I borghi più belli d’Italia: Piemonte
Tesori nascosti dal fascino sorprendente
Le tracce sabaude sparse nella regione, le piccole località dal fascino sorprendente. Il Piemonte stupisce sempre con la sua elegante e raffinata bellezza e con dei piccoli tesori nascosti all’interno del suo territorio.
A partire da nord, quasi al confine con la Lombardia, a poca distanza dal Lago Maggiore ecco Vogogna.
Circondato da fortificazioni militari, questo borgo un tempo florido sull’antica strada del Sempione, conserva angoli e scorci suggestivi e l’inaspettato vigore di un Medioevo sulle cui strade è bello camminare.
Qui ogni cosa richiama uno splendido passato con profondità da favola, come la rocca che sembra nata da nuda roccia. Le antiche ombre evocate ricompongono, oggi, il quadro di un paese che vuole vivere nel futuro e nel castello ha allestito un centro multimediale di portata nazionale.
Il Castello Visconteo, con la sua torre rotonda, domina Vogogna dalla metà del XIV secolo. Fu edificato nel 1348 da Giovanni Visconti, Vescovo di Novara oltre che signore ed Arcivescovo di Milano.
Il castello venne progettato allo scopo di difendere tanto il piccolo centro di Vogogna quanto l’intera valle e, con le sue torri e le caratteristiche mura merlate, ha saputo conservare nel tempo la sua possente maestosità medioevale.
Vogogna un tempo era l’antica capitale dell’Ossola Inferiore e la visita a questo affascinante borgo inizia poco fuori del centro storico, dall’Oratorio di San Pietro, la prima parrocchiale, di probabile origine longobarda, che custodisce preziosi affreschi quattrocenteschi.
Superato un ponticello, si entra nel cuore del borgo, un tempo interamente murato. Sulla sinistra appare il torrione del castello mentre percorrendo la strada principale sulla quale nel Medioevo si affacciavano le botteghe, si arriva al Pretorio, un palazzetto gotico sostenuto da archi acuti poggianti su tozze colonne, edificato nel 1348 e, fino al 1819, sede del governo dell’Ossola Inferiore.
Intorno al Pretorio si trovano le dimore più signorili, come Villa Biraghi Lossetti a fianco della chiesetta di Santa Marta.
Scendendo poi nell’antica piazza Camillo, già al di fuori della cinta muraria, sulla destra si nota il retro di Casa Marchesa, la più antica abitazione nobiliare nel borgo
Il percorso continua sulla destra lungo ciò che rimane delle antiche mura (via Sotto le Mura). Da qui si risale sul terrapieno dei contrafforti in via Sopra le Mura per ammirare l’angolo inferiore del borgo, chiamato in dialetto “Cantun Suta”.
Un buio passaggio arcuato porta al settecentesco Palazzo dell’Insinuazione, da dove si raggiunge la suggestiva Piazzetta del Pozzo. Poi si risale in via Roma per imboccare, sulla sinistra, il viottolo che conduce nell’altra parte del borgo, il “Cantun Sura”, le cui case addossate le une alle altre sembrano stringersi intorno al castello.
Vogogna è sede del Parco Nazionale della Valgrande, la zona selvaggia più estesa d’Italia con 15 mila ettari di superficie e 13 comuni coinvolti. Uno splendido paesaggio verticale di montagna che culmina nel Monte Rosa (4637 m.) e fa da corona al Parco e alla Val d’Ossola.
Ad aprile, a Vogogna, ha luogo Il Borgo tra Arte e Sapori, una rassegna enogastronomia lungo le vie della vecchia cittadina. Tra i prodotti alimentari caratteristici della Val d’Ossola, degni di nota sono i formaggi e i salumi, mentre gnocchi all’ossolana rappresentano il piatto più noto della cucina locale. Si ricavano da un impasto di farina di castagne, zucca e passata di patate lesse, e si condiscono con burro fuso e formaggio.
Proseguendo verso sud, nel territorio di Novara, si arriva in una splendida località come Orta San Giulio
I tetti d’ardesia delle case, i giochi d’ombra e i silenzi dei vicoli, lo spazio domestico e misterioso del Sacro Monte simile a un minuscolo paese di balocchi. Sono tutti piccoli dettagli che descrivono questo incantevole borgo.
Qui gli stili architettonici si mescolano, dal romanico al barocco, senza note stonate. Sono queste suggestioni a fare la bellezza dell’antico rifugio longobardo, in cui si viene accolti tra eleganti palazzi sei-settecenteschi coi loggiati aperti sui giardini digradanti a lago.
Piazza Motta è un salotto chiuso su tre lati dai portici, all’ombra dei quali prosperano i negozietti mentre le terrazze dei caffè si spingono con i tavolini a lambire l’acqua. Una tappa da non perdere, qui, è l’Isola di San Giulio, che sorge a 400 metri dalla riva.
Lo sguardo viene subito catturato dalle linee nette di una costruzione rinascimentale, il Palazzo della Comunità della Riviera, simbolo del lungo autogoverno che caratterizzò questa comunità. La salita della Motta ha sul lato destro la quattrocentesca Casa detta dei Nani perché sopra l’architrave di legno si trovano quattro piccole finestre, mentre sulla sinistra il Palazzo De Fortis Penotti dalla bella facciata neoclassica e Palazzo Gemelli, tardo rinascimentale.
Costeggiando le mura di palazzo Gemelli ci si avvia lungo la salita che porta al cimitero di San Quirico e poi al Sacro Monte.
I Sacri Monti sono percorsi devozionali costituiti da una serie di cappelle entro le quali vengono presentate storie di Cristo, della Madonna e dei Santi.
