I borghi più belli d’Italia: Toscana
Emozionanti bellezze e piccoli tesori dal fascino incredibile
Culla della civiltà e del Rinascimento italiano. La Toscana, tra le sue emozionanti bellezze, offre anche dei piccoli tesori dal fascino incredibile e dalle tradizioni suggestive. Alcuni dei borghi più particolari d’Italia risiedono proprio qui.
A partire dalla zona sud della regione, nel territorio di Grosseto e nella parte che si affaccia sul Mar Tirreno.
Uno di questi è sicuramente Giglio Castello, frazione di Isola del Giglio dalle cui solide mura di granito l’occhio spazia sulle altre terre emerse come Giannutri, la misteriosa Montecristo e la più lontana Pianosa.
A Giglio Porto, pittoresca località dalle case multicolori, meritano una visita la torre del Saraceno, costruita da Ferdinando II nel 1596, e la Caletta del Saraceno con i resti, visibili a pelo d’acqua, della peschiera annessa alla villa romana dei Domizi Enobarbi.
Con l’autobus, in breve, si arriva nel borgo medievale di Giglio Castello, arroccato su una collina a 400 metri sul livello del mare. Passeggiare qui significa lasciarsi accarezzare dal vento, assalire dal salino, incrociare l’azzurro tra scorci e vicoli suggestivi.
Eretto dai Pisani nel XII secolo, più volte ampliato e restaurato dai Granduchi di Toscana, Giglio Castello è ben conservato al suo interno. Le vie strette sormontate da archi, le scale esterne per accedere alle abitazioni, l’imponente Rocca Aldobrandesca, oggi chiusa per restauri e visibile solo dall’esterno, donano all’abitato il fascino del borgo costruito in funzione difensiva.
Gli angusti spazi abitativi sono protetti da una possente cinta muraria d’impianto mediceo, intervallata da tre torrioni a pianta circolare. Costeggiando le mura si arriva alla graziosa piazza dei Lombi e, proseguendo, alla Casamatta, già importante postazione difensiva.
Sul lato ovest del borgo, la chiesa di San Pietro Apostolo dona memoria di sé già dal Quattrocento, anche se il suo attuale aspetto, grazie a rifacimenti successivi, è settecentesco. A destra, nella cappella del Crocefisso, si ammirano oggetti sacri provenienti dalla cappella di Papa Innocenzo XIII tra cui calici, candelieri, reliquari, tutti in argento cesellato eseguiti a Roma tra XVII e XVIII secolo.
Escursioni a piedi e in mountain bike attraverso i numerosi sentieri segnalati, rendono indimenticabile una vacanza al Giglio, particolarmente in primavera quando le fioriture regalano colori e profumi che sembrano smuovere l’aria. Consigliabile un’escursione a Montecristo, isola misteriosa abitata da capre selvatiche: un angolo di vita selvaggia con magnifici fondali e lastroni di granito che sprofondano in mare.
Tra gli eventi da ricordare sicuramente San Mamiliano, il 15 settembre, la festa di Giglio Castello e la più tradizionale dell’isola. Si porta in processione la reliquia del santo, a cui la popolazione attribuisce il merito dello scampato pericolo durante l’assedio dei pirati nel 1799. Ci si diverte con il Palio degli Asini, balli in piazza e quadriglie, degustazione di piatti tipici.
Uno di questi è il coniglio selvatico alla cacciatora, cucinato con pomodoro, spezie che crescono nel fitto della macchia mediterranea e un po’ di peperoncino. Per il resto, la cucina delle isole toscane è quella tipica del Mediterraneo: piatti poveri ma saporiti basati su pesce e crostacei, aromatizzati con i profumi di macchia e accompagnati dal vino locale. Quest’ultimo è il robusto e ambrato Ansonaco, vino che si può degustare nelle numerose cantine in cui viene prodotto e conservato.
Non molto lontano si arriva a Porto Ercole, frazione di Monte Argentario un borgo marinaro che conobbe il massimo splendore sotto il governo spagnolo.
Quando, infatti, a metà Cinquecento, fu annesso al nuovo Stato dei Reali Presidii di Spagna, il sistema difensivo del porto fu rinforzato, la rocca costruita dai Senesi ampliata e furono innalzati tre forti di nome Filippo, Stella e Santa Caterina.
