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I borghi più belli d’Italia: Marche

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Pietre, volti, oggetti e storia

Il viaggio alla scoperta dell’incantevole e particolare regione delle Marche inizia nella provincia di Ascoli Piceno con Offida dove le pietre, i volti e gli oggetti che si incontrano sembrano portare felicità e buonumore.

Racchiuso dentro le mura castellane del XV secolo, il centro storico di Offida, da qualsiasi punto, offre un panorama che spazia dal monte Ascensione alla catena dei Sibillini fino al mare Adriatico, lasciando intravedere nei giorni limpidi anche il Gran Sasso e la Maiella.

La visita inizia dal monumento alla Merlettaia, realizzato nel 1983 dallo scultore locale Aldo Sergiacomi, che subito introduce nell’anima del borgo, ricamata sulla pazienza delle donne che lavorano il merletto a tombolo che si ritrova ne I Venerdì d’Estate, tra luglio e agosto, una serata dedicata al merletto a tombolo, in cui esposizione di merletti fanno da contorno alle merlettaie al lavoro nel centro storico.

All’ingresso del paese si trova anche il settecentesco ex Ospedale Civile, opera di Pietro Maggi. Da lì si raggiunge in breve piazza del Popolo, il cuore di Offida, una di quelle piazze italiane che si ricordano a lungo per l’armonia e per l’accostamento naturale di una molteplicità di stili e materiali.

Colpisce subito l’insolita forma triangolare, dovuta al riassetto tardo settecentesco, quando furono demolite alcune strutture ospedaliere e fu costruita sul lato sinistro la nuova chiesa della Collegiata.

La facciata della chiesa è un compendio di stili che vanno dal greco-romano al barocco, mentre l’interno è a pianta latina con tre navate. Sul lato principale della piazza si ammira il palazzo Comunale con il portico del XV secolo formato da colonne in laterizio sormontate da capitelli in travertino.

Da qui si accede a una meraviglia nascosta come lo splendido teatro Serpente Aureo, realizzato nel 1820 su progetto dell’architetto Pietro Maggi e rimodernato nel 1862. Un gioiellino di concezione barocca, uno di quei teatrini all’italiana, con schema a ferro di cavallo e profusione di stucchi e intagli dorati, di cui è ricca la provincia italiana.

La storia e le bellezze di Offida, però, non si esauriscono nella piazza, perché restano sicuramente da vedere le chiese: quella dell’Addolorata del XV secolo, che si trova all’estremità del palazzo Comunale, quella del Suffragio, chiamata anche della Morte per il finto scheletro in legno del Seicento ed infine la chiesa in stile barocco di San Marco annessa al Convento delle monache benedettine, esistente dal 1655.

Ma l’edificio di culto più importante di Offida è la chiesa di Santa Maria della Rocca, costruita nel 1330 su una chiesetta di età longobarda. Qui si ammirano i bellissimi affreschi del Maestro di Offida (e degli altri artisti che hanno lasciato il loro segno, come il Maestro Ugolino di Vanne e Frà Marino Angeli, anch’egli monaco pittore.

Ricca di manifestazioni, feste e ricorrenze che si susseguono tutto l’anno, Offida è sede di una delle due enoteche regionali delle Marche (l’altra è Jesi), segno dell’importanza che il vino ha per questo territorio. Enoteca Regionale ospitata nell’ex convento di San Francesco

Quattro sono le doc: il Rosso Piceno, il Rosso Piceno Superiore, il Falerio dei Colli Ascolani e, ultima approvata, l’Offida, che testimonia lo sforzo di qualità dei produttori di questo Comune con oltre 1.100 ettari coltivati a vigneto.

La doc Offida valorizza due antichi vitigni bianchi autoctoni, il Pecorino e la Passerina. Il Rosso, invece, è un promettente connubio di Montepulciano e Cabernet Sauvignon. l’Offida doc è adatto ad accompagnare, se bianco, le olive all’ascolana e i piatti a base di pesce; se rosso, i più saporiti vincisgrassi e il piccione ripieno. Caratteristici della zona il mistrà, un liquore artigianale efficace come digestivo, e il vino cotto, ottenuto dalla cottura del mosto e servito con il dolce a fine pasto

E la prima domenica di agosto si svolge la Sagra del Chichì Ripieno una focaccia molto saporita, farcita con tonno, alici, capperi e peperoni. Tipici sono anche i funghetti, dolci a base di acqua, zucchero, farina e anice.

Tra i primi piatti, li taccù sono una sorta di grossi tagliolini impastati unicamente con acqua e farina, cucinati in brodo con soffritto di cipolla e pancetta oppure asciutti con sugo di pomodoro.

Alla cucina povera tradizionale appartengono anche i maccheroncini della trebbiatura, che i contadini preparavano in questa fase dei lavori agricoli, e il pollo ncipp nciapp, che è il re dei secondi piatti offidani: consiste in uno spezzatino rosolato in padella e aromatizzato con aglio e rosmarino. In alternativa, il saporito coniglio in salsa.

Tra gli eventi di spessore, da non perdere il Carnevale Storico, dove tra 17 gennaio e martedì grasso si svolgono: lu bov fint (il bue finto), sorta di pacifica corrida con soste mangerecce, e la sfilata dei vlurd, fasci di canne che come un serpente di fuoco attraversano il centro storico.

In direzione della costa adriatica si incontra Grottammare

Un piccolo centro storico raccolto sul ciglio di un colle, che guarda verso il mare come una sentinella ed è raggiungibile tra il profumo degli aranceti e le agavi rigogliose sui pendii

Nel borgo si incrociano due itinerari, quello “sistino” che va alla ricerca dei segni lasciati da Papa Sisto V e quello che si snoda tra le sculture di Pericle Fazzini. Giunti al torrione della Battaglia, fortificazione del XVI secolo recentemente recuperata, si entra nel vivo dell’arte fazziniana, perché vi è custodita una collezione di duecentocinquanta opere, tra disegni, bozzetti in bronzo e litografie, che testimoniano il complesso percorso artistico dello scultore e culminano nel bozzetto in argento della celebre Resurrezione della Sala Nervi in Vaticano.

Addentrandosi nelle viuzze del borgo si incontrano la chiesa di San Giovanni Battista, dov’è allestito il Museo Sistino con gli oggetti donati dal pontefice al suo paese d’origine, la cinquecentesca chiesa di Santa Lucia, costruita per volontà di Sisto V proprio accanto alla sua casa natale, su progetto dell’architetto Domenico Fontana, e il settecentesco Teatro dell’Arancio, anch’esso sapientemente restaurato, che in una nicchia della facciata esibisce una statua del papa realizzata nel 1794 da uno scultore svizzero.

Scendendo verso la Marina si possono ammirare le forme tipiche del liberty e dell’architettura di inizio Novecento che caratterizzano diversi villini, tra cui il villino Matricardi-Cola con le sue decorazioni di maioliche, opera di Cesare Bazzani, uno dei massimi architetti del Liberty italiano, e il Kursaal, famoso per essere stato, anni fa, uno dei locali notturni più prestigiosi di tutta la costa adriatica. Oggi, invece, è sede del MICMuseo dell’Illustrazione Contemporanea.

Il MIC ospita l’esposizione permanente di disegni e fumetti, in prevalenza comico-satirici, con opere originali di alcuni tra i fumettisti e illustratori italiani più conosciuti. A questo si aggiunge il Museo del Tarpato, dedicato alle opere del pittore naif Giacomo Pomili detto “Il Tarpato” e definito anche il Ligabue dell’Adriatico che completa il percorso di valorizzazione della figura di questo incredibile artista.

Se si è inclini alle fantasie romantiche, si può seguire un terzo itinerario, quello lisztiano. A partire dal settecentesco palazzo Fenili, che ospitò il musicista ungherese, per proseguire nel centro città con la chiesa di San Pio V, progettata dall’architetto Pietro Augustoni nel 1779 insieme all’impianto urbanistico della Marina.

E poi ancora palazzo Laureati, una delle prime ville della Marina, dove la marchesina Laureati organizzò diversi ricevimenti in onore di Liszt e dove, nell’ottobre 1860, fu ospite il re Vittorio Emanule II.

In estate, per onorare la memoria del maestro ungherese, il prestigioso Festival Liszt, sorto nel 2003, è diventato un’importante vetrina internazionale per virtuosi e interpreti lisztiani. Nei giorni del festival, i ristoranti del borgo antico preparano cene romantiche a lume di candela per far rivivere i le armonie al chiaro di luna di Franz Liszt.

Anche durante l’inverno non mancano proposte culturali ed appuntamenti di ogni genere. Tra queste la Fiera di San Martino ha luogo l’11 novembre, una tradizionale fiera popolare diventata un’occasione di festa per migliaia di partecipanti, con espositori, bancarelle e stand.

A Grottammare il prodotto principale non può essere che il pesce. Il porto della vicina San Benedetto del Tronto fornisce grandi varietà di specie tra spigole, orate, rane pescatrici cucinate nei modi più diversi: in guazzetto, all’acquapazza, in brodetto o in gustose fritture di calamari, merluzzetti e zanchette.

Ma la vera caratteristica del tratto di mare grottammarese è la piccola pesca artigianale, quella delle retine da posta, nella quali si catturano pesci come triglie, scorfani, piccoli crostacei come le cicale di mare o le mazzancolle, molluschi come lumache di mare, seppie e polpi.

Tra le altre specialità che offre il territorio si annoverano sicuramente l’arancio biondo del Piceno e l’alloro di Grottammare, due coltivazioni che nel corso dei secoli sono diventate caratterizzanti per la zona.

Muovendosi nell’entroterra ecco Montefiore dell’Aso 

Un delizioso paese del Piceno, posto in collina tra le valli del fiume Aso e del torrente Menocchia. Il suo orizzonte spazia dai Monti Sibillini al mare, distante solo pochi km.