Quello di Orta, dedicato a San Francesco, fu eretto su progetto del padre cappuccino Cleto da Castelletto Ticino a partire dal 1590. Raccoglie nelle 21 cappelle, collegate tra loro da silenziosi sentieri nel bosco, circa 900 affreschi e 376 sculture in terracotta. Le opere furono realizzate fino al 1785 da importanti artisti, per lo più in forme rinascimentali e barocche.
La prima domenica di luglio si svolge Ad Altiora, una camminata che dal Sacro Monte di Orta conduce al Monte Mesma, mentre il primo sabato di giugno è tempo di Peregrinatio, un’altra camminata sui sentieri degli antichi pellegrini dal Sacro Monte di Orta al Sacro Monte di Varallo.
Nella provincia di Biella segue Ricetto di Candelo.
Il Ricetto è un capolavoro di libertà, una fortificazione per la difesa del popolo e non per la sua oppressione.
Ricetto vuol dire “rifugio”, per le povere masserizie delle famiglie, per le loro granaglie, per le botti del loro vinello, un po’ aspro ma saporito. Fortificazione collettiva sorta per iniziativa della popolazione di Candelo negli anni a cavallo tra XIII e XIV secolo, questo ricetto è il più intatto di tutti quelli del Piemonte e rappresenta la memoria del territorio.
La gente di Candelo lo utilizzava come deposito per i prodotti agricoli in tempo di pace e come rifugio in tempo di guerra o di pericolo. Grazie alla sua matrice contadina, infatti, si è conservato fino a pochi anni fa nelle “cellule” in cui si faceva il vino e si mettevano al sicuro i prodotti della terra.
Il ricetto è a pianta pentagonale, ha un perimetro di circa 470 metri e una superficie di 13 mila mq, è largo 110 metri e lungo 120. La cinta muraria ne segue tutto il perimetro ad eccezione del lato sud, ora occupato dal Palazzo Comunale, in stile neoclassico, costruito nel 1819 in contrasto con l’architettura medievale.
L’unica via d’accesso era protetta, a sud, da una poderosa torre-porta, mentre al centro del lato nord, tra due torri angolari rotonde, si trova ancora la torre di cortina, costruita quasi interamente con grandi massi squadrati.
Varcata la torre-porta, ci si trova in una piazzetta pavimentata con le pietre tondeggianti del vicino torrente.
La costruzione più imponente è il Palazzo del Principe, fatto edificare da Sebastiano Ferrero nel 1496, quando diventò feudatario di Candelo.
Gli edifici, costituiti da una serie di singole cellule edilizie non comunicanti, sono accorpati in nove isolati. Il vano a pianoterra (caneva) è una cantina con pavimento in terra battuta, destinata al vino e alle operazioni connesse, cui si accede dalla strada attraverso un portale.
Il piano superiore (solarium) è un ambiente secco ed asciutto, ideale per la conservazione delle granaglie, e vi si accede direttamente dalla strada tramite la lobbia, una balconata di legno che poggia sulle travi di separazione tra caneva e solarium.
Dal ricetto, scendendo lungo il tratto erboso a sinistra della torre di sud-ovest, si raggiunge la Chiesa di Santa Maria attraverso un viottolo che costeggia la roggia Marchesa, il canale che dal 1561 offre acqua alle campagne circostanti e alle risaie del Vercellese. La chiesa, variamente rimaneggiata, è menzionata per la prima volta nel 1182 e conserva una bella facciata romanica costruita con pietre di torrente disposte a spina di pesce.
Oltre al Ricetto, il territorio del Comune di Candelo ospita un esemplare unico a livello naturalistico, la Riserva naturale della Baraggia, un parco dall’aspetto simile a una savana. La vegetazione si accende del giallo delle ginestre in primavera, del rosa violetto del brugo a fine estate e dei caldi toni della felce in autunno.
Alla Baraggia si arriva attraverso i declivi erbosi dove, tra acacie e ontani, sorgeva Ysangarda, luogo mitico e insieme reale che aveva il significato di “spazio sacro”, oltre che riferirsi a un nome femminile di alto lignaggio.
L’Amministrazione ha creato un suggestivo percorso intitolato Dal ricetto alla Baraggia: lungo la strada della dama Ysangarda.
All’interno del Ricetto è presente l’Ecomuseo della vitivinicoltura, dove sono allestite alcune cellule che illustrano la storia dell’economia e della cultura enologica del territorio. Da qui parte un itinerario verso l’Eco-Vigneto, laboratorio didattico sugli antichi metodi di coltura della vite con vitigni tipici e rari, oltre ad un percorso alla scoperta di antiche trattorie e osterie. All’interno del borgo, le cellule sono anche sede di artisti che vi hanno stabilito il loro atelier di pittura, strumenti musicali, artigianato del legno, della ceramica e del vetro.
Allo sbocciare della primavera, il Ricetto si veste di nuovi colori con Candelo in Fiore. Tra le stradine e gli angoli fioriti hanno luogo mostre, musica e spettacoli. A cadenza biennale, in alternanza con Ricetto in Fiore, invece, ecco Sapor di medioevo, rievocazione medievale, mostre ed eventi a tema, e stand enogastronomici con prodotti tipici.
Il primo fine settimana di ottobre Vinincontro presenta una degustazione di vini, salumi e formaggi accompagnata da musica popolare. Qui l’eccellenza è rappresentata dalla paletta candelese, un salume costituito dalla scapola di suino sgrassata e refilata, salata e massaggiata manualmente e prodotta secondo tradizione in limitate quantità.