Il primo che si nota venendo da Orbetello è il Forte Filippo, edificato da Giovanni Camerini nel 1558 su incarico di Filippo II, il cui camminamento di ronda che si sviluppa intorno al fossato è ancora percorribile. Della stessa epoca è la vicina torre del Mulinaccio, mentre settecentesco è il Forte Santa Caterina.
La piazza Santa Barbara, che si eleva sopra il quattrocentesco bastione di Santa Barbara, la protettrice degli artificieri, offre una vista panoramica sul porto. Sulla piazza si affaccia il palazzo del Governatore, progettato in stile rinascimentale da Baldassarre Peruzzi su commissione di Agostino Chigi, quando quest’ultimo, agli inizi del Cinquecento, prese in affitto Porto Ercole dalla Repubblica di Siena.
Attraversando una serie di vicoletti si raggiunge il cuore del borgo, la chiesa di Sant’Erasmo. Eretta nel XV secolo dai Senesi e ampliata sotto il dominio spagnolo, presenta una semplice facciata in stile toscano progettata dall’architetto Bernardo Buontalenti.
La maestosa Rocca Aldobrandesca sovrasta il paese vecchio come un piccolo borgo in miniatura, al cui interno vi sono giardini, pozzi e stradine. La prima costruzione risale al 1296, fu poi ampliata dai Senesi e di nuovo nel 1543 con il rafforzamento delle mura di cinta. Oggi è visibile la sua riedificazione di metà Cinquecento voluta da Cosimo I de’ Medici e opera di Bernardo Buontalenti, che aggiunse bastioni e terrapieni alle precedenti strutture.
Continuando sulla strada panoramica, fuori del centro abitato, si raggiunge il colle a picco sul mare su cui è posto il Forte Stella, così chiamato per la forma di stella a sei punte, che consentiva l’avvistamento dei nemici dai diversi punti cardinali. La sua costruzione, iniziata nella seconda metà del Cinquecento, fu terminata solo un secolo più tardi.
Vela, sport acquatici, trekking, mountain bike e passeggiate, sono i divertimenti principali, oltre ai locali del porto e della vicina Cala Galera che si animano la sera. Sono raggiungibili solo in barca l’Isolotto sotto la Rocca Spagnola, la Grotta Azzurra e la Cala dei Santi, cavità carsica in cui sono stati rinvenuti resti dell’uomo di Neanderthal.
Sentieri adatti per mountain bike e trekking conducono fino alla sommità del Monte Argentario a 635 metri consentendo di ammirare tutte le isole dell’arcipelago toscano e anche la Corsica nelle giornate particolarmente chiare.
Appena fuori del centro abitato si apre la riserva naturale incontaminata della Feniglia, sulla cui spiaggia, come ricorda una stele, approdò moribondo Caravaggio, che poco dopo sarebbe spirato nell’ospedale di Santa Croce.
Le incursioni dei corsari saraceni sono rimaste nella memoria della popolazione, che ad inizio maggio con Notte dei Pirati, si diverte a rievocarle con uno spettacolo che si svolge al tramonto, nel porto e per le vie del borgo.
Il 2 giugno, invece, si festeggia Sant’Erasmo, patrono che calmò la tempesta salvando i pescatori nel mare agitato, celebrato con una suggestiva processione a mare e con una regata tra i quattro rioni del paese che si sfidano su barche a quattro rematori.
A Porto Ercole la cucina è legata al mare e il pesce è l’ingrediente principale di tutte le pietanze, sempre accompagnato da un bicchiere di Ansonica, il vino bianco locale. Il piatto più antico e più tradizionale è la zuppa di sarde e patate, mentre nei menù dei ristoranti compaiono anche la zuppa di scampi, la triglia rossa in guazzetto e lo stocchetto alla portercolese con patate, pinoli e olive nere.
Ritornando nell’entroterra ecco Capalbio
Il comune più meridionale della Toscana che se ne sta su una collina davanti al tombolo di Burano, nel suo guscio medievale avvolto da un mantello di macchia mediterranea.
Immerso in un ecosistema ambientale invidiabile, Capalbio ha vissuto anche il Rinascimento e conosciuto, negli anni Settanta del secolo scorso, notorietà nazionale derivata dalle varie frequentazioni eccellenti di politici, intellettuali, giornalisti e personalità dello spettacolo, che hanno eletto a “buen ritiro” il centro storico e la campagna capalbiese, in virtù della bellezza e della tranquilla riservatezza dei luoghi.