La visita offre gradevoli scorci e preziose testimonianze del passato storico e artistico del borgo. Dal Belvedere De Carolis, suggestivo terrazzo panoramico, attraverso la porta Aspromonte si entra nel centro storico e si giunge in piazza della Repubblica, il cuore del paese dominato dalla collegiata di Santa Lucia.

La chiesa è completamente rifatta in stile neoclassico, ma le sue origini sono antichissime, tra il III e il V secolo, e vanno ricercate nella pieve che è stata poi ricostruita all’interno delle mura castellane nella seconda metà del XV secolo.

La chiesa di San Francesco, invece, è stata costruita tra il 1247 e il 1303 con i proventi delle elemosine raccolte dai frati. Conserva l’originario stile romanico-gotico nella struttura esterna e nel portale del 1303, custodito in sacrestia.

Un piccolo borgo e tre pittori. Montefiore dell’Aso illustra anche la sua parte artistica con tre poli culturali degni di nota. Il primo è il Polo Museale San Francesco, allestito nel chiostro del XIV-XVI secolo annesso alla chiesa di San Francesco, che grazie alla recente ristrutturazione consente di ammirare le opere degli artisti che hanno dato lustro al paese, primo fra tutti Carlo Crivelli.

Poi il Museo Domenico Cantatore che accoglie le opere del pittore e incisore pugliese cui è dedicato con litografie, acqueforti e acquetinte raffiguranti contadini pugliesi, ulivi, nature morte e paesaggi ispirati dalla frequentazione delle contrade picene.

Nel Museo Adolfo De Carolis, invece, è ospitata la collezione di circa 500 opere del celebre artista nato a Montefiore dell’Aso, tra cui 69 bozzetti ad olio realizzati per gli affreschi del Salone dei Quattromila nel palazzo del Podestà di Bologna, e circa 250 disegni, studi e bozzetti donati dalla famiglia di Carlo De Carolis.

La Valle dell’Aso, così come ha conservato il paesaggio, l’arte, la storia, ha gelosamente custodito anche i segreti dell’antica cucina, basata su ingredienti semplici e naturali come legumi, cereali, verdure, olio e maiale per i condimenti e i vini Rosso Piceno, Falerio e Pecorino per accompagnare le gustose prelibatezze.

Un esempio è la Maialata in piazza la settimana di ferragosto. Una sagra di prodotti suini con stand gastronomici, tra cui il più importante è il salame Montefiore’ all’erba. Un prodotto di altissima qualità dove la tritatura delle carni suine è stata eseguita rigorosamente a mano con l’aggiunta di alcuni ingredienti tipici dell’insaccato locale.

E poi la Fiera Grande d’Autunno la terza domenica di settembre. Un evento molto antico, risalente al ‘600., un tradizionale mercato di prodotti tipici e artigianali e laboratori didattici di antichi mestieri.

Tra orti e frutteti cui il vento porta l’odore del mare, sorge il villaggio fortificato di Moresco chiuso dal profilo di una Torre Eptagonale che sembra la bizzarra prua di un nave arenata in collina.

All’altro capo del paese risponde la torre dell’Orologio e in questo gioco di rimandi e messaggi si svolge la vita del borgo.

Il castello sembra una sentinella a guardia della campagna, degli orti mediterranei, delle colture della vite e dell’olivo che disegnano un paesaggio quieto e ondulato, al cui orizzonte c’è sempre il mare. Il borgo medievale prende dal castello la sua forma a ellisse e la sua posizione a dominio della verde valle dell’Aso, nota anche per la produzione di frutta.

Il profilo che subito identifica Moresco è quello della torre Eptagonale del XII secolo, alta 25 metri, dalla cui sommità lo sguardo spazia, nei giorni limpidi, dal monte Conero al Gran Sasso e fino alle coste albanesi. La grande campana del Cinquecento scandisce ancora i suoi rintocchi ogni giorno, alternandosi con quella della torre dell’Orologio, guardiana del castello eretta a difesa dell’antico accesso.

Fuori dalle mura del borgo sono da visitare il santuario della Madonna della Salute e, soprattutto, la chiesa di Santa Maria dell’Olmo, ampliata nel 1521 inglobando l’antica edicola gotica, che la divide in due parti con due differenti altari.

Proprio qui, dopo la messa dell’ultima domenica di aprile ci si incontra a pranzo nel prato dietro la pieve rurale dando vita alla Scampagnata alla Madonna dell’Olmo. La terza domenica di ottobre, invece, si svolge la Festa della Madonna della Salute l’evento religioso più sentito si conclude con la processione al santuario.

In estate gli eventi caratteristici e storici di Moresco sono la Sagra della Polenta con le vongole, 9 e 11 agosto e la Cena Medioevale, il terzo venerdì di luglio. Alla luce delle torce e dei bracieri, personaggi in costume servono nella piazza del borgo una cena preparata secondo ricette di epoca medievale. Musica antica e buona tavola invitano ad immergersi nella cultura di un tempo lontano.

A Moresco, inoltre, si possono conoscere altre specialità gastronomiche. Una è la pesca della Val d’Aso, tra i massimi punti di forza della produzione ortofrutticola della zona. Poi il ciauscolo anche noto come il “salame che si spalma” è un altro gustoso prodotto tipico di Moresco. Ed infine la “Pizza di Natale” è il dolce natalizio delle massaie di Moresco: gli ingredienti sono fichi secchi, mandorle, noci, farina, zucchero e cacao

Servigliano è un borgo dalla struttura quadrangolare chiusa e dalle forme neoclassiche con tre porte monumentali di accesso.

L’impostazione architettonica si rifà al simbolo cristiano della croce, ben visibile nell’incrocio ortogonale delle due vie principali confluenti verso la chiesa collegiata. In Europa ne è un esempio praticamente unico.

La Collegiata di San Marco è sicuramente uno dei monumenti da visitare, con il suo organo settecentesco e le reliquie di San Servigliano e di San Gualtiero. Poi il recuperato complesso monastico dei Frati Minori Osservanti con il Santuario di Santa Maria del Piano, costruito su resti di villa romana del primo secolo ed infine il Palazzo Vecchiotti, imponente edificio signorile di tre piani con altana.

Nel territorio si produce olio di oliva di ottima qualità e vini pregiati, premiati a livello nazionale. Artigiani lavorano il ferro battuto e decorano a mano porcellane a terzo fuoco, mentre tra i prodotti tipici della zona spiccano il serpe di cioccolato ed i celebri vincisgrassi, lasagne al forno con ragù e besciamella.

Torre di Palme (frazione di Fermo) è una delle dieci contrade della città di Fermo, nonché la più antica.

Borgo prediletto dai molti villeggianti che ne sanno apprezzare il fascino, Torre di Palme propone scorci urbani incomparabili. Le anguste vie, strette tra le facciate in cotto delle case fiorite di gerani, inquadrano ampie vedute del mare e delle colline circostanti.

Lungo il corso, poco oltre l’antico palazzo priorale, si incontra la Chiesa gotica di Sant’ Agostino, che conserva un pregevole polittico di Vittore Crivelli: trafugato nel 1972, è stato in seguito recuperato e restaurato, pur mancando all’appello tre scomparti della predella.

Sempre passeggiando sul corso si giunge alla chiesa di Santa Maria a Mare, le cui strutture murarie recano i segni di varie modifiche subite nel corso dei secoli che non hanno del tutto cancellato l’impianto gotico del tempio.

Nel contesto del caratteristico borgo di Torre di Palme si inserisce la passeggiata al Bosco del Cugnolo, un breve e facile percorso che si svolge lungo un tratto di duna fossile del Poliocene vicina al mare, attraverso un piccolo boschetto che rappresenta uno dei pochi lembi residui di vegetazione mediterranea del litorale marchigiano.

La locale vicenda della “Grotta degli amanti“ tra storia e leggenda, contribuisce a rendere più suggestiva questa bella passeggiata. La vicenda che ha dato il nome alla “Grotta degli amanti” si svolse durante le guerre coloniali per la conquista della Libia quando un giovane di nome Antonio ebbe una licenza di pochi giorni per tornare a casa della sua famiglia e dalla promessa sposa Laurina.

Trascorsi i giorni di licenza concessi al giovane militare, i due giovani non ebbero il cuore di lasciarsi e si rifugiarono nella piccola grotta di arenaria scavata nelle pareti tufacee del bosco dove vissero la loro avventura d’amore, mangiarono pane e sarde procurati loro dai vicini pescatori.

Quando poi si diffuse la voce che le autorità stavano cercando Antonio perché disertore, i giovani amanti si rifugiarono nella chiesina silvestre di San Filippo Neri e dopo qualche giorno, divorati del rimorso e sentendosi braccati, piuttosto che separarsi scelsero la morte e si gettarono nel fosso di S. Filippo, strapiombo di 70 metri, legati insieme con lo scialle di Laurina e al polso con la cinta di Antonio.

Ogni martedì di luglio e agosto le vie del centro storico del borgo si vestono delle luci e dei colori dei migliori prodotti dell’artigianato locale e non solo, dando vita al Mercatino dell’Artigianato. La gastronomia locale, invece, rispecchia le tradizioni contadine, utilizzando prodotti genuini. Tra i piatti tipici sono da gustare i tradizionali vincisgrassi, i maccheroncini di Campofilone, il fritto misto e, tra i dolci, il ciambellotto della trebbiatura.

Superando Civitanova Marche ed entrando nella provincia di Macerata si arriva a Montecosaro che si tiene stretti i suoi tesori d’arte e si gode un panorama che abbraccia il mare, i monti Sibillini e le verdi colline della valle del Chienti,

Pochi km dividono il centro storico dal nuovo insediamento di Montecosaro Scalo, che ospita uno dei monumenti più importanti della regione, la basilica romanica di Santa Maria a piè di Chienti, di probabile origine longobarda.