Famoso per la sua robiola, Cocconato
Nella provincia di Alessandria, offre formaggi locali a Cocco…Cheese a metà maggio, mentre ai suoi vini dedica la Camminata enogastronomica del primo fine settimana di giugno: sette tappe e sette vigne, con degustazioni e una passeggiata di 15 chilometri tra le colline.
Gli abitanti di Cocconato, nel Medioevo, Caricando botti d’acqua sui dorsi degli asini, spensero l’incendio divampato nel castello. Per ricordare l’episodio, dal 1970, il Palio degli Asini è l’evento principale del paese. L’ultima domenica di settembre, ogni borgo allestisce il proprio corteo e prepara la squadra di corridori con l’asino che ne difenderà i colori.
Dall’8 dicembre al 12 gennaio Cocconato diventa il Borgo dei Presepi, perché non c’è casa, bottega, chiesa che non ne esponga uno. Un percorso di oltre un chilometro indicato da stelle comete guida alla scoperta del centinaio di piccole opere d’arte dislocate in ogni angolo del paese.
Oltre a vivere i piaceri che regala questo borgo, a Cocconato si visitano anche importanti edifici.
Uno di questi è la chiesa della Santissima Trinità, edificata nel 1617 per voto della popolazione contro la peste. Il porticato laterale, la sacrestia e l’attuale facciata sono della seconda metà del Settecento, mentre è databile alla seconda metà del Seicento l’altare maggiore in legno scolpito e dorato.
Il Palazzo Comunale è frutto della ricostruzione quattrocentesca di parte del castello, di cui rappresenta la diramazione meridionale, ed è uno dei rari esempi in Piemonte di edifici civili in stile gotico, con eleganti finestre contornate da formelle decorate in cotto e le arcate a sesto acuto del porticato.
A navata unica con tre altari minori per lato, la chiesa parrocchiale di Santa Maria della Consolazione è del 1669, con ampliamento ottocentesco. Tra le varie pale d’altare si ricordano quella di Ognissanti, di scuola genovese e quella dell’Angelo Custode, del pittore torinese Giovanni Francesco Sacchetti
A poca distanza Cella Monte dove, passeggiando per il borgo, può capitare di vedere una conchiglia prigioniera in un muro.
Milioni di anni fa qui c’era il mare e le colline del Monferrato erano i suoi arcipelaghi. Quando l’acqua si è ritirata ha lasciato l’arenaria marittima, testimonianza visiva dell’evoluzione del pianeta.
Le tracce della storia sono visibili nelle case del borgo in cui l’arenaria tiene prigionieri i fossili, oppure nei palazzi nobili, come la dimora di Pietro Secondo Radicati, vescovo di Casale Monferrato. Il più sorprendente di tutti è Palazzo Volta, oggi sede dell’Ecomuseo della Pietra da Cantoni, il cui recente restauro ha portato alla luce uno straordinario loggiato del ‘400.
Sui muri delle case si indovinano i segni delle onde, mentre sottoterra si aprono gli Infernot, una struttura unica nella zona.
Una cella sotterranea, interamente scavata nell’arenaria e solitamente attigua alla cantina, in cui la temperatura e l’umidità costante, l’assenza di luce, di spifferi di aria e di rumore offrono le condizioni ottimali per la conservazione delle bottiglie di vino più pregiate.
Cella Monte si trova tra le dolci colline del Monferrato Casalese, terra di vigneti e di produzione di vini apprezzati come il Grignolino, la Barbera, la Freisa. In alcune aziende vitivinicole del paese è possibile abbinare la degustazione dei vini alla visita della cantina e dei loro infernot.
Nel primo week end di novembre la Sagra Regionale del Tartufo Bianco in Valle Ghenza, promuove il profumatissimo fungo ipogeo, principe della cucina autunnale e raccolto nei terreni della valle su cui Cella Monte si affaccia. Altri piatti locali tipici sono gli Agnolotti, il Fritto Misto alla piemontese e la Bagna Cauda, intingolo con olio, aglio e acciughe.
Nel mese di maggio l’evento primaverile Le Colline sono in Fiore propone un’originale sfida tra residenti che allestiscono addobbi floreali esposte nella via centrale. Il tema ispiratore varia ogni anno. Per gli appassionati di rose è a disposizione una mappa che accompagna alla scoperta degli esemplari messi a dimora nei punti più caratteristici del paese.
“L’anello di Cella Monte”, “Dipinti, rose e vigne” e“Vigneti e infernot” , invece, sono tre sentieri percorribili a piedi, in bicicletta e a cavallo che consentono ai visitatori di scoprire i colori dei vigneti, le fioriture del borgo e i mirabili panorami.
Si prosegue per Volpedo un paese che a prima vista sembra poco compatto nella sua struttura urbanistica d’impronta medievale, ma ancora chiaramente visibile.
Un paese di campagna, di chiara vocazione agricola, che non ha mai agito in funzione di una sua valorizzazione turistica, se non negli ultimi tempi. Il borgo è la patria di uno dei più grandi pittori italiani tra Otto e Novecento, Pellizza da Volpedo, un motivo che ha spinto l’amministrazione a giocare questa carta per recuperare le memorie legate al paesaggio, all’arte, alla storia.
Volpedo diventa così un luogo dal fascino rurale, magari poco appariscente, ma testimone di un’epoca, l’Ottocento, poco rappresentata nelle tipologie di bellezza, che sono perlopiù di matrice medievale, oppure rinascimentale o barocca.
A Volpedo, la fisionomia ottocentesca è ben riconoscibile e permette di seguire un itinerario tra arte e paesaggio sui luoghi pellizziani. Si parte dunque dallo Studio fatto costruire da Pellizza nel 1888, dopo aver deciso di vivere e operare nel paese natale, pur restando in contatto con le grandi correnti artistiche internazionali.