Nel centro storico di Capalbio, con la sua inalterata urbanistica medioevale, si entra dalla Porta Senese, costruita quando Capalbio passò sotto il controllo della Repubblica di Siena. Salendo per le strette vie si arriva alla Rocca Aldobrandesca, uno degli avamposti più meridionali della Repubblica di Siena.
Accanto a questa si trova Palazzo Collacchioni, dov’è custodito il fortepiano Conrad Graf del 1823 che Giacomo Puccini suonò più volte quand’era ospite dei Collacchioni. Dall’ingresso del Palazzo, muovendosi verso destra e costeggiando la torre, ci si trova di fronte alla Chiesa di San Nicola, sul cui fianco si eleva la torre campanaria del XII secolo.
Fuori dalle mura, in piazza della Provvidenza, ha sede l’Oratorio della Provvidenza che anticamente era una cappella sorta per il culto di un’immagine perduta della Madonna.All’interno è possibile ammirare l’affresco più importante di tutta la Costa d’Argento: una Madonna della Provvidenza, attribuita al Perugino.
Il territorio di Capalbio vanta attrazioni artistiche e naturalistiche di livello internazionale come l’incantevole Giardino dei Tarocchi, parco-museo realizzato a Garavicchio tra il 1979 e il 1996, che custodisce una serie di statue e gruppi scultorei raffiguranti i tarocchi, realizzati da Niki de Saint Phalle.
Il litorale, tredici chilometri di splendida spiaggia senza insediamenti, è dominato dal tombolo, la caratteristica vegetazione mediterranea profumata di ginepro, mirto, pini e ginestre. Un territorio dal sapore antico, che ha conservato un aspetto selvaggio e tranquillo al tempo stesso, in un ambiente naturale di straordinario valore.
Notevole l’offerta di manifestazioni culturali e turistiche che presenta un programma ricco e variegato. Capalbio in Fiera è l’evento pasquale dedicato al mondo country che ha luogo nella frazione di Borgo Carige con le esibizioni dei butteri maremmani.
A questo seguono Capalbio Libri, il festival sul piacere di leggere, la prima settimana di agosto, le mostre di arti visive presso il Castello o il Frantoio in piazza della Provvidenza, la rassegna di cinema Capalbio Movie e quella di musica di Zigzag Music. Tra le numerose feste gastronomiche, invece, spicca fra tutte la Sagra del Cinghiale che si svolge dal 1965 ogni inizio di settembre.
Si prosegue per Montemerano, frazione di Manciano un borgo medievale in terra etrusca che conserva fin dalla sua caratteristica pianta a cuore l’impronta di luogo umano per eccellenza.
Il centro storico è ancora oggi stretto fra tre cinte di mura, al sommo di un colle-giardino abitato da ulivi e cipressi. Dentro la triplice cerchia muraria il borgo è intatto. La cerchia più antica racchiude la parte alta del paese chiamata «castello», mentre la seconda, fortificata dai Senesi con tre torrioni circolari ai primi del Quattrocento, protegge il quartiere sorto nel Duecento sotto la rocca.
La terza è un’addizione a completamento dell’assetto difensivo e unisce al borgo la chiesa di San Giorgio e il nuovo quartiere della prima metà del Quattrocento. Dalla porta del Ponte, oggi priva del ponte levatoio, si sbuca in via Italia, dove si scelgono due itinerari.
Si può imboccare sulla sinistra uno degli stretti vicoli che si allargano in spazi silenziosi all’ombra delle mura, come le piazzette dell’Antico Frantoio, di San Martino e del Ritiro, oppure si sale verso piazza del Castello, attraversando un arco che in passato era l’unico ingresso al centro abitato.
La piazza si presenta come uno spazio continuo di architettura spontanea, una sequenza di edifici in pietra a vista con loggette ad archi, terrazze e finestre fiorite, tetti a livelli diversi che creano un gioco elegante di linee e volumi.
La zona alta del paese è completata da tre vicoli paralleli e da altre due piccole piazze, quella del Forno e quella del Campanile. Il cuore del borgo medievale, invece, è via Italia, dove tra archi e piccoli portici, si teneva il mercato. Attraverso un nuovo arco che passa sotto le mura si giunge in piazza San Giorgio, spazio inclinato tutto di pietra, che si spalanca alla luce e all’aria della campagna.
Sulla destra si trova la chiesa di San Giorgio, l’edificio religioso più importante della Maremma meridionale, integro nella sua architettura e nella fusione con la natura circostante, anche grazie al camminamento coperto che chiude a sud la piazza e unisce la chiesa al borgo.