Con la sua perfetta architettura cluniacense, che incrocia lo stile lombardo e quello borgognone, la chiesa si presenta con lo squisito gioco di volumi della parte absidale esterna. L’elegante campanile a vela sovrastante la parete sud dell’abside, conserva la campana che dal 1425 chiama i fedeli alle funzioni. Sulla via per il centro, la chiesa di San Rocco, a pianta ottagonale, conserva magnifici affreschi attribuiti a Simone de Magistris, pittore marchigiano allievo di Lorenzo Lotto.

Delle tre antiche porte, si è conservata solo la duecentesca porta San Lorenzo a levante, oggi fusa con palazzo Marinozzi, mentre le mura di cinta avvolgono il borgo come nel Trecento. Risalendo una via acciottolata si arriva in piazza Trieste, e da lì al teatro delle Logge, inaugurato nel 1809 e restaurato nel 1874 e nel 2003.

Qui, ad aprile, si svolge il Premio Internazionale Anita Cerquetti che per tre giorni ospita un concorso lirico aperto a cantanti di tutto il mondo e dedicato ad Anita Cerquetti, soprano tra i più grandi di tutti i tempi, che svolge il ruolo di madrina.

Sulla piazza si affaccia anche la collegiata di San Lorenzo, costruita nel 1723 sui ruderi dell’antica pieve, di cui resta il campanile romanico del X secolo. Sul lato opposto della piazza, invece, si trova il complesso agostiniano, costituito dal compatto fronte di mattoni della chiesa di Sant’Agostino, che ha cancellato le sue origini duecentesche con la ristrutturazione del 1773, ma conserva un reliquiario dorato e cesellato di raffinata arte bizantina

Nella parte alta del centro storico, il parco del Cassero, realizzato sui pochi ruderi di un’antica rocca fortificata, è un angolo verde sotto il quale si distende il sereno paesaggio marchigiano, con le infinite fughe di colli che dal Monte Conero raggiungono il Fermano.

Il mare a pochi km consente tutte le attività legate alla balneazione, mentre la catena montuosa dei Sibillini, che si scorge dal borgo, è adatta alle escursioni e nel periodo invernale mette a disposizione una cinquantina di km di piste da sci.

Passeggiare Degustando, la terza settimana di luglio, rappresenta una passeggiata enogastronomica e culturale organizzata all’interno delle mura del centro storico, con degustazioni di prodotti tipici, artigianato, antiche officine ed esposizione di attrezzi agricoli.

Questa è la terra dei vincisgrassi, sorta di lasagne al forno marchigiane fatte con ragù di carne di manzo e maiale, rigaglie di pollo e besciamella. Ma nel borgo si cucinano ancora i cibi della tradizione come il cicerù, un grosso raviolo dolce farcito con purea di ceci e mosto, e i frascarelli, una polenta di farina di grano preparata in vari modi, il più gustoso dei quali prevede un condimento di salsicce soffritte, passato di pomodori e pancetta di maiale.

A poca distanza Montelupone il borgo “ideale” che sa coniugare passato e futuro.

Nella zona esterna sorgono realtà industriali importanti che danno sostanza alla bellezza, portando il borgo ai vertici del benessere. La salubrità dell’aria, le aree verdi, gli itinerari fiabeschi ne disegnano, invece, l’anima ecologica.

Montelupone è uno dei piccoli centri delle Marche che meglio ha conservato le testimonianze della sua ricca storia. Lo si comprende subito osservando le lunghe mura castellane con le quattro porte d’ingresso, e l’originale pavimentazione in pietra del borgo.

Sulla splendida piazza-salotto si affaccia il palazzetto del Podestà (o dei Priori), edificio trecentesco a forma rettangolare in cui si evidenzia l’influenza lombarda. Parte integrante del monumento è l’imponente torre Civica trecentesca con merlatura ghibellina che accoglie lo stemma più antico della città, l’orologio e la grande campana di bronzo.

All’interno del piano nobile si trova la pinacoteca Civica “Corrado Pellini” che custodisce la preziosa Madonna Immacolata del fiammingo Ernest Van Schaych risalente al 1631, pervasa di accenti devoti secondo i modelli del classicismo bolognese.

Opera ottocentesca dell’architetto Ireneo Aleandri, il palazzo Comunale si affaccia sulla piazza con il suo loggiato di stile neoclassico. Al suo interno si dischiude il teatro Storico Nicola Degli Angeli, ideato dallo stesso Aleandri ed eseguito nel 1884 da Giuseppe Sabbatini.

Girovagando per le vie del borgo, salta agli occhi la bellezza dei palazzi nobiliari, un tempo residenze di antiche famiglie, con i loro portali, fregi, antichi stemmi e decorazioni pittoriche all’interno.

In particolare, palazzo Emiliani merita attenzione per il fregio del pittore Biagio Biagetti raffigurante le Quattro stagioni interpretate attraverso il ciclo del grano, dalla semina fino alla produzione del pane.

Uno dei monumenti più significativi è la chiesa di San Francesco, eretta nella seconda metà del Duecento e poi rimaneggiata in stile tardo-barocco. Il coro ligneo settecentesco, le quattro statue delle Virtù teologali (1752) e l’organo del 1753 rappresentano la “collezione” di questa chiesa.

Nella chiesa di Santa Chiara, antico convento delle Clarisse ridisegnato nel ’700, si ammirano le porte intarsiate dall’ebanista Cristoforo Casari nel 1796 e una pala d’altare di Onofrio Gabriello da Messina.

Gli azzurri campi di carciofo annunciano il prodotto del borgo, ovvero il Carciofo di Montelupone, a cui è dedicata una sagra la seconda domenica di maggio. La manifestazione chiama a raccolta da quasi 50 anni gli amanti del gustoso carciofo locale, re della gastronomia e insieme protagonista della storia di questo paese.

Ma un’altra specialità locale è anche il miele dei Colli Monteluponesi che viene celebrato con Apimarche la terza settimana d’agosto. Una mostra mercato di apicoltura e dei prodotti naturali che trae origine dalla fama del miele dei colli intorno a Montelupone. La manifestazione si distingue per la Serata Medioevale “A Cena con i Priori” e per il Festival Etnico del Folklore.

Montecassiano presenta un medioevo di collina, quieto, discreto, così umano e amorevole.

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La sua identità è racchiusa tra le alte mura, edificate a partire dal 1437, che ancora circondano il centro storico.

La struttura urbanistica si sviluppa a vie concentriche che culminano nella piazza centrale. Qui sorgeva il castello di Santa Maria in Cassiano, già esistente nel 1151. Insieme all’attuale piazza Leopardi, dove si trovava la corte del castello, facevano parte dell’antico nucleo la pieve di Santa Maria e il sovrastante terziere fortificato del Girone, l’attuale piazza del Girone.

All’ingresso del borgo sorge l’oratorio di San Nicolò che possiede una campana del 1382 e, all’interno, affreschi del Quattrocento di scuola umbro-marchigiana. Superata la merlata Porta di Santa Croce (oggi Cesare Battisti), si sale alla centrale piazza Leopardi dove fa bella mostra di sé il palazzo dei Priori, sede del Comune.

La vicina collegiata di Santa Maria Assunta risale al XII secolo, ma fu ricostruita dai monaci dell’abbazia di Fiastra nel 1234 e modificata in seguito da Antonio Lombardo. Particolare la facciata in cotto con rosone, affiancata da un robusto campanile ornato da terrecotte. L’itinerario prosegue con la vicina chiesa di San Marco, completamente ristrutturata nel Settecento, in cui sono conservati dipinti del secolo XVII e una Raccolta Archeologica ricca di reperti piceni.

All’interno delle mura cittadine sono stati recentemente recuperati tre cortili storici: il chiostro degli Agostiniani, in cui ha sede il Centro di degustazione, il giardino di San Giacomo, angolo di pace e serenità e il cortile del monastero delle Clarisse, che vanta un impianto edilizio risalente al XII secolo. Tutti e tre sono a servizio delle taverne in occasione del Palio dei Terzieri.

Un evento caratteristico che si svolge dalla terza alla quarta domenica di luglio. Organizzato dall’omonima associazione, punta alla riscoperta dell’identità culturale di Montecassiano attraverso la ricostruzione storica di un evento che risale alla metà del Quattrocento. Come allora, si ripropongono giochi e disfide, accompagnati da mercatini tradizionali, degustazione di prodotti tipici in taverne e osterie, sfilate in costume storico.

La Festa di Sant’Egidio, invece, il primo di settembre è sicuramente l’occasione ideale per assaggiare le tagliatelle con la papera, mentre la Sagra dei Sughitti, ad ottobre, celebra la specialità locale, una sorta di polenta dolce con mosto, farina di mais e noci, dolce tipico della civiltà contadina

Treia non ha mai tagliato il suo cordone ombelicale con la terra che riappare nel caldo ocra dei mattoni illuminati dal sole.

Terra solida e mistica insieme: attraverso il territorio treiese, vero collegamento tra mondo romano e cristiano, si snoda la Settempedana, via commerciale e militare, ma anche itinerario dello spirito prediletto da San Francesco

Questa, che si stende tra l’Adriatico ed i Sibillini, è la terra dell’argilla rossa e dei panorami che evocano suggestioni d’infinito non solo leopardiano. Mura duecentesche, torri longobarde, palazzi rinascimentali e neoclassici, un labirinto di suggestivi vicoli e viuzze che sfocia nella magnifica piazza della Repubblica.