L’atelier, che era per l’artista luogo di lavoro ma anche di studio e di incontro con gli amici, è aperto al pubblico e si presenta come un contenitore prezioso delle memorie di Pellizza. I luoghi del pittore rivivono attraverso le riproduzioni in grande formato di opere disseminate nel borgo e collocate in punti selezionati, a diretto confronto con gli scorci di paesaggio che le hanno ispirate.
In questo museo all’aria aperta, il continuo paragone tra passato e presente sollecita il ricorso alla potenza dell’arte, che si manifesta via via lungo il percorso.
Di fronte alla casa natale di Pellizza, adiacente allo studio, si apre lo slargo riprodotto nell’olio” La strada per Casalnoceto “(1890-91). Più avanti, nel cortile di casa Pellizza, si scorge lo scenario in cui è ambientata la prima tela divisionista “Sul fienile” (1896).
Proseguendo verso il cuore del paese, si contorna l’ottocentesco Palazzo Comunale e si entra nella piazza principale. La stretta via della Chiesa, incastonata nel cuore dell’antico castrum, conduce alla piazzetta, oggi chiamata Quarto Stato, in cui Pellizza realizzò, dal 1892 al 1901, le sue grandi opere sociali utilizzando i contadini come modelli dal vero: “Ambasciatori della fame”, “Fiumana”, “Il cammino dei lavoratori” e, infine, “Il Quarto Stato”.
Riprendendo a ritroso via Cavour, si passa davanti alla sede della ex Società operaia di mutuo soccorso del 1896), di cui Pellizza promosse la costruzione, e si arriva alla millenaria Pieve, gioiello romanico della val Curone. La chiesa campestre, già citata nel 965 e ricostruita nel XV secolo, presenta una facciata di assoluta semplicità e custodisce all’interno pregevoli affreschi quattrocenteschi.
Ma oltre alle opere d’arte, qui, viene soddisfatto anche il palato. A partire da pesche e fragole con i loro derivati, tra cui marmellate e pesche sciroppate. Poi uva, ciliegie e albicocche. Tra i piatti del borgo spiccano gnocchi di patate quarantine con tartufo e la bavarese alle pesche gialle su salsa di fragole di Volpedo.
E si arriva a Garbagna in un angolo nascosto e poco conosciuto del Piemonte , la Val Grue, al confine con la Liguria.
Un piccolo borgo di origine medievale dalla forte impronta ligure, il cui cuore è la rinascimentale Piazza Doria, occupata al centro da quattro grandi ippocastani piantati nel 1853, che le donano un’aria francese. Sulla piazza si affacciano il palazzo Doria e l’oratorio di San Rocco. Quest’ultimo fu costruito intorno al 1580, a seguito della grande epidemia di peste e presenta una splendida facciata affrescata da Giovan Battista Carlone.
Il 16 agosto si celebra la festa di San Rocco, con la tradizionale processione notturna e l’incanto di torte, donate dai fedeli, mentre la rinascimentale Piazza Doria, a giugno, ospita uno degli appuntamenti da non perdere nel territorio tortonese, la Sagra della Ciliegia di Garbagna
La Chiesa di San Giovanni Battista Decollato, santo patrono del paese, venne edificata dal 1714 ed è a pianta ottagonale. Ogni anno alla festa patronale, l’ultima domenica del mese d’agosto, si tiene un concerto con organisti di fama internazionale.
Il Castello, situato sopra l’attuale centro abitato, è perfetto per una passeggiata e come punto panoramico.
Un complesso medievale, edificato nel IX secolo, di cui sono ancora evidenti la torre di avvistamento, la porta d’ingresso e la cinta muraria.
Da Garbagna, con una bella passeggiata nel bosco, lunga circa due km, si raggiunge il Santuario trecentesco della Madonna del Lago. La leggenda narra che la Madonna apparve ad una pastorella muta e la miracolò con il dono della parola. Ogni venerdì di maggio, mese mariano, qui si celebrano le sante messe.
La Torta di riso è il piatto del borgo, una torta salata che le famiglie garbagnole usano cucinare il terzo venerdì di maggio, per festeggiare la Madonna del Lago. Gli ingredienti sono semplici: sfoglia fatta in casa, latte e, ovviamente, riso, da cuocere nel forno a legna.
Un’altra specialità qui è il Salame nobile del Giarolo, così chiamato perchè nel suo interno vi è la parte ‘nobile’ del maiale, ovvero la coscia. L’impasto è tagliato a grana grossa ed è ottimo per le merende serali in compagnia e perfetto se affettato con il coltello.
Il tartufo bianco e i funghi, sono i pregiati prodotti che offre questa terra. Il tartufo bianco è perfetto se tritato sull’uovo fritto o sui taglierini in bianco. I funghi, invece, si mangiano tritati in insalata verde, tagliati a fette e fritti, oppure in sughetto con i taglierini o la polenta.
E a concludere con una nota dolce ci pensano le castagnette. Dolcetti secchi tipici grossi, come dice il nome, un po’ meno di una castagna e ne ricordano la forma. Sono fatti di zucchero, bianco d’uovo e mandorle tritate.
A cavallo tra l’ultima Langa del Moscato e le colline del Monferrato, nella provincia di Cuneo, si trova Neive.
Un piccolo borgo antico dai palazzi color del cotto, alcuni di grazia settecentesca, e dai tetti rossi che richiamano i colori delle vigne d’autunno.
La parte storica del borgo, avvolta ad anelli intorno all’antico ricetto, è tutta da vedere. Il castello non esiste più, ma è rimasto l’impianto medievale della cittadina con le case dai tetti rossi addossate le une alle altre.