San Giorgio viene celebrato dal 23 al 25 aprile e durante la festa patronale si svolgono la Giostra del Drago (protagonisti i ragazzi delle tre contrade), la sfilata in costumi medievali per le vie del borgo e la rappresentazione de “La vera storia di San Giorgio” realizzata con il teatro delle ombre.
I primi dieci giorni di agosto ecco la Sagra della Trippa, caratterizzata da cene maremmane sotto le stelle, con l’imperdibile “trippa alla montemeranese” accompagnata da un bicchiere di Morellino di Scansano.
Altra specialità è l’acquacotta, una zuppa di verdure dell’orto, più cipolla, sedano e pomodoro, arricchita da un uovo fresco. L’uovo va rotto sulla zuppa calda subito prima di versarla sul pane raffermo tagliato a fettine.
Ricotta fresca, erbette, spinaci o bietola sono gli ingredienti dei tortelli di Montemerano, conditi con ragù di carne. Esiste anche la versione dolce: stesso ripieno, ma con zucchero e cannella al posto del sale.
Un olio di prima qualità, frutto di una selezione di olive frantoiane, moraiole e canine, condisce al meglio primi piatti, zuppe, sughi, verdure e carni in tegame di origine contadina, come la “padellata” di cacciagione e la scottiglia maremmana.
Situato sulle colline nell’entroterra maremmano, Montemerano è un ottimo punto di partenza per l’esplorazione della regione a sud e a est di Grosseto. Da qui si raggiungono in breve le spiagge del Tirreno, il monte Amiata e la laguna di Orbetello con le spiagge della Feniglia e della Giannella.
Nel corso dei secoli, a Pitigliano, gli uomini hanno preferito scavare più che costruire e, grazie alla facilità di lavorare la roccia vulcanica, è nata una “civiltà del tufo”.
Scavando tenacemente nelle viscere del terreno, gli etruschi costruirono tombe, ipogei, cunicoli e le misteriose “vie cave”. Anche gli ebrei, vissuti a Pitigliano per cinquecento anni, sistemarono nelle grotte gli ambienti del loro culto.
Ancora oggi lo spettacolare abitato di Pitigliano nasconde sotto di sé un’altra città sotterranea, fatta di gallerie e cunicoli per il drenaggio delle acque, cantine e antiche case rupestri trasformate in magazzini.
Il borgo di Pitigliano sospeso sulla sua rupe di tufo tra valli verdeggianti è una visione magica, un’illuminazione. L’impressione che offre Pitigliano, distesa sulla sua rupe a forma di mezzaluna, isolata dall’erosione millenaria di tre fiumi che le scorrono intorno e difesa da fortificazioni cinquecentesche, è quella di un complesso segnato dall’arte della guerra ma ingentilito dal tocco del Rinascimento.
Palazzo Orsini è il maggiore monumento di Pitigliano. Di origine medievale, la residenza dei conti Orsini fu ristrutturata per Niccolò III, nella prima metà del Cinquecento, dall’architetto Antonio da Sangallo secondo i canoni rinascimentali, evidenti negli stemmi, nella piazzetta con colonnato, nell’elegante portale d’ingresso e nelle sale interne.
La via principale conduce a un’altra piazza, dove si trova la cattedrale, ampliata nel Settecento in forme barocche, con bella facciata e grandioso altare all’interno. A fianco si eleva la torre campanaria che caratterizza il profilo urbano dell’abitato.
Da qui si raggiunge un’altra piazzetta, cuore dell’antico rione di Capisotto, con la chiesa di San Rocco, ricordata già nel 1274 come chiesa di Santa Maria, dalla sobria facciata rinascimentale e un interno decorato con affreschi e stemmi dipinti. Proseguendo si giunge alla punta estrema della rupe e alla porta di Capisotto, di fianco alla quale è conservato un tratto di mura etrusche del VI secolo a.C.
A metà di via Zuccarelli si trova il ghetto. Molti sono i ricordi della comunità ebraica, vissuta per mezzo millennio a Pitigliano, che fu luogo di rifugio per gli israeliti ed esempio di convivenza tra ebrei e cristiani, tanto da meritarsi la definizione di “Piccola Gerusalemme”.