Un panorama mozzafiato circondato dalla neoclassica palazzina del Valadier, sede dell’accademia Georgica, dal palazzo Comunale e dalla chiesa di San Filippo con il suo Crocifisso del Quattrocento. La cattedrale, invece, progettata da Andrea Vici, allievo del Vanvitelli, custodisce una lunetta del Pagani, una tavola di Giacomo da Recanati ed un busto di papa Sisto V, la cui copia fa parte della collezione del Victoria and Albert Museum a Londra.

L’Accademia Georgica, famosa in tutta Europa, è ancora un centro di cultura grazie al ricco patrimonio librario, archivistico ed artistico. A manoscritti, pergamene, bolle si affianca anche la documentazione degli studi sulla coltura del “maceratino”, vitigno autoctono che è il capostipite del celeberrimo Verdicchio. All’ Accademia, tra l’altro, si devono i primi bollettini metereologici per l’agricoltura ed i primi esperimenti di estrazione dell’olio dai semi.

Il calcione di Treia, prodotto DOP, tipico del periodo pasquale è un disco di sfoglia tirata al mattarello ripieno di un impasto di farina, uova, pecorino, zucchero, olio. Dolce la pasta esterna, salato il ripieno, è apprezzato come spuntino o dessert.

Per gustarlo anche fritto ed al forno, l’occasione migliore è la Sagra del Calcione, il terzo fine settimana di maggio, quando è “innaffiato” con Verdicchio o Vernaccia di Serrapetrona. A Treia un assaggio obbligato sono i vincisgrassi e il ciauscolo, gustoso salame a pasta morbida, mentre l’evento da non perdere è la Disfida del bracciale, che si svolge la prima domenica di agosto

Procedendo verso sud si incontra San Ginesio  “il balcone dei Sibillini”, per le belle vedute panoramiche, il verde intorno e i tesori all’interno.

Il suo ampio panorama sulla suggestiva terra delle Marche, così ricco di architetture monumentali, siede sul Piceno a 690 metri di altitudine di fronte alla catena dei Monti Sibillini.

Il centro storico del borgo conserva veri e propri monumenti architettonici: la Pieve-Collegiata che custodisce molte opere d’arte, si erge maestosa come unico capolavoro marchigiano di romanico e gotico-fiorito nella piazza centrale intitolata ad Alberico Gentili, illustre giureconsulto sanginesino alla corte di Elisabetta I d’Inghilterra e padre del diritto internazionale, autore del famoso “De Jure Belli”.

Quasi contemporanea alla Collegiata è un’altra bellissima chiesa romanico-gotica, edificata nel 1050 e dedicata a San Francesco. L’armonioso portale e l’abside sono le testimonianze più antiche, mentre l’interno a sala, in stile neoclassico, ospita opere pregevoli tra cui un’intensa Crocifissione di scuola riminese-marchigiana.

Ancora perfettamente conservato l’Ospedale dei Pellegrini di San Paolo, risalente alla fine del XIII secolo, con i suoi due eleganti ordini di archi in pietra, una delle domus hospitales che davano riparo ai pellegrini in cammino verso Roma o Loreto.

A San Ginesio, le Rievocazioni storiche si concentrano soprattutto in agosto con la settimana di “Medievalia” che inizia con la “Battaglia della Fornarina” e termina il 15 agosto con l’assegnazione del “Palio di San Ginesio”, il drappo che ogni anno si aggiudica il Rione vincitore del torneo cavalleresco.

La storia che riconduce al nome di San Ginesio lega la cittadina alla tradizione musicale. Il Santo Patrono, infatti, viene iconograficamente rappresentato con un violino in mano, sia negli affreschi del ‘400 che nei dipinti del ‘600.

Ecco perché ogni anno, il 24 agosto, si svolge San Ginesio Mimo e Musico, concerto di violino e giornata della gratitudine. Il Santo Patrono, invece, viene festeggiato il 25 agosto ed è la festa rumorosa e allegra che conclude ogni anno l’estate ginesina.

A San Ginesio si trovano intatte le più genuine tradizioni culinarie: la pasta fatta in casa, i salumi, i formaggi, il pane, il miele e il vino “San Ginesio doc” sono le specialità del luogo. E da provare il “Polentone di San Ginesio”, piatto tipico e ormai unico sul territorio perché prodotto con farina di mais quarantino quasi introvabile altrove, condito con sugo composto di cinque carni differenti o in bianco con salsiccia, costate di maiale e funghi.

La dolce suggestione che traspare dalla parola “borgo” trova conferma a Sarnano.

A guardarlo dall’alto, con la sua struttura ellittica e i tetti rossi che danno il segno della compattezza, il borgo è una meraviglia.

Strade strette e ripide convergono verso piazza Alta dove si affacciano i principali monumenti: il palazzo del Popolo, la chiesa di Santa Maria Assunta, il palazzo dei Priori e quello del Podestà.

La chiesa di Santa Maria Assunta, edificata tra il 1265 e il 1286, è sovrastata da un solido campanile, più vecchio di un secolo, mentre la facciata è abbellita da un portale in pietra bianca finemente scolpito.

Il palazzo del Popolo, trasformato nel 1831 nello splendido teatro della Vittoria, è stato recentemente restaurato e riportato all’antico splendore. Sono piccoli edifici, il palazzo dei Priori e il palazzo del Podestà, che restituiscono l’avvolgente calore della piazza dove, come in tutto il borgo, domina il cotto, dalle colonne ai pilastri, dalla pavimentazione ai muri portanti, dalle decorazioni alle coperture voltate.

Nella stagione estiva, piazza Alta, con la sua particolare acustica e con la sua atmosfera, si trasforma in palcoscenico all’aperto per ospitare manifestazioni e concerti di musica classica che vengono racchiusi all’interno di Sarnano Estate.

La seconda settimana di agosto va in scena il Palio del Serafino, nato come espressione del naturale antagonismo tra le contrade, era una competizione che si svolgeva tutti gli anni nella ricorrenza della festa dell’Assunta;

Oggi è una delle manifestazioni più belle delle Marche, sia per la rievocazione storica con circa 500 figuranti tra dame e cavalieri, sia per la sfida in sé, che ha per protagoniste le quattro contrade di Brunforte, Poggio, Abbadia e Castelvecchio. Al termine dei giochi la contrada vincitrice riceve lo stendardo raffigurante il Serafino.

Anche questa è terra del ciauscolo, il “salame che si spalma” tipico dell’entroterra marchigiano. Ma il borgo contribuisce anche al mantenimento delle tradizioni gastronomiche con il più semplice dei prodotti, il pane, che qui si esalta nelle numerose produzioni artigianali che lo vogliono rigorosamente cotto nel forno a legna, così da assumere i profumi unici delle “fascine” dei Monti Sibillini.

Ed in questo meraviglioso paesaggio, Sarnano offre un’attrezzata stazione per gli sport invernali con piste di varie difficoltà, impianti di risalita, scuole di sci. Oltre allo sci sui campi del comprensorio Sassotetto – Santa Maria Maddalena, si possono praticare, nella bella stagione, l’equitazione, il trekking e il cicloturismo grazie a una vasta rete d’itinerari escursionistici segnalati.

Quasi al confine con l’Umbria ecco Visso incantevole centro montano delle Marche.

La “perla” dei Monti Sibillini dal passato ricco di storia: le imponenti mura, i balconcini medievali, le case, le torri, i palazzi gentilizi rinascimentali, costituiscono un insieme armonioso e grandioso.

La piazza dei Martiri Vissani è delimitata da eleganti palazzetti quattro-cinquecenteschi e caratterizzata da due strutture architettoniche: la collegiata di Santa Maria e la chiesa di Sant’Agostino.

La collegiata in stile romanico-gotico risale, nel suo impianto originario, al XII secolo ed è sovrastata da un elegante campanile e abbellita da una facciata con un portale trecentesco finemente lavorato.

La chiesa di Sant’Agostino, risalente al XIV secolo, ha una facciata a tre cuspidi con portale e rosone. Oggi sconsacrata, è sede del Museo che raccoglie opere di proprietà comunale ed ecclesiastica provenienti in gran parte dalle chiese del territorio vissano.

Visso, sede del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, è l’ideale punto di partenza per conoscere il mondo aspro e selvaggio di queste montagne, dove nei mesi invernali è possibile praticare gli sport sulla neve, mentre in estate il paesaggio, l’aria pura, le acque sorgive predispongono a serene passeggiate tra i boschi.

Visso, inoltre, eccelle nella lavorazione dei salumi, tanto da essere considerata il contraltare marchigiano di Norcia. Ma tra i sapori robusti e genuini di questa terra ci sono anche i formaggi, da gustare nelle diverse stagionature, la lenticchia e il farro dei Monti Sibillini, il castrato di montagna. E, a completare il menu, i piatti preparati con la trota del fiume Nera e soprattutto con il pregiato tartufo nero.

Nella parte ovest della regione ecco Esanatoglia è un piccolo gioiello nelle Marche più appartate, al confine con l’Umbria.

Per la sua forma sottile, allungata, Esanatoglia era anticamente chiamata la città “filetta”. Vista dall’alto, sembra accudita dai sette campanili che percorrono il corso Vittorio Emanuele, l’asse viario principale. Il borgo si dispone come una sorta di fuso, innestato di vie secondarie che portano ai rioni, ognuno con la propria piazzetta.

Nella parte più antica svetta con il suo campanile la pieve di Santa Anatolia. Presenta uno splendido portale in pietra trecentesco e un’epigrafe romana posta sul basamento della torre campanaria che, secondo gli storici, sarebbe la prova di un insediamento romano al tempo delle conquiste di Augusto.

Nelle vicinanze, Palazzo Varano, attuale sede del Municipio, conserva una tela interessante come La cacciata dei diavoli da Arezzo e singolari pitture a scialbo raffiguranti una parata di cavalieri della famiglia Varano.

Sulla piazzetta Cavour prospettano quattro insigni edifici: il palazzo detto delle Milizie, fortificato nel XIV secolo e un tempo collegato alla rocca del castello con un camminamento, il palazzo del Podestà, il cui pianoterra veniva utilizzato come mercato coperto, il palazzo Zampini, che ospitava già arredi futuristi di Ivo Pannaggi, unito alla chiesa di Santa Maria, che conserva tracce di affreschi di Diotallevi e la grande tela della Crocifissione dei fratelli De Magistris di Caldarola risalente al 1565.

Ad Esanatoglia i piaceri della tavola non mancano. La maestria delle massaie è la base per preparare a mano la pasta all’uovo, che può essere condita anche con un sugo di gamberi di fiume

Le cotiche con i fagioli sono la specialità locale, accompagnate con il pane abbrustolito, generalmente la crescia di farina di grano o di mais, cotta sotto la cenere, e le patate utilizzate per rassodare il sugo. I legumi secchi sono la materia prima per la zuppa di ceci o fagioli, mentre le favorite, dolcetti secchi a base di anice, concludono il pranzo.

Dirigendosi verso l’entroterra si visita Cingoli dove si viene subito colpiti, appena entrati nel centro storico, dai colori caldi degli intonaci delle facciate che si susseguono lungo l’arteria principale della città.

Cuore di Cingoli è la piazza Vittorio Emanuele II su cui si affacciano il Municipio e la cattedrale. Il palazzo Municipale è costituito da corpi realizzati in epoche successive: la struttura più antica è avvolta dall’edificio in stile rinascimentale voluto nel 1531 dal governatore della città Egidio Canisio da Viterbo, come recita l’iscrizione lungo la cornice del parapetto del secondo piano.

La cattedrale, dedicata a Santa Maria Assunta, sorge sul luogo occupato fino al 1615 dalla piccola chiesa di San Salvatore. L’incapacità della pieve di Santa Maria (oggi San Filippo) ad accogliere un sempre crescente numero di fedeli, spinse le autorità ecclesiastiche ad avviare i lavori per la costruzione di una chiesa più grande, inaugurata nel 1654.

A destra della cattedrale si imbocca via Foltrani, su cui gettano ombra i bei palazzi rinascimentali appartenuti alle famiglie della nobiltà cingolana. Poco oltre, scendendo, si apre sulla destra l’ampio piazzale su cui si affacciano la chiesa di San Domenico e il connesso convento dell’ordine dei Predicatori.

Continuando lungo via Foltrani, appaiono all’improvviso le mura del Monastero Silvestrino di San Benedetto, oltre il quale si svela il cinquecentesco palazzo Puccetti. Costeggiandolo, si scende tra le case rinascimentali lungo via dello Spineto che conduce, nel suo concludersi, fuori delle mura cittadine, dove si trova la chiesa di Santa Caterina D’Alessandria, risalente al secondo decennio del XIII secolo.

Da via dello Spineto ha inizio una stradina dalla quale si ammira il quartiere della Polisena, il più antico della città, con le sue viuzze scoscese selciate a pietre irregolari e le rustiche casupole non intonacate.

A Cingoli è ottimo l’olio extravergine d’oliva che si produce in località Troviggiano, ma il territorio dona anche una buona qualità di sedani, mentre tra i piatti tipici spiccano la parmigiana di cardi, chiamati localmente gobbi, le tagliatelle al sugo di cinghiale e gli gnocchi all’anatra.

Non molto distante, nella provincia di Ancona, si visita Sassoferrato in cui l’icona di San Demetrio si presenta come una raffinata opera d’arte bizantina realizzata verso la fine del XIV secolo.

Un piccolo mosaico su supporto ligneo rivestito in lamina d’argento sbalzata e dorata che fa parte della prestigiosa Raccolta Perottiana di reliquiari bizantini custodita nel Museo Civico.

Il Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, invece, è dedicato all’attività agricola, molto sviluppata in questo angolo di Marche, mentre il Museo della miniera di zolfo e il Parco archeo minerario testimoniano l’attività industriale.

In aggiunta nel Parco Archeologico di Sentinum sono visibili i resti di un edificio termale in località Civita, di una fonderia e di un altro edificio termale in località Santa Lucia, al di fuori della cinta muraria della città romana.

A Sassoferrato, l’ultimo fine settimana di luglio, rivive la battaglia di Sentinum o “delle Nazioni”, che durante la terza guerra sannitica vide i Romani trionfare sui popoli italici coalizzati contro di essi.

A Offagna l’imponente rocca domina un quieto borgo adagiato sui morbidi rilievi dell’entroterra di Ancona, a pochi km dalla riviera del Conero, in una campagna bellissima.

Poco tempo è richiesto alla visita del centro storico di Offagna, ma vale la pena soffermarsi sui particolari, osservare con calma, confrontare l’oggi con le cose di ieri. Ad esempio, nella strada principale del borgo, si ammira la finestra triloba ottocentesca appartenente al vecchio Monte di Pietà: sparito questo, è rimasto un segno della passata bellezza.

Altro segno è la chiesa del Santissimo Sacramento costruita dall’architetto Andrea Vici, approdato a Offagna dopo aver lavorato con il Vanvitelli alla Reggia di Caserta. La chiesa, datata 1787, è un gioiello dello stile neoclassico, apprezzabile per la sua purezza formale e per la sorprendente collocazione all’incrocio tra due strade.

Un’altra notevole opera di Andrea Vici è il monastero di Santa Zita, costruito nel 1767 all’interno delle mura e a dominare la valle, il monastero si presenta come una struttura fortificata ma modesta, in linea con l’austerità che doveva ispirare.

La rocca di Offagna è un caratteristico esempio di architettura militare a cavallo tra Medioevo e Rinascimento. Di forma quadrangolare, poggia su una rupe di tufo e ha la particolarità di un mastio alto cinque piani, intervallato da torri che recintava il borgo.

Restano da vedere due episodi architettonici rilevanti. Villa Montegallo, posta su un colle vista mare, poco fuori dal centro storico, deve il suo ampliamento sempre ad Andrea Vici. L’aspetto scenografico della facciata principale e lo splendido giardino all’italiana sul retro, svelano la sua origine di residenza aristocratica per gli ozi di campagna.

Stessa funzione doveva assolvere villa Malacari, risalente al 1668 e dotata già all’epoca di magazzini, cantina, frantoio, stalle, prefigurando, così, la sua attuale destinazione di azienda vitivinicola.

L’atmosfera già propria delle stradine del centro storico, viene esaltata dalle Feste Medievali, la terza settimana di luglio, con la presenza di personaggi in costume, quali dame, cavalieri, musicanti, giocolieri, menestrelli, mangiafuoco, cartomanti, soldati e popolani, che passano allegri dalla taverna al mercato e si sfidano in armi.

Per un’intera settimana il paese si trasforma con le rievocazioni storiche che lo riportano alle sue radici, con gli spettacoli calibrati sul repertorio medievale, come il teatro di strada, il dramma sacro, i trionfi carnascialeschi e la comparsa in scena di cantastorie, giullari, danzatrici.

Durante questo evento il dolce della Contesa attende i visitatori con la sua antica ricetta che lo vuole accostato al Moretum, vino di more e miele di evidente origine medievale. Altra particolarità gastronomica è la crescia, sorta di piadina cotta sulla brace che si sposa con le foie de campo, un miscuglio di erbe particolari raccolte nei campi intorno al borgo, che vengono bollite, scolate e insaporite in padella con sale, aglio, rosmarino.

Per gli amanti della carne c’è il coniglio in porchetta, con il suo ripieno di cotica di maiale e di carne e il suo profumo di finocchietto selvatico. Ad accompagnare tutto ci pensano il Rosso Conero doc e il Conero docg Riserva Grigiano, i vini di questa terra generosa.

Morro d’Alba presenta un monumento architettonico unico in Europa come il Camminamento di Ronda, detto La Scarpa, lungo 300 metri e che percorre tutta la cinta muraria.

I sotterranei del castello, sede del Museo Utensilia, consentono di conoscere la struttura architettonica profonda del borgo, apprezzare la raccolta ragionata degli strumenti della cultura mezzadrile e vedere la mostra fotografica di Mario Giacomelli.

A questi si aggiunge un monumento importante come la Chiesa di San Gaudenzio, straordinariamente luminosa grazie alla pavimentazione originaria in pietra rosa e bianca e alle paraste dorate che decorano il transetto e le colonne.

Presso il Camminamento “La Scarpa” con un apericena-degustazione si caratterizza un pregevole evento estivo come Concerti al Tramonto. L’altro è Calici di Stelle, il 10 agosto, con musica, spettacoli e degustazioni del vino Lacrima Doc di Morro d’Alba, del Verdicchio e acquisto dei prodotti tipici.

Il terzo weekend di maggio, invece, con Cantamaggio, vengono rievocati gli antichi canti rituali di questua della tradizione popolare, mentre il terzo fine settimana di ottobre ha luogo la Festa del Lacrima di Morro d’Alba e Tartufo di Acqualagna che vede il connubio tra i due prodotti dell’eccellenza enogastronomica essere il motore per l’elaborazione di piatti che coniugano tradizione ed originalità, nello scenario offerto dalle piazze del borgo

Arroccato in posizione strategica tra la Marca di Ancona e lo Stato di Urbino, il borgo di Corinaldo ha il suo simbolo nelle imponenti mura rimaste praticamente intatte dal Quattrocento.

Se ne può percorrere l’intera cerchia, lunga 912 metri, con una suggestiva passeggiata.

La parte più interessante della cerchia muraria è forse quella di porta San Giovanni, in quanto conserva inalterati molti elementi di difesa. L’architettura militare dell’epoca presenta in questo tratto tutto il suo corredo di saettiere, archibugiere, beccatelli, piombatoi e merlature.

Tra le torri, spiccano anche quella dello Scorticatore (dove le mura raggiungono i 15 metri di altezza), quella del Mangano e quella del Calcinaro, che prendono il nome dalla professione che svolgeva chi vi abitava.

Il nucleo urbano del borgo comprende numerosi palazzi gentilizi e notevoli edifici civili e religiosi. Tra gli edifici pubblici, sono da vedere il palazzo Comunale, bell’esempio di architettura neoclassica con il lungo loggiato che dà su via del Corso, l’ex convento degli Agostiniani, costruito nella seconda metà del Settecento e ora utilizzato come albergo e il teatro Comunale intitolato a Carlo Goldoni.

Le chiese rivelano tutta la spiritualità del luogo, rinforzata dalla lunga appartenenza allo Stato Pontificio. La collegiata di San Francesco ha origini antiche, ma si presenta attualmente nelle forme della ricostruzione secentesca.

Il santuario di Santa Maria Goretti, con l’ex monastero ora adibito a pinacoteca civica e Biblioteca comunale, ingloba con fattezze settecentesche l’antica chiesa medievale di San Nicolò. L’interno è un bell’esempio di tarda architettura barocca e custodisce numerose opere d’arte

Corinaldo, inoltre, è famosa nel mondo cattolico per essere la città natale di Maria Goretti, martirizzata a soli 12 anni nel 1902 e canonizzata nel 1950. La città mantiene viva la memoria della santa bambina sia con il Santuario a lei dedicato che, a poca distanza dal centro, con la casa dove è nata la santa. Una testimonianza di fede, ma anche di cultura contadina, con gli arredi originali e gli strumenti del lavoro ai quali nel tempo si sono aggiunte numerose immagini su Maria Goretti.

Il borgo fa parte del Consorzio che si occupa del Parco Archeologico di Suasa, la città romana sorta nel III secolo a. C. nella valle del fiume Cesano su un’antica via di tramite tra la costa adriatica e i valli appenninici. Il Parco si trova a circa 4 km da Corinaldo, in località Pian Volpello e qui gli archeologi hanno trovato una domus della metà del I sec. a. C. da cui sono affiorati pavimenti a mosaico.

Dall’antipasto al dolce, sono molte le specialità marchigiane che attendono di essere gustate nei ristoranti di Corinaldo, all’interno di suggestivi locali medievali o in piacevoli terrazze al sole.

Tra i primi piatti spiccano i passatelli, da provare in brodo o asciutti, i vincisgrassi, gustosa versione locale delle lasagne e la polenta, alla quale Corinaldo ha legato la più famosa delle sue storielle, quella del pozzo. Se tra i secondi c’è un tripudio di carni arrosto, come il coniglio o l’oca al forno, è sui dolci che Corinaldo si distingue.

Solo qui infatti, nel periodo autunnale, si possono trovare le pecorelle, piccoli rettangoli di una sfoglia semplice, fatta di farina, olio, zucchero e vino bianco che racchiudono un ripieno ricchissimo di gusto, con mosto ristretto, pangrattato, noci, buccia d’arancia e cannella. Biscotti della tradizione del periodo natalizio, le pecorelle accompagnavano i giocattoli portati in dono ai bambini dalla Befana per l’Epifania.

Un altro prodotto degno di nota da queste parti è il rinomato Verdicchio dei Castelli di Jesi sulle colline intorno a Corinaldo danno un vino delicato, di colore paglierino tenue, dal sapore asciutto, armonico, ottimo per piatti a base di pesce.

Lentamente si entra nella provincia di Pesaro- Urbino visitando il borgo di Mondolfo un lembo di Marche a balcone sul mare.

Salendo dal litorale, il primo incontro è l’abbazia di San Gervasio, basilica paleocristiana di età barbarica con i pavoni immortali scolpiti sul sarcofago bizantino.

Le chiese di Mondolfo sono un libro aperto di storia dell’arte con le figure di Dio e dei santi. La duplice cortina muraria racchiude in questo borgo fortificato l’impronta rinascimentale e barocca, e dai belvedere lo sguardo contempla il mare, l’Adriatico, oltre il quale c’è Bisanzio, l’origine di tutto.

Il cuore dell’antico castello è la grande piazza centrale dominata dalla residenza municipale, costruita con la torre civica in stile neogotico del 1931, con mattoni recuperati dall’antica sede comunale distrutta dal terremoto dello stesso anno.

Accanto, la parrocchiale di Santa Giustina, già attestata nel 1290, fu ristrutturata ed eletta a collegiata da Papa Urbano VIII nel 1635. L’interno a navata unica è tardo barocco e nell’elegante cantoria posta sopra l’ingresso principale, c’è un organo del 1776 di Gaetano Callido, il massimo esponente della scuola organaria veneta del Settecento.

Dal rinascimentale palazzo Peruzzi si giunge all’ottocentesco varco di Porta Fanestre e quindi alla prima cerchia muraria, di forma ovale e databile al VI secolo nella sua parte più antica, mentre le attuali mura in laterizio sono del XV secolo.

Il bastione di Sant’Anna, costruito nella prima metà del Cinquecento in sostituzione della torre danneggiata nell’assedio del 1517, cessata la funzione militare è diventato un giardino all’italiana scandito dalle geometrie delle aiuole segnate dalle siepi in bosso e dalle rose rosse e gialle

Dal Borgo Ospedaletto, luogo dell’antico spedale per i pellegrini fuori dalle mura, si arriva alla seconda cerchia muraria, eretta nel Duecento e risistemata nel Quattrocento. Porta Santa Maria è il varco da superare per raggiungere il complesso monumentale extraurbano di Sant’Agostino. L’insediamento degli agostiniani risale al 1291, ma la chiesa di Santa Maria del Soccorso si presenta in una veste tardo cinquecentesca con rimaneggiamenti interni del Settecento.

Una breve passeggiata porta da Mondolfo alla millenaria sorgente della Fonte Grande, dove nel 1526 c’era già un lavatoio e nei cui pressi sono stati rinvenuti reperti dell’età del rame. Poco oltre, percorrendo una strada ombreggiata dalle querce, si arriva al santuario della Madonna delle Grotte , eretto nel 1682 dalla confraternita della Misericordia. La chiesa si trova al centro del percorso della Valle dei Tufi che collega Mondolfo con Stacciola e San Costanzo, tra boschi, pinete, panorami, colline ricche di flora e il mare a pochi km.

La duplice anima contadina e marina del territorio si riflette nella cucina. Dal mondo agricolo arrivano ricette con protagonista un legume come la fava, e dall’Adriatico il pesce azzurro, il brodetto e i succulenti garagoj (molluschi).

I sapori sono esaltati dall’olio e dal vino dei colli mondolfesi. Gli spaghetti al sugo rosso di tonno e alici sono l’interpretazione locale del piatto tipico italiano. Da non perdere le pietanze a base di farina di fava come i “tajolini sa la fava”.

Un saliscendi di morbide colline è la via che dal mare porta alla valle del Cesano e al borgo di Mondavio, annunciato da lontano dai campanili di San Francesco e della Collegiata.

Porta San Francesco è l’ingresso principale del borgo. L’ultimo varco rimasto, dei tre che si aprivano sulla cinta muraria, è ricavato nel torrione della Rocca, capolavoro di Mondavio che si integra con il paesaggio circostante.

Voluta da Giovanni della Rovere, fu costruita tra il 1482 e il 1492 dal più grande architetto militare del tempo, il senese Francesco di Giorgio Martini, ed è ritenuta una delle massime espressioni italiane di arte delle fortificazioni.

Il mastio ha dieci facce e ingloba la preesistente torre quadrangolare malatestiana che è stata sopraelevata di tre piani. L’ingresso è al terzo piano, nel quarto, nella sala di rappresentanza, è stato ambientato un banchetto storico, mentre nel quinto e ultimo piano è collocata l’armeria.

Terminata la visita al mastio, un passaggio immette in piazza Della Rovere consentendo la vista del fossato e di altre macchine d’assedio. Sulle mura castellane di nord-ovest, mimetizzato tra gli edifici, si apre l’ingresso del piccolo teatro Apollo in stile liberty, recentemente restaurato riportando gli affreschi che decorano gli interni.

Una costruzione dalle pure linee rinascimentali, palazzo Giorgi Pierfranceschi, mette in collegamento piazza Della Rovere e piazza del Municipio. Su quest’ultima si affacciano la chiesa e il chiostro di San Francesco, le cui vicende si snodano dal 1292 al 1860, anno di soppressione del convento.

Uscendo dalla chiesa a destra s’incontra il chiostro del convento, con diciotto arcate a tutto sesto e basse volte a crociera. Al piano terra ospita il museo civico dove, oltre a tre preziosi incunaboli, sono da vedere un tabernacolo secentesco e, soprattutto, uno splendido ciborio ligneo della stessa epoca, realizzato da Frate Liberale da Macerata in legno di ciliegio e osso.

Dal 13 al 15 agosto la splendida rocca di Mondavio e il centro storico diventano il palcoscenico per la Rievocazione storica della caccia al cinghiale. Una spettacolarizzazione della storia del borgo con gare di tiro con l’arco degli Arcieri Storici di Mondavio, musici e teatranti in costume rinascimentale.

Il centro storico di Pergola è ricco di testimonianze medievali con costruzioni in pietra, portali a sesto acuto e case-torri, a conferma dell’importanza che la città si conquistò nel tempo.

Le numerose chiese, ricche d’arte, hanno attribuito alla Città l’appellativo di “Pergoletta Santa” segno di religiosità e forti tradizioni. La Chiesa gotica di San Giacomo, risalente al XII secolo è una delle più antiche: a piante rettangolare, custodisce al suo interno un interessante crocifisso ligneo dei primi del ‘400.

Non lontano, ecco la Chiesa di San Francesco, fondata dai francescani nel 1255 e trasformata nel secolo successivo, è caratterizzata da un bel portale trecentesco a sesto acuto in pietra arenaria. Magnifico il Duomo, edificato dai monaci agostiniani a partire dal 1258, che riesce a far convivere lo stile romanico-gotico originario della torre campanaria con l’interno tardo barocco e con la facciata neoclassica.

Barocchi anche gli interni di altre tre Chiese: quella dei Re Magi a Santa Maria dell’Assunta, quella di Santa Maria delle Tinte e quella di San Biagio. Non tralasciando la Chiesa di Santa Maria di Piazza, una delle più antiche della città, con affreschi del XV secolo o l’Oratorio dell’Ascensione al Palazzolo, che custodisce affreschi che rappresentano uno dei momenti più alti della pittura a fresco del Quattrocento marchigiano.

In questo percorso religioso è quasi d’obbligo rivolgere il proprio sguardo verso le antiche “porte del morto”. Presenti in molte città medievali dell’Italia centrale, hanno origini antiche, probabilmente risalenti agli etruschi. Porte rialzate rispetto al livello stradale, cui erano collegate con gradini retrattili in legno dai quali partiva una scala interna, ripidissima, fino all’ultimo piano.

Porte così anguste da permettere il passo a una sola persona, che avevano scopo prettamente difensivo, poiché, grazie alla loro conformazione, un solo uomo poteva difendere la propria abitazione dagli assalitori. Successivamente, venuta meno la loro funzione difensiva, venivano utilizzate per far uscire, con i piedi davanti, il defunto dalla propria abitazione, e poi prontamente murate di nuovo.

Pergola è inoltre la città dei Bronzi Dorati, unico esemplare al mondo di gruppo bronzeo dorato d’epoca romana. Le sculture, per imponenza, bellezza e suggestione, non hanno eguali e sono conservate in un museo ricco di singolarità indimenticabili.

Il Museo dei Bronzi Dorati e della Città di Pergola conserva beni preziosi e unici. Il percorso organizzato come una suggestiva passeggiata tra le vie della città, termina con la visione dei “quattro Bronzi più belli del mondo”, ovvero I Bronzi Dorati da Cartoceto di Pergola, l’unico gruppo di bronzo dorato di epoca romana esistente al mondo.

Accanto all’oro della storia, Pergola vanta altri ori nell’enogastronomia. La città è capitale del tartufo, dal nero al bianco pregiato, che cresce tutto l’anno, e organizza una partecipatissima e ricca Fiera Nazionale del tartufo nel mese di ottobre. Pergola è anche terra di ottimi vini, come il Pergola DOC, e del visciolato, prodotto dalla visciola (ciliegia selvatica) fatta fermentare col vino rosso.

Quasi al confine con la Toscana si incontra Mercatello sul Metauro in cui si scopre l’antica pieve di San Pietro d’Ico, poi diventata collegiata dei Santi Pietro e Paolo, l’edifico attorno a cui è nato il borgo.

Le testimonianze della costruzione romanica del X secolo e della ricostruzione gotica del 1363 si leggono solo sulle pareti esterne, mentre la facciata è un rifacimento del 1927 su linee romaniche. L’interno si presenta nelle forme delle radicali ricostruzioni realizzate tra Sei e Settecento, mentre nell’ampia basilica, consacrata nel 1730, spicca la Maria Immacolata dipinta da Raffaellino del Colle, uno degli ultimi allievi di Raffaello Sanzio.

Nell’area presbiteriale della chiesa di San Francesco pende dal soffitto il Crocifisso del 1309 di Giovanni da Rimini, allievo di Giotto, uno dei dieci crocifissi gotici più importanti d’Italia, dove la lezione giottesca si mescola con il decorativismo ravennate.

Negli spazi della sacrestia è ospitato il Museo di San Francesco dove si conservano opere di pittori riminesi del Trecento e scuole locali attive fino al Quattrocento, dall’epoca rinascimentale alla stagione della controriforma e al manierismo.

Il nucleo medievale conserva costruzioni due-trecentesche, che in alcuni casi mostrano le caratteristiche porte del morto, smurate solo per il breve periodo necessario all’uscita di un defunto. Nell’edilizia civile, invece, si distinguono il Monte di Pietà fondato nel 1516, con il suo arredo interno originario del Cinquecento, il seicentesco palazzo Gasparini e il municipio di fine Ottocento.

Il prodotto tipico della zona sono i “tacconi”, simili alle tagliatelle, una pasta fatta mano con uova, farina di grano e farina di fave. Luglio è il mese in cui si svolge “Il Palio del Somaro”, gara di abilità sui simpatici asinelli che coinvolge tutto il paese in una divertente sfida tra cantoni.

Da Giugno a Ottobre, invece, si svolge il festival “Musica e Musica”, un contenitore di peculiarità musicali che spaziano su vari generi, nelle splendide cornici del centro storico e della Chiesa di San Francesco.

Solitario castello di confine dei duchi di Montefeltro, a cui fu sempre fedele nella contesa con i Malatesta, Frontino guarda la valle del fiume Mutino, le cui pietre lastricano le sue vie.

Con queste stesse pietre è stato edificato il minuscolo borgo che è il più piccolo comune della provincia di Pesaro e Urbino, ma ricco di architetture rurali e di opere d’arte. Il castello che ha respinto i Malatesta e vinto l’assalto di Giovanni delle Bande Nere è arroccato su uno sperone. Alte mura, torri, stradine e piazzette lastricate di ciottoli accolgono chiunque visiti questa graziosa località.

A Frontino la realtà diventa quasi fantastica, richiamando immagini di Medioevo nella torre civica, sentinella del palazzo comunale, nel torrione che presidia le mura castellane, nel nobile e quattrocentesco palazzo Vandini che, in realtà, indossa lo stile dell’Umanesimo e del Rinascimento.

Il convento di Monte Fiorentino risale per tradizione al suo fondatore San Francesco ed è uno dei conventi più grandi delle Marche, con ampi spazi interni e un grande parco. La sua struttura, posta su un verde poggio, ha subito nei corsi dei secoli restauri e ampliamenti, specialmente nel Seicento.

Il monastero di San Girolamo fu eretto nel 1500 da don Ghisello, appartenente all’illustre famiglia Vandini, per concessione del vescovo di Montefeltro Luca Melini e con il sostegno dei duchi di Urbino. Luogo suggestivo, circondato da querce secolari, il monastero è stato recentemente restaurato dal Comune, che ne è proprietario e l’ha adibito a turismo, con alloggi, ristorazione e sale convegni.

Frontino appartiene alla Comunità Montana del Montefeltro e all’area del Parco naturale del Sasso Simone e Simoncello. Protetto alle spalle dal monte Carpegna, il borgo gode di scorci panoramici e della vista su un orizzonte senza fine, che comprende i monti della Luna, del Nerone, dello Strega e del San Vicino.

Le campagne, contraddistinte da ripidi pendii e massi di calcare, danno cereali, farine e carni genuine, erbe aromatiche e officinali, frutti di antiche specie. Le vecchie strutture rurali sono oggi in gran parte adibite a dimore ricettive, idonee ad accogliere turisti.

Dai boschi viene il tartufo nero a cui è dedicata una sagra il primo fine settimana di agosto. La Sagra del Fagiolo, invece ha luogo la prima domenica di settembre, mentre tra le specialità locali spicca il bustrengo, un dolce a base di uova e latte

Porta dell’aspro Montefeltro orientale, l’abitato di Macerata Feltria, è diviso in due parti.

In alto, il nucleo alto-medievale del castello, di origine longobarda; in basso, la parte tardo-medioevale e rinascimentale, chiamata “borgo” o “Mercatale”, perché il suo ampliamento nel Cinquecento avvenne sull’area del vecchio mercato.

Il borgo offre subito le sue bellezze tra cui il settecentesco teatro dei Condòmini, che dell’edificio originario conserva la sola facciata, il palazzo Antimi Clari con annessa cappella gentilizia, e il palazzo Gentili Belli collegato alla grande filanda, bell’esempio di archeologia industriale ottocentesca.

Nella zona circostante sorgono il mulino delle Monache, di origine cinquecentesca, originariamente appartenuto alle Clarisse, e un casino rurale. Tutta l’area rispondeva alle esigenze dello sviluppo agrario e industriale del Montefeltro nel XIX secolo.

Risalendo il corso Battelli fino all’inizio di via Antimi si arriva alla chiesa di Santa Chiara, un tempo parte di un ricco convento fondato alla fine del Cinquecento, e oggi interessante anche per il Museo di Archeologia Industriale.

Allestito nei sotterranei della chiesa di Santa Chiara, presenta una serie di attrezzature perfettamente funzionanti che provengono da alcune officine meccaniche dei primi anni dell’Ottocento. Per salire al castello, si percorre in automobile la via Europa oppure si ritorna a piedi in via Antimi fino all’incrocio con corso Battelli e s’imbocca la ripida via Gaboardi fino alla Porta del Borgo di Fuori.

Lungo il percorso si incontra la chiesa di San Francesco, di origine trecentesca come il suo bel portale e ciò che rimane dell’antico convento, all’interno del quale è stato ricavato lo spazio per il Museo della Radio d’Epoca.

Collocato nel salone dell’ex convento di San Francesco, è frutto della donazione del collezionista Carlo Chiuselli. Comprende un centinaio di radio prodotte in Italia, Germania, Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti tra gli anni Venti e Sessanta, restaurate e perfettamente funzionanti.

Una menzione importante merita l’area archeologica di Pitinum, oggetto di campagne di scavo nel 1990-97 che hanno rivelato una necropoli medievale e un’area di edificazione romana del periodo repubblicano.

Al centro dell’area si trova la romanica pieve di San Cassiano, risalente al XI secolo, con impianto basilicale a tre navate, che custodisce una notevole statua marmorea di San Sebastiano del XV secolo e numerosi frammenti architettonici alto-medioevali nella muratura interna e esterna

Della necropoli medievale restano alcune tombe visibili nel muro nord della pieve, mentre altre sei sono state ricostruite fedelmente nel museo civico. Al limite sud dell’impianto urbano della città romana è emerso un edificio con caratteristiche termali. Recenti scavi hanno portato alla luce ulteriori tratti del decumano e un agglomerato di fabbricati residenziali del periodo repubblicano.

A Macerata Feltria la filosofia è quella del kilometro zero e vale per le carni di razza marchigiana, romagnola e chianina; per i formaggi e i salumi, tra i quali la porchetta marchigiana; per i prodotti del bosco come funghi e tartufi; per le coltivazioni di zafferano e per i vini.

Da queste parti la specialità è la torta con uva secca e noci, considerata un tempo il pane dei poveri perché fatta con ingredienti che i contadini avevano sempre in casa: noci, uvetta, zucchero, farina e olio.

Restando nello storico territorio del Montefeltro, nella valle del fiume Conca, al confine tra Marche e Romagna, c’è un piccolo borgo di strade strette come Monte Grimano Terme .

Dall’impianto urbano a chiocciola, il centro storico è stretto tra un dirupo di quasi trecento metri sopra la vallata, e l’antico castello, di cui rimane la torre civica. Alta 18 metri, questa torre risalente alla prima metà del Quattrocento, è il monumento simbolo di Monte Grimano.

All’inizio dell’abitato si erge la dimora secentesca della famiglia Massaioli, oggi palazzo Comunale. A metà tra residenza nobiliare e villa di campagna, mantiene la scalinata d’accesso al primo piano, il camino e, nel seminterrato, strutture a volta e il pozzo-neviera degli antichi proprietari.

Il “salotto buono” del borgo è piazza Garibaldi, che registra la presenza centrale e isolata della torre civica dopo l’eliminazione ottocentesca di case e manufatti fatiscenti. Non è circondata da palazzi incongrui per stile e altezza e, pertanto, è utilizzata per manifestazioni culturali e musicali, grazie anche all’ottima acustica.

La torre Civica non ospita solo mostre ma anche tre sale di lettura che rappresentano il cuore del progetto “LiberaLibri” e si aggiungono agli altri venti punti di book-crossing (letteralmente “far viaggiare un libro”) sparsi sul territorio comunale sotto forma di casette di legno o collocati presso gli esercizi commerciali.

Le Terme di Monte Grimano, che fanno parte del Centro Salute Erbavita, sfruttano acque alcaline, salsobromoiodiche e sulfuree conosciute già nel medioevo e provenienti dalle pendici del monte San Paolo. Questa altura di 900 metri, in parte inserita nel Parco Simone e Simoncello del Monte Carpegna, è ricca di boschi e di pascoli, e offre un panorama su tutta la costa adriatica da Cesenatico a Pesaro e sulla catena degli Appennini.

A Monte Grimano Terme si producono e vendono le carni di razza marchigiana, si coltiva il pregiato tartufo nero e non mancano vino e olio biologici. La specialità del borgo, infatti, è rappresentata dalle tagliatelle al tartufo, realizzate con tartufi coltivati in loco. Anche i secondi piatti a base di carne sono apprezzabili perché la materia prima proviene dalle aziende locali.

Montefabbri, frazione di Vallefoglia è un borgo che lascia di stucco.

Non solo perché bello, ma letteralmente perché nella pieve custodisce le scagliole, cioè le decorazioni in stucco più antiche delle Marche.

La vera sorpresa del borgo, infatti è la pieve di San Gaudenzio, sorta probabilmente tra VII e VIII secolo e dedicata al primo vescovo di Rimini martirizzato nel 360 circa. La chiesa è ricca di marmi, ha una cripta del XII secolo dove sono custodite le spoglie di Santa Marcellina e una quattrocentesca torre campanaria alta 25 metri.

La Torre ha anche una particolarità: quattro campane con le note sol, la, si re. Un suono meraviglioso, al quale non può contribuire la prima campana, custodita in parrocchia per il suo eccessivo peso.

Le colline intorno a Montefabbri offrono la possibilità di passeggiate tra querce dorate e leggere foschie in autunno, l’aria frizzante dell’inverno, quando è bello stare al riparo al fuoco del camino, e l’incredibile profusione floreale della primavera, che porta ginestre, papaveri, margherite, narcisi.

Il territorio offre un ottimo olio extravergine di oliva ed è ricco di vigneti da cui si ricava una doc interessante, quella dei Colli Pesaresi, da vitigni Sangiovese e Montepulciano, mentre il prodotto tipico del luogo è la crescia, una sorta di panettone salato a base di formaggio pecorino, che si accompagna con salumi locali, uova sode e vino dei Colli Pesaresi.

Il tour tra i borghi marchigiani si chiude in un luogo incantevole. Un borgo che ha raccontato una storia resa ancora più affascinante dal Sommo Poeta. Ed ecco Gradara.

Oggi vuole celebrare il mito di Francesca come eroina dell’emancipazione femminile, simbolo della passione che tutto vince, icona per eccellenza del bacio, della poesia, della bellezza e dell’amore eterno dedicandole manifestazioni, mostre ed eventi di grande rilievo culturale.

Sono tanti gli appuntamenti, ma sicuramente tra questi spiccano manifestazioni che caratterizzano più di altri il calendario turistico/culturale. A febbraio ci si può immergere nelle atmosfere romantiche di Gradara d’Amare, un’occasione speciale dedicata a tutti gli innamorati per celebrare i loro sentimenti.

L’evento da non perdere è Assedio al Castello, ovvero la rievocazione storica che si tiene a luglio del terribile assedio del 1446 quando le famiglie Sforza e Montefeltro mossero guerra alla famiglia Malatesta

The Magic Castle Gradara, ad Agosto, è sicuramente un evento ideale per farsi trasportare dentro un meraviglioso racconto e dove ritrovare un luogo magico, tra personaggi fantastici e storie coinvolgenti con serate dedicate all’immaginazione ed allo stupore

Il calendario annuale si chiude con Castello di Natale, ovvero la magia del Natale che illumina l’incantevole castello di Gradara. Dalla nobile accoglienza preparata da dame e cavalieri del presepe vivente rinascimentale ai concerti di musica antica, dai canti natalizi alle soavi movenze delle danze medievali.

Ma Gradara è anche il suo antico borgo racchiuso da una cinta muraria lunga circa 700 metri e intercalata da 14 torri quadrate, merlate e a gola interna. Il suggestivo percorso denominato Camminamenti di Ronda costituisce oggi una delle principali attrattive turistiche per ammirare l’esterno della Rocca in tutto il suo splendore, godere il panorama delle dolci colline marchigiane e nello stesso tempo perdersi oltre l’orizzonte del mare Adriatico.

All’ombra della suggestiva Rocca di Gradara si è sviluppato nei secoli anche un patrimonio naturalistico di sorprendente ricchezza che attende solo di essere esplorato. Il Bosco di Paolo e Francesca rappresenta oggi un habitat notevole in quanto ospita numerose varietà botaniche forestali e vicino si trova il Teatro dell’Aria, un parco di educazione ambientale interamente dedicato all’antica arte della falconeria.

Sul territorio di Gradara si trova il progetto “Oltre le mura” un percorso museale a cielo aperto di Street Art finalizzato alla creazione di opere d’arte contemporanea e riqualificare così alcuni spazi urbani.

Il soggetto delle opere è Francesca da Rimini rivisitata in chiave moderna dalla peccatrice dantesca a donna/angelo fino a diventare simbolo di libertà individuale e del diritto irrinunciabile delle donne di scegliere senza costrizioni chi amare, moderna icona della parità di genere e della libera scelta.

Varcata la porta d’accesso con l’imponente Torre dell’Orologio ci si può perdere tra i vicoli del paese curiosando tra le tante botteghe d’artigianato alla ricerca di oggetti unici ed esclusivi, oppure ci si può sedere in una delle tante tradizionali osterie per degustare i prodotti tipici di un territorio ricco di profumi e sapori

Specialità tipica di Gradara sono i “Tagliolini con la Bomba”, un piatto della tradizione contadina con un nome curioso che deriva dalla modalità di preparazione. Ad iniziare da un soffritto di olio cipolla e lardo (o pancetta grassa) che nel frattempo vede cuocere dei tagliolini in acqua e sale.

Una volta scolata l’acqua in eccesso, si lascia comunque il piatto un po’ brodoso e si versa nella pentola il lardo e la cipolla soffritti, aggiungendo del pepe. L’effetto dell’olio caldo versato nell’acqua provoca una grande quantità di vapore, e per questo motivo sono chiamati Tagliolini con la Bomba.

Le tipiche trattorie e i ristoranti di Gradara offrono un’ottima cucina marchigiano-romagnola, dove è possibile gustare piatti di entrambe le tradizioni gastronomiche. Le piccole dimensioni, quasi sempre familiari, delle osterie garantiscono una cucina rigorosamente casalinga e sana.

Le ottime carni che provengono dall’entroterra marchigiano, i vini di ottima qualità, l’olio dei numerosi frantoi presenti nella zona e le sapienti mani delle donne e degli uomini in cucina rendono piacevole anche per il palato la permanenza a Gradara.

Amor piada è la piada marchignola da assaporare passeggiando tra le vie del borgo di Gradara, frutto della passione e della tradizione del territorio mostra un “cuore antico” per la sua forma romantica realizzata con pregiate farine prodotte in queste terre di confine.

Alessandro Campa

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