Poiché questa è terra di grandi vini, non mancherà una visita alle aziende vinicole, spesso ospitate in dimore signorili come quella settecentesca dei Conti di Castelborgo, la cui cantina sprigiona fascino tra decorazioni e arredi d’epoca.
La dimora più antica del borgo è Casa Cotto, risalente agli inizi del XIII secolo. Era una casa-forte appartenente a una ricca famiglia di banchieri e presenta al suo interno pregevoli soffitti e caminetti d’epoca.
Dello stesso periodo è la vicina Torre dell’Orologio, costruita sotto il dominio del comune di Asti. Ancora più tarda è la Torre del monastero del X secolo, in stile romanico a pianta quadrata, con due ordini di monofore su ciascun lato e i cinque piani delineati da decorazioni ad archetto.
Tra gli edifici sacri di Neive spiccano le due cappelle cinquecentesche dedicate a San Rocco e a San Sebastiano. La cappella di San Rocco, in particolare, si presenta a pianta quadrangolare, con portico e campanile, mentre un piccolo gioiello d’arte è casa Bongioanni, ricca di affreschi, decorazioni e stucchi d’epoca.
Il divertimento più grande, qui, è scollinare per vini. Ci si trova nelle Langhe, in uno dei distretti vinicoli più famosi del mondo, e più precisamente nella zona del Barbaresco.
La strada sale fino a La Morra a 513 metri, uno dei punti più panoramici della Bassa Langa, con un bel centro storico di origine medievale.
Da La Morra si prosegue a saliscendi tra splendidi vigneti per raggiungere Barolo a 415 metri, dominato dalla sagoma squadrata del castello Falletti del X secolo, che ospita una ricca enoteca regionale.
Si arriva così nel cuore del nebbiolo, il vitigno da cui derivano Barolo e Barbaresco e che porta nel nome l’atmosfera tardo-autunnale che inzuppa le colline di nebbia sottile nel periodo della vendemmia.
Da qui si scende a Dogliani, a 295 metri, nota per il Dolcetto e, sempre per colline disegnate dai vigneti, si risale a Serralunga a 414 metri, un ininterrotto susseguirsi di stradine che fanno sognare gli appassionati di Barolo.
Pochi chilometri ed ecco Castiglione Falletto a 350 metri, antico borgo arroccato sulla cima di un colle e poi Grinzane Cavour con la celebre enoteca regionale allestita in una chiesa, mentre alla sacralità del vino viene dedicata l’ultima tappa che riporta a Barbaresco. Nuovamente a Neive, sulle colline oggi celebri per il Moscato, si degustano i prodotti degustare nell’enoteca regionale ospitata nel seicentesco castello di Mango.
Ogni esperienza gastronomica, a Neive, rasenta l’assoluto, potendo scegliere, nel menu ideale, tra bagna caôda, tajarin al tartufo, carne cruda all’albese, torta di nocciole, zabaione al moscato, mentre il Barbaresco riempie il calice col suo color rosso granato che sfuma in arancione.
Ma Neive non vive di solo vino. Produce anche un celebre salame, di gusto dolce e profumato al Barbaresco, ricavato dagli allevamenti di suini sparsi sul territorio, nonché una nocciola Piemonte IGP dal sapore e aroma finissimi, altra splendida coltura di Langa.
A poca distanza Monforte d’Alba dove fare una passeggiata nelle sue viuzze medioevali che salgono ripide.
Oppure una sosta nei suoi locali di ristoro o nei suoi alberghi, che dimostrano come questa località, già nota nella seconda metà del Novecento per la sua gastronomia, abbia valorizzato il suo centro storico con molta attenzione al restauro e al recupero funzionale dei suoi edifici.
Il fulcro della composizione urbana è costituito dalla residenza dei marchesi Scarampi, situata a fianco della piazza in cui è stato ricavato l’Auditorium Horszowski, intitolato al famoso pianista che vi tenne il concerto d’inaugurazione nell’estate 1986, e sede della rassegna musicale Monfortinjazz.
Dalla piazza si ergono la torre Campanaria e le due Confraternite di Santa Elisabetta e di Sant’Agostino, mentre l’Oratorio di Sant’Agostino e di San Bonifacio, in stile barocco, presenta una facciata in mattoni a vista, divisa in due ordini.
L‘Oratorio barocco di Santa Elisabetta, invece, è esternamente scandito ad ottagono e presenta una facciata intonacata nel 1827. Nella parete di fondo una profonda nicchia ospita l’altare dietro il quale un’importante cornice barocca racchiude la tela rappresentante S. Elisabetta.
Il Borgo di Monforte d’Alba offre molto, sia per quanto riguarda gli eventi che qui si organizzano nelle varie stagioni che per la gastronomia. La cucina è espressione di un mondo agricolo ad economia povera e conserva tuttora la sua tipicità.
Da una materia prima varia e dalla fantasia dei cuochi è nata una vasta gamma di antipasti, primi, secondi e dolci molto elaborati che richiedono pazienza ed abilità nell’esecuzione.
Tra i principali: il vitello tonnato, la carne cruda all’albese, la fonduta, la “bagna cauda” e la pasta fatta in casa, tra cui tajarin e ravioli al “plin”.
Da non dimenticare il brasato al Barolo, il bollito misto accompagnato dal “bagnet verd” ed il coniglio alla langarola con i peperoni. Completano il pranzo le “tume”, il “bonet”, la torta di nocciole e le paste secche di meliga con lo zabajone. Sovrano, su alcuni di questi piatti, il profumato e prezioso tartufo bianco d’Alba.