La sinagoga, rivolta a est, è stata recentemente restaurata ed ha recuperato il suo arredo, ed è la prima tappa di un percorso alla ricerca delle testimonianze di vita della comunità ebraica, che prosegue nei locali scavati nel tufo e, fuori dell’abitato, il Cimitero Ebraico.
In questo contesto è emozionante addentrarsi nei cunicoli, le vie cave scavate dagli etruschi nel tufo tra il muschio, le felci e il fitto fogliame degli alberi, e che finiscono per intersecare le necropoli dove è stato allestito il parco archeologico all’aperto.
Quest’ultimo, intitolato “La città dei vivi, la città dei morti, è un museo all’aperto organizzato nella “città dei vivi”, con la ricostruzione di una capanna e di una casa arcaica, e nella “città dei morti”, con una riflessione sul culto etrusco della sepoltura. A collegare le due “città”, con un percorso fisico e spirituale tra la vita e la morte, è la via cava del Gradone.
Gli Etruschi, con i loro costumi e i loro riti, ritornano ad inizio luglio durante le Notti dell’Archeologia, una rappresentazione teatrale notturna intorno al Museo Archeologico all’aperto.
La prima quindicina di settembre: con l’apertura delle “cantinelle” scavate nel tufo, inizia la Festa del Vino. Le incredibili cantine scavate nel tufo, dove il vino si conserva a temperatura costante, testimoniano i tempi remoti della tradizione vinicola che ha dato vita al Bianco di Pitigliano, il primo ad ottenere la denominazione Doc in Maremma.
Un’altra piccola località è Sovana, frazione di Sorano.
Un lembo di Maremma in cui è difficile stabilire se siano i ricordi etruschi o quelli medievali a prevalere. I suoi edifici religiosi e civili, concentrati in così poco spazio, dimostrano l’importanza in epoca feudale di questa città costruita su un masso di tufo ai confini con il Lazio.
Sovana è tutta compresa tra la Rocca e il Duomo, monumenti che simboleggiano il potere politico degli Aldobrandeschi e quello spirituale della chiesa. Della Rocca Aldobrandesca, inserita nella cinta muraria medievale, restano possenti ruderi, come il mozzo torrione.
Costruita nell’XI secolo e restaurata dai Senesi e dai Medici, aveva cunicoli sotterranei che comunicavano con le altre porte di Sovana, permettendo agili spostamenti di truppe. Dalla porta della Rocca ci si immette in via del Pretorio e quindi nella piazza centrale, su cui si affacciano, sul lato sinistro, le mura perimetrali di San Mamiliano, la più antica chiesa della città e il palazzo Bourbon Del Monte, appartenuto ai marchesi omonimi, con facciata rustica e ampio porticato risalenti al XVI secolo.
Oggi isolato dal resto del paese, il Duomo si erge sulla parte occidentale dello sperone di tufo che domina la valle della necropoli. Presenta più stili (lombardo, romanico, gotico) corrispondenti alle diverse fasi della sua costruzione, durata secoli.
Ma a Sovana è presenta anche la più importante necropoli etrusca rupestre, costituita da una grande varietà di tombe (a camera, a dado, a edicola, a fossa, a tempio) e da un dedalo di vie cave scavate nella roccia.
Risalgono agli inizi del III sec. a.C. i monumenti funebri più belli, come le grandi tombe Pola e Ildebranda, che riproducono un tempio etrusco di età ellenistica. A luglio un suggestivo spettacolo di prosa si svolge proprio davanti alla Tomba Ildebranda, il più grande monumento funebre etrusco della Toscana.
Il Parco Archeologico della Città del Tufo rappresenta un unico, straordinario museo all’aperto, strettamente collegato alla Fortezza Orsini, alle rocche, ai castelli, alle chiese e ai centri storici che fanno del comune di Sorano un concentrato davvero unico di testimonianze delle civiltà passate.
Tra le molte, meritano una visita la necropoli di San Rocco, con la chiesa medievale, le abitazioni rupestri, le tombe a camera, e l’insediamento rupestre di Vitozza, risalente al Mille e vera città di pietra costituita da un centinaio di grotte ad uso abitazione, un po’ come i sassi di Matera.
La tradizione vinicola qui ha origini etrusche. E lo testimonia il rosso Doc Sovana, un potente vino di Maremma, frutto di uve che raggiungono un perfetto grado di maturazione grazie alle buone condizioni di esposizione ai raggi solari. L’olio è l’altro prodotto tradizionale delle colline dei dintorni di Sovana, noto per la sua qualità che lo rende uno dei migliori della Toscana.
Due elementi che accompagnano e arricchiscono pietanze quali acquacotta e buglione di agnello, tagliato a pezzettini in padella con olio di Sovana, aglio e rosmarino, rosolato a fuoco vivace con aggiunta di sale, peperoncino e amalgamato con concentrato di pomodoro.
Sul versante meridionale del Monte Amiata e circondato da castagni, l’esteso centro storico di Santa Fiora si sviluppa su un colle di trachite ed è diviso in tre terzieri: Castello, Borgo, Montecatino, digradanti in successione dai castagni alle sorgenti del fiume Fiora.
La visita inizia dal terziere di Castello, la parte più antica del paese. La sua originale piazza medievale è dominata dai resti delle strutture fortificate aldobrandesche come i basamenti a scarpa e la torretta dell’orologio, e dal Palazzo dei conti Sforza Cesarini del XVI secolo, oggi adibito a sede comunale,
Nei fondi del Palazzo si trova il Museo delle miniere di mercurio del Monte Amiata, che testimonia la storia delle miniere e il lavoro dei minatori. Il percorso museale con la documentazione storica tenta di far rivivere condizioni antiche e moderne del lavoro, della organizzazione sociale e dello sviluppo delle miniere sul Monte Amiata.
Si prosegue quindi per la Piazza del Suffragio arrivando in seguito alla Pieve delle Sante Flora e Lucilla, che ospita una delle maggiori collezioni al mondo di “robbiane” terracotte invetriate di Luca e Andrea Della Robbia.
Da piazza dell’Arcipretura, attraverso la porta medievale detta Porticciola, si entra nel terziere di Borgo. Prima di scendere conviene soffermarsi un attimo ad osservare il paesaggio che si offre alla vista da un parapetto posto subito dopo la porta, in cui appaiono la vallata del Fiora e sulla sinistra il Monte Calvo.
Si prosegue verso il Santuario del SS. Crocifisso, nel cui coro si conserva il cinquecentesco crocifisso miracoloso molto venerato dalle popolazioni locali. Da qui si prosegue verso il parco di Sant’Antonio, realizzato dove, prima delle riforme di Napoleone, era situato l’omonima chiesa con il convento delle clarisse.
Attraverso porta San Michele si giunge nel terziere di Montecatino, la parte più nuova dove un tempo, favorite dall’abbondanza delle acque, fiorirono diverse manifatture. L’interesse è subito catturato dall’insolito specchio d’acqua che si apre, ovvero una splendida Peschiera del XVI secolo, un suggestivo parco-giardino sforzesco e la vicina chiesa della Madonna delle Nevi sorgono sopra le sorgenti del fiume Fiora, visibili sotto il pavimento in vetro.
Il variegato e ricco calendario di manifestazioni comprende, tra gli altri appuntamenti, il festival internazionale estivo Santa Fiora in musica, con concerti di musica classica e jazz di alto livello nei luoghi più suggestivi, il Palio delle Sante Flora e Lucilla l’ultima domenica di luglio e le Sagre del Fungo e del Marrone santafiorese in autunno, dedicate a due dei prodotti distintivi della località.
Entrando nella provincia di Siena si viene accolti da San Casciano dei Bagni uno dei luoghi della Toscana più bella, un mondo che parla all’intimo del cuore in una dimensione quasi irreale.
Le sorgenti termali hanno reso famoso nei secoli questo antico borgo sui colli senesi, quasi al confine con il Lazio. La sua conformazione urbanistica invita a un percorso circolare, che inizia e termina a Porta di Sopra, girando intorno alla collina su cui è posto il centro storico.
L’immagine con cui si presenta San Casciano dei Bagni è quella del castello con le mura e l’elegante torre. In realtà il castello è un falso storico d’inizio Novecento, ma ben integrato nell’ambiente circostante.
Salendo per via San Cassiano si raggiunge la collegiata di San Leonardo, radicalmente trasformata alla fine del XVI e nella seconda metà del XVIII secolo, quando assunse l’attuale connotazione. Adiacente alla collegiata si trova la chiesa di Sant’Antonio risalente al XVI secolo e modificata in stile barocco.
Proseguendo si incontrano tre degli edifici più belli del centro storico: palazzo Fabbrucci, un tempo residenza di una delle più importanti famiglie locali, palazzo Bulgarini e il palazzo dell’Arcipretura, cinquecentesca sede dell’autorità religiosa che nei secoli ha ospitato prelati provenienti da tutta Europa per curarsi alle Terme.
Continuando lungo i resti delle antiche mura si incrocia un percorso salute all’interno del quale è possibile accedere liberamente alle acque raccolte nelle antiche vasche termali del Bagno Grande e del Bagno Bossolo.
Intorno a San Casciano dei Bagni ci sono le emozioni della campagna toscana che, al confine con Umbria e Lazio, diventa un susseguirsi di colline ondulate, dove il verde dorato degli ulivi e i filari di viti disegnano un paesaggio unico al mondo.
Uno degli eventi sicuramente degni di nota è la Sagra del Ciaffagnone, terza domenica di giugno: festa dedicata al piatto tipico di San Casciano. I ciaffagnoni sono una sorta di grosse frittelle di acqua e farina che, dopo la cottura, vengono cosparse di pecorino oppure zucchero.
A Cetona il fascino di antiche civiltà si sposano con la natura circostante di una valle punteggiata di ulivi, pini e cipressi.
Basta salire per le strette vie lastricate chiamate “coste”, perché costeggiano il monte, o addentrarsi nella “cittadella”, l’antico insieme di case che domina la piazza rinascimentale, per cogliere la poeticità di questo luogo tra emozioni medievali e suggestioni naturalistiche.
Le mura, che un tempo avevano tre giri, oggi conservano nel rotondo torrione del Rivellino, risalente alla metà del XVI secolo, la traccia più importante della terza cerchia. La struttura urbana risente delle vicende guerresche del periodo medievale, quando Cetona doveva dividersi tra Siena e Orvieto che se la contendevano con le armi.
Verso la metà del Cinquecento, la costruzione della piazza, oggi dedicata a Garibaldi, come nuovo accesso al borgo medievale, rappresentava la realizzazione di un sogno. L’artefice di questo rinnovamento rinascimentale fu Gian Luigi Vitelli detto Chiappino, che volle vestire i panni del buon governatore realizzando questa piazza dalla forma ovale, stranamente troppo grande per un borgo così piccolo.
Ad essa fanno da contorno edifici sei-settecenteschi, tra cui l’antico palazzo Vitelli, l’ex chiesa cinquecentesca della Santissima Annunziata e in un angolo nascosta tra le case, la chiesa di San Michele Arcangelo, eretta nel 1155 ma rimaneggiata nella seconda metà del XVII secolo.
Salendo verso la Rocca, si attraversa il Rione delle Monache, con le case allineate lungo l’antico tracciato delle mura. Dalle finestre o dalle porte spesso rivestite in pietra, lo sguardo si immerge nella campagna e nei monti, dove i colori dominanti sono l’argento degli ulivi e il verde scuro dei cipressi.
In alto, domina la Rocca con il suo maschio superstite sommerso dal verde dei pini e dei cipressi, rappresentando il nucleo più antico di Cetona, originario del X secolo e trasformato in abitazione nel XVI, con l’aggiunta di nuovi corpi edilizi.
Merita sicuramente una visita il Parco Archeologico Naturalistico di Belverde, in cui è possibile visitare alcune delle grotte che si aprono nel travertino, frequentate per scopi funerari o di culto. L’Archeodromo di Belverde, invece, è una specie di estensione del Museo per la Preistoria. Un laboratorio didattico all’aperto che comprende la simulazione di uno scavo archeologico e la ricostruzione di un insediamento dell’età del bronzo e di un accampamento paleolitico, collegati da un itinerario nel bosco che tocca punti panoramici del territorio.
Un appuntamento gastronomico tradizionale che coinvolge tutta la popolazione del piccolo centro tra fine giugno e i primi di luglio è la Sagra del Bico, a cui segue Cetona tra Arte e Gastronomia, itinerario nelle vie del borgo tra sapori ed esposizione d’arte l’ultimo fine settimana di settembre. In questa occasione si possono anche assaggiare i pici con l’aglione, una sorta di grossi spaghetti fatti a mano, conditi con una salsa di pomodoro con molto aglio e peperoncino.
Intatto per secoli, al riparo del fossato e dei merli guelfi del cammino di ronda, il borgo di Buonconvento ha subito grandi trasformazioni solo nell’800.
Il borgo. All’interno, è attraversato da nord a sud da via Soccini, in ricordo dell’antica famiglia che contava tra i suoi membri un paio di eretici, contestatori nel XVI secolo di alcune dottrine della chiesa.
La via in cui nacque, si può dire, il “socianesimo”, è anche la più nobile di Buonconvento, quella su cui si affacciano i palazzi del potere e dei maggiori possidenti. Primo fra tutti il palazzo Podestarile con la torre civica a pianta rettangolare del XIV secolo e i due archi gotici che si aprono sulla facciata.
Poi il palazzo Comunale con la bella fronte in mattoni e l’imponente palazzo Taja, costruito tutto in mattoni nella seconda metà del ’700 da una nobile famiglia. Sul lato sud la facciata è mossa da un grande balcone con ringhiera in ferro lavorato, sormontato da una meridiana solare.
Vicino si nota il palazzo del Glorione, in passato proprietà dello Spedale di Santa Maria della Scala che vi aveva ricavato un ospedale e un ospizio, dato che di qui passava la via Francigena. Oggi, al pian terreno, ha sede il museo della Confraternita della Misericordia, con l’interessante oratorio di San Sebastiano, databile XVI secolo.
Di fronte si trova la chiesa dei Santissimi Pietro e Paolo, anch’essa con bella facciata in mattoni. Le sue attuali forme classicheggianti sono il frutto del restauro settecentesco. Le importanti opere che vi erano collocate, dei migliori artisti senesi tra i quali Duccio di Boninsegna, sono custodite nel museo d’Arte Sacra della Val d’Arbia, che s’incontra proseguendo il cammino, ospitato nell’ottocentesco palazzo Ricci-Socini.
Ma Buonconvento significa anche liberty, un fenomeno tipicamente urbano che curiosamente ha attecchito anche qui, ponendo il paese all’attenzione del mondo dell’arte e del buon gusto. Il liberty a Buonconvento viene rappresentato con uno stile pacato, raffinato, giocato sui materiali, sugli effetti decorativi, negli esterni come nella decorazione di interni. Ne sono importanti esempi palazzo Farnetani, palazzo Ricci, la palazzina Castellani Bettarini e la palazzina Sensi, d’ispirazione coppedé.
Il terzo sabato di giugno con Prima Luna d’Estate ha luogo una lunga tavolata con piatti tipici ricostruita nella via principale del borgo, mentre dal terzo sabato alla quarta domenica di settembre ha luogo la Sagra della Val D’Arbia, manifestazione caratterizzata da spettacoli, mercatini dei prodotti tipici, mostre culturali, di pittura e scultura, degustazione di piatti tipici tradizionali.
Il trionfo della toscanità significa tavole imbandite a base di salumi, bruschette, panzanelle, pappa al pomodoro, pici con le briciole, pappardelle al sugo di lepre, tagliolini in passato di ceci, arista di maiale con fagioli toscanelli.
I vini sono tutti Doc: il bianco Val d’Arbia, anche nella versione vinsanto, l’Orcia rosso e bianco, dalle cui uve derivano anche un buon novello e il vinsanto. Profumi memorabili sono sprigionati dal tartufo bianco delle Crete Senesi e da quello marzolo, come indimenticabile è la carne di vitello locale, di razza chianina e la carne dei maiali di cinta senese.
Spostandosi nella zona di Arezzo si incontra Lucignano dove è necessaria una visita al Museo Comunale che ospita l’Albero d’oro reliquiario alto 260 cm realizzato tra il XIV e il XV secolo per conservare le reliquie dei santi francescani e della Croce di Cristo, diventando un esempio unico e insuperato di oreficeria medioevale.
Di particolare fascino e suggestione è anche il grande affresco universalmente conosciuto come “Il Trionfo della morte” presente nella Chiesa di San Francesco, mentre nella Chiesa della SS. Annunziata detta della Misericordia, ma detta anche dei Battenti Neri, dal colore delle cappe dei confratelli, sono di particolare pregio due statue di terracotta invetriata di suola robbiana
Il Santuario della Madonna delle Querce è nato dal culto della fonte del latte. L’acqua del pozzo all’interno della chiesa veniva fatta bere alle donne in quanto curava la mancanza di latte e la sterilità, mentre il progetto della sua costruzione è attribuito a Giorgio Vasari.
La Fortezza di Lucignano, invece, è situata in un colle poco lontano dalle mura del paese, parte della costruzione di una fortificazione che doveva servire alla difesa del castello dopo la conquista da parte dei fiorentