale.
L’imponenza delle mura colpisce il visitatore appena arrivato a Soncino. Costruite nella seconda metà del XV secolo, si possono meglio apprezzare percorrendone il circuito esterno: la struttura fortificata si erge alta sul piano della campagna e si sviluppa per due km.
L’attuale stato di conservazione permette di osservare la tecnica costruttiva, con l’ordinata tessitura dei mattoni, la serie regolare di torrioni e bastioni e le tre porte (a Sera, a Mattina e di Sotto). La rocca fu costruita in un solo anno, il 1473, mentre l’originale torre cilindrica di sud-ovest deve la particolare struttura al riutilizzo di un preesistente torrione della cinta muraria.
Lasciata la rocca, si prosegue lungo il fossato orientale fino a raggiungere lo spalto delle mura. Questa parte del borgo è ora occupata dal fabbricato dell’ex filanda Meroni, che presenta i caratteri eclettici dell’architettura tardo-ottocentesca con la sua alta ciminiera in cotto incombente sulle mura.
Giunti a Porta San Giuseppe, si entra nel borgo da Contrada Grande, la strada principale. Sul lato orientale si incontra il palazzo Azzanelli costruito da una famiglia di mercanti arricchitasi con il commercio dei pannilana. Poco oltre, dall’altro lato della strada, il palazzo Zardina-Cropello è la ristrutturazione tardo-settecentesca dell’antico Ospedale dei pellegrini.
L’ultimo percorso all’interno della cinta muraria tocca alcuni dei monumenti più rilevanti del borgo, quali la pieve e la Casa degli stampatori ebrei. Di origini antichissime, tra il VI e il VII secolo, la pieve di Santa Maria Assunta è il risultato di numerose trasformazioni dalla fase romanica alla riforma tardo-cinquecentesca.
Fuori del borgo, sorge la chiesa di Santa Maria delle Grazie. Iniziata nel 1492 e consacrata nel 1528, grazie al mecenatismo degli Sforza, che l’hanno voluta, racchiude molti tesori d’arte. Di grande valore storico l’affresco dell’Assunzione della Vergine di Giulio Campi, la prima manifestazione manierista di uno dei più grandi pittori del Cinquecento lombardo, influenzato da Giulio Romano.
A Soncino le radici amare, dalla forma simile a quella di una carota, si consumano come verdura invernale e si accompagnano, come nella sagra a loro dedicata, a fumanti salamelle e a un buon bicchiere di vino. Ma hanno anche un effetto ipotensivo, purificano il sangue dal colesterolo e, secondo la tradizione locale, producono anche un’azione tonico-digestiva.
l tour tra i borghi più belli della Lombardia si conclude con Gradella, frazione di Pandino, dove, in un paesaggio di risorgive e di paludi bonificate, si entra in una dimensione quasi fiabesca, come se gli antichi boschi che qui sorgevano chiamassero a raccolta il verde, l’acqua, l’ombra, la frescura, il silenzio, i dolci rumori dei campi.
L’abitato rurale di Gradella si presenta con le caratteristiche case dipinte in giallo, profilate di mattoni rossi e con le corti comunicanti. Ai margini del borgo emerge villa Maggi, già esistente nel XVII secolo, che deve il suo aspetto attuale alle modifiche apportate nel XIX e XX secolo. Al centro di Gradella si erge la chiesa Parrocchiale costruita a partire dal 1895 e dedicata alla Santissima Trinità e a San Bassiano,
Da vedere il castello Visconteo, di particolare importanza perché è il meglio conservato tra i castelli costruiti dai Visconti nel XIV secolo. Edificato come luogo di ricevimenti, battute di caccia e incontri conviviali, ha forma quadrata, eleganti porticati ed ampia corte, mentre ogni stanza conserva le pitture volute dai signori di Milano, soprattutto motivi geometrici alternati agli stemmi di famiglia.
La necessità della tutela ambientale, qui, si sposa con la vocazione agricola del territorio, messo a dura prova dalla meccanizzazione e dallo sviluppo intensivo. Di recente è stato istituito il Parco del Tormo, allo scopo di preservare l’ambiente naturale lungo le rive di questo fiume. Un altro intervento apprezzabile è la conservazione dei fontanili, formati dalle acque sotterranee che riaffiorano in superficie.
In questa località vi sono alcuni ristoranti nella zona, ospitati in antichi cascinali, in cui si può fare una bella esperienza culinaria grazie ai prelibati tortelli cremaschi, preparati con amaretti, spezie ed erbe aromatiche, al foiolo cucinato con le verdure e all’irrinunciabile panarone. un tradizionale formaggio padano dal caratteristico gusto amarognolo, nato proprio a Pandino.
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