Nella quarta domenica di novembre, si tiene la tradizionale Fiera dei “ BERU”, letteralmente “i maschi delle pecore”, una vera e propria tradizione del periodo autunnale in Langa, che affonda le proprie origini in tempi antichi e che si svolge per le vie del centro, animato da bancarelle pronte ad offrire una grande varietà di generi di ogni sorta.
Procedendo verso la parte sud del Piemonte si incontra Garessio.
Un paese antico e importante per la sua storia, per gli scrittori che l’hanno frequentato, per gli artisti che l’hanno amato e per tutte le vicende che hanno toccato le sponde del Tanaro, il fiume cui sovrintende la divinità celtica che forse gli ha dato nome, Taranis.
A Garessio, vicina al mare, ma paese di montagna, la compostezza piemontese si incrocia con il carattere ligure e ne nasce un interessante ibrido. L’antico borgo, ai piedi del Colle San Bernardo, si presenta su pianori e salite, diviso in frazioni e borgate.
Da via Cavour si arriva alla Porta Rose, antica torre oggi sede di una galleria d’arte. Qui iniziava la parte più antica del ricetto, risalente al 1100 circa, che era circondato da mura, torri, porte di cui resta qualche traccia. Porta Rose ne costituiva l’accesso principale ed era difesa da un ponte levatoio posto tra due torri.
Proseguendo per via Cavour si raggiunge in breve piazza Carrara, dove da un lato si nota Casa Odda, dalla bella facciata medievale in pietra e cotto con grandi finestre goticheggianti e dall’altro il palazzo Comunale, edificio risalente al Seicento, sormontato da un’alta torre quadrata con campanone e orologio.
Lungo la stessa via, ora in salita, si nota subito a destra la facciata di Casa Averame e sulla sinistra la piazzetta di San Giovanni, considerata tra le più belle del Piemonte. Proseguendo in salita lungo via Cavour e superato un piccolo slargo con una casa chiamata “Isola di Caprera”, si svolta a sinistra per via Montegrappa e si entra nel Bricco, un gruppo di case raccolto sotto la collina del castello.
Una delle parti più interessanti del borgo che accoglie con la cinquecentesca costruzione con i pinnacoli incorporati nel muro, da dove in ripida discesa parte via Relecca, in cui si trasferirono gli abitanti delle frazioni occupate dai Saraceni nel X secolo.
Tra piccole costruzioni e case padronali si arriva alla Porta Jhape, il cui nome deriva dalle “ciappe”, o “lose”, con cui erano coperti i tetti delle case del Bricco.
La porta è ancora unita sulla sinistra alle mura medievali che fiancheggiano il rio San Mauro.
Procedendo lungo le mura appare sulla destra l’imponente chiesa Parrocchiale di Maria Vergine Assunta, in origine convento domenicano, poi sostituito dalla nuova costruzione in cotto dell’architetto Francesco Gallo. Distrutta dai francesi, è stata ricostruita e riconsacrata nel 1878 riprendendo integralmente il progetto del Gallo.
La parte più antica del Borgo Maggiore è caratterizzata da vecchie case con facciate medievali, come Casa Martelli, un tempo affiancate da numerose botteghe dove si svolgevano commerci e mercati. A destra, invece, via Cavour termina sulla strada provinciale, oltrepassata la quale compare, al di là di un ponticello, la seicentesca Cappella di San Giacomo.
Superato il ponticello e voltate le spalle all’edificio, si ammirano le case racchiuse nel ricetto difeso dal rio San Giacomo, mentre a sinistra si alza la medievale Torre Clocharium, di proprietà privata. Fuori dal Borgo Maggiore è da vedere, in Borgo Ponte, un’altra splendida costruzione di Francesco Gallo, la chiesa di Santa Caterina d’Alessandria progettata nel 1723, con la facciata barocca in mattoni a vista.
Garessio è il punto di partenza per decine di sentieri che solcano le Alpi Marittime.
Tra boschi, punti panoramici, forti e castelli, si impara ad apprezzare l’Alta Val Tanaro. Salendo a Garessio 2000, inoltre, a poca distanza dal borgo, si trova la stazione sciistica dalle cui piste si vede il mare. Sciare con gli occhi rivolti al golfo ligure e, più in là, alla Corsica, è un’esperienza indimenticabile.
Ogni quattro o cinque anni, durante la settimana Santa, a Garessio si svolge il Mortorio, sacra manifestazione rievocativa della Passione di Cristo e una delle poche rappresentazioni penitenziali rimaste immutate nel corso dei secoli.
Nello splendido scenario della chiesa di San Giovanni Battista si svolgono le recite, mentre le vie del borgo sono attraversate da due processioni storiche, il venerdì e il sabato, nelle modalità risalenti al Settecento.
Il secondo fine settimana di settembre ha luogo la Festa della Montagna con mostre, artisti di strada, mercatini di prodotti tipici e dell’artigianato. In aggiunta convegni dedicati alla valle culminano nella Sagra della Polenta Saracena, il piatto tipico a base di farina di grano saraceno, porri, latte con panna, patate e funghi.
La Castagna Garessina, invece, si svolge il secondo e terzo fine settimana di ottobre. Una manifestazione che ha luogo nel bosco, dove la castagna è servita arrostita o come ingrediente di gustosi dolci, tra musica e artisti di strada.
A 1800 metri d’altitudine, al confine con la Francia, in fondo alla Val Varaita di cultura occitana, si trova Chianale, frazione di Pontechianale un villaggio dal cuore d’ardesia, con i suoi tetti di lose, le sue pietre, i suoi legni.
La cultura provenzale, orgogliosamente esibita dai pochi abitanti rimasti, riporta al tempo dei trovatori, che forse nella bella stagione componevano versi e musica nell’Alevé, il bosco di pini cembri più grande d’Europa, sulle pendici del Monviso con i suoi 825 ettari ricchi di piante secolari.
Il bosco dell’Alevè è un gioiello antico, che per circostanze fortuite è rimasto quasi intatto. Oltre all’Alevè, l’Alta Val Varaita ha saputo conservare un ambiente dove il fascino dell’architettura alpina si sposa con la possibilità di godere della natura in tutti i suoi aspetti. In Alta Val Varaita nn è difficile osservare piccoli capolavori di architettura contadina sparsi qui e là, nelle borgate e nelle zone più impervie.
Innumerevoli, infatti, sono i percorsi naturalistici, i sentieri, le escursioni in alta quota che conducono in posti incantevoli quali laghi, cascate, boschi, alpeggi. Tra i più frequentati trekking dell’arco alpino occidentale c’è quello che tocca Val Varaita, Val Po e Valle del Guil consentendo di ammirare il Monviso in tutta la sua imponenza
Il borgo di Chianale è diviso dal torrente Varaita in due nuclei collegati tra loro da un ponte in pietra, vero cuore del borgo.
Il ponte si trova in corrispondenza di una piccola piazzetta con fontana su cui si affaccia l’antica chiesa di Sant’Antonio che, sorta nel XIV secolo, è stata la Parrocchiale di Chianale dal 1459 fino a tutto il Seicento.
Sullo Chemin Royal, asse centrale del borgo, Casa Martinet, è ciò che resta del tempio Calvinista. Chianale fu, per buona parte del Seicento, fino alla vigilia della revoca dell’Editto di Nantes, l’unico centro della valle in cui fosse consentita la libertà di culto. Il villaggio, infatti, fu solo sfiorato dalle guerre di religione, e il tempio calvinista e la chiesa cristiana stavano senza problemi l’uno di fronte all’altra.
Al di là del Varaita si leva, invece, la più recente parrocchiale di San Lorenzo, costruita tra Sei e Settecento, che conserva all’interno un altare barocco di tradizione brianzonese del 1726, appoggiato a quattro massicce colonne tortili di pino cembro e frutto di uno splendido lavoro di intaglio.
Da poco riscoperta a Chianale, la festa pagana del Carnevale vede il ritorno dei lupi, impersonati da uomini che seguono un cerimoniale fissato dalla tradizione, in base al quale le donne devono rimanere chiuse in casa, pena il rischio di essere sporcate in viso con la fuliggine. Ma la sera tutti si riuniscono a cantare e ballare insieme.
Il 10 agosto, invece, si svolge la Festa di San Lorenzo, in cui la processione con la statua del santo è l’occasione per l’intero paese di indossare i costumi tradizionali e festeggiare con canti, danze e la mostra dei prodotti della valle, dall’artigianato del legno al miele, alle marmellate e ai formaggi.
A questi si aggiungono i due principali piatti del borgo come les ravioles, gnocchi di patate locali impastate con formaggio e condite con burro fuso e la polenta concia cruzetin, fatta con gnocchetti aciduli di farina di segale.
Leggermente più a nord si raggiunge Ostana piccolo comune dell’Alta Valle Po dove davanti al suo municipio sventola la bandiera occitana.
Un segno di una lingua e di una tradizione che non si vogliono perdere, soprattutto in tempi di omologazione culturale.
Ostana è un piccolo paese di borgate sparse, in posizione panoramica sul versante soleggiato della Valle Po, con vista splendida sul gruppo del Monviso. Nella parte più bassa il fiume Po, appena nato, bagna il suo territorio.
Il modo più semplice per conoscere questo angolo alpino di Occitania è fare il giro completo delle borgate. Ovunque si ammira la sapienza dell’architettura spontanea che fonde il legno con la pietra e mette alle case un cappello robusto di tetti di lose.
Il percorso inizia dal capoluogo La Villo, sede del Municipio. Da qui, dopo un centinaio di metri, ci si immette sulla strada comunale che conduce alla borgata Champanho tra aceri e frassini e alti muri in pietra a secco.
Superate le poche case dei Marquét, la strada si inoltra in una faggeta, mantenendo sempre la vista sull’imponente piramide del Monviso. Si oltrepassano altri piccoli nuclei disabitati, finché si arriva alle due borgate di La Ruà e Miribrart. Quest’ultima è forse la più caratteristica, con le sue case addossate le une alle altre e gli insediamenti stagionali in quota, chiamati le mèire, con i pascoli sospesi tra rupi e valloni.
Nella frazione Miribrart ha sede l’Ecomuseo dell’Architettura e del Paesaggio Alpino. Un’esposizione che parte dalla cultura materiale del passato per arrivare alla progettazione contemporanea, intrecciando eredità e sviluppo dinamico delle aree montane.
Proseguendo per tornare a La Villo, si incontra San Bernardo, nella cui chiesetta è stato riportato alla luce un pregevole affresco medievale.
Prendendo invece la strada per Samicoulàou , capita di notare alcune barme, ripari sotto roccia utilizzati come celle per il latte o rifugio di bovini.
Salendo di quota, il panorama si fa sempre più spettacolare: a Punta Sellassa, a 2036 metri, si dispiega tutta la catena alpina con il Monviso, il Rosa, il Cervino, tra il manto blu delle viole o il rosa del trifoglio alpino.
In inverno si può salire fino ai 2300 metri del crinale di Cima Ostanetta, praticando lo sci-alpinismo o utilizzando racchette da neve, mentre in estate si possono percorrere gli itinerari escursionistici Le Vie d’Oustano suddivisi per tema: le borgate, le mèire, i pascoli.
Ostana, inoltre, si trova al centro del percorso escursionistico Orizzonte Monviso, un anello di oltre 50 km di lunghezza che comprende tutti i comuni dell’Alta Valle Po affrontabili a piedi e in mountain bike.
Ad evidenziare l’importanza della lingua, il Premio Ostana “Scritture in lingua madre” è stato istituito nel 2008 e si svolge a giugno. Il premio è rivolto agli autori delle minoranze linguistiche, agli scrittori che utilizzano la lingua di appartenenza territoriale, anche se minoritaria e viene anche attribuito uno specifico riconoscimento a un autore in lingua d’oc.
Nell’economia agricola del passato la patata era l’elemento base delle famiglie ostanesi. Il piatto tipico è dunque la polenta di patate e grano saraceno, che si serve ben calda ed è ottima con formaggio, banho dë cousso (salsa di zucca) e banho dal jòous, la “salsa del giovedì”, fatta con il latticino residuo della preparazione del burro, che normalmente avveniva il giovedì, così da portarlo il venerdì al mercato.
Il tour tra i borghi piemontesi si chiude nell’unica località che presenta la provincia di Torino: Usseaux .
Qui, il vivere lento è una promessa e nelle gelide sere invernali ci si ritrova ancora nelle tipiche stalle, con volte a botte e pilastro centrale, riadattate a taverna, per mangiare, cantare, raccontare.
In Alta Val Chisone, il piccolo comune di Usseaux è ancora oggi un esempio di realtà agricola e contadina di alta montagna, distribuito su cinque borgate, fra le più antiche della valle, in una incantevole cornice alpina: Usseaux è il capoluogo e a seguire Balboutet, Laux, Pourrières e Fraisse.
I villaggi alpini di Usseaux meritano una sosta per scoprire un’altra dimensione della vita fatta di ritmi lenti, gesti quotidiani ripetuti nel tempo, Il capoluogo Usseaux è il paese del pane e dei murales. Una quarantina di dipinti murali, il cui tema spazia dalla vita contadina, al mondo della natura, degli animali e delle favole, si snoda lungo le stradine e i vicoli.
Da vedere anche il forno della comunità, che in alcune occasioni ancora viene usato per la panificazione, il mulino ad acqua ristrutturato, la chiesa parrocchiale di San Pietro, e soprattutto la struttura compatta dell’abitato, abbellito dai fiori ai balconi e depurato dalle fatiche di un tempo
Poco lontano dal capoluogo, lungo la strada che conduce a Pian dell’Alpe, Balboutet, per la sua esposizione a sud, è il paese del sole e delle meridiane. Nel piccolo centro agricolo, importante nella vallata per l’allevamento bovino e per la produzione di formaggi, venti quadranti solari realizzati sui muri delle case e una Piazza del Sole illustrano le varie tipologie di misurazione del tempo.
Sulla destra del torrente Chisone, Laux è tra i villaggi alpini più belli e integri della valle.
Una borgata dell’acqua, adagiata su un piccolo pianoro, con il suo fiabesco laghetto naturale. Al suo interno, la Chiesa con l’antica meridiana e la Piazza della Preghiera ricordano la presenza valdese.
Affacciata alla strada regionale del Sestriere, ecco Pourrières, la borgata dell’Assietta, con l’antica chiesa e il piccolo cimitero e, più a monte, il vallone di Cerogne e il colle dell’Assietta, dove nel 1747 l’esercito dei Savoia vinse una famosa battaglia contro i francesi.
Ultimo borgo a monte è Fraisse, la borgata del legno, circondata da boschi e da un’intensa vegetazione e attraversata dal torrente Chisone, sulla cui sinistra sorge la parte più abitata, dove ancora si concentra qualche falegnameria.
I villaggi alpini di Usseaux offrono molte possibilità per passeggiate a piedi, in mountain bike e a cavallo, lungo sentieri e strade militari, oltre a percorsi con le racchette da neve e con gli sci. Per gli appassionati della bicicletta, la strada dell’Assietta e un reticolo di strade militari offrono percorsi adatti a tutte le esigenze, mentre si può fare pesca sportiva al lago Laux e parapendio al Pian dell’Alpe.
Due parchi naturali, l’Orsiera-Rocciavrè e il Gran Bosco di Salbertrand, rendono questo territorio uno tra i più ricchi di flora e fauna delle vallate alpine piemontesi. Da Usseaux si possono scoprire aspetti poco noti o dimenticati della cultura di questi luoghi.
Si può andare alla ricerca dei mulini per cereali, dei sentieri dei minatori, dei luoghi di culto dei valdesi. Imperdibile, poi, a poca distanza, la visita al Forte di Fenestrelle, la grande muraglia piemontese, la più grande fortificazione alpina d’Europa.
Durante la Festa del Piemont all’Assietta, la terza domenica di luglio, si ricorda la battaglia dell’Assietta del 19 luglio 1747 tra le truppe francesi e quelle piemontesi e, ogni anno, migliaia di persone salgono in montagna per festeggiare l’identità piemontese.
La prima metà di settembre, invece, si svolge Bosco e Territorio.
La manifestazione, ospitata con cadenza biennale nella borgata Fraisse, è una vetrina sulla migliore tecnologia per la lavorazione del legno.
Un’altra particolarità è la cucina locale, che utilizza i prodotti semplici della montagna, come patate, cavoli, porri, lardo. Piatto tipico sono le calhiette valdesi, a base di patate, salsiccia, cipolla, burro e formaggio, a cui si aggiunge un prodotto particolare come il plaisentif, detto “il formaggio delle viole”, che ha la caratteristica di essere prodotto con il latte dei primi giorni d’alpeggio, ricco delle essenze dei fiori, e stagionato per almeno ottanta giorni.
Alessandro Campa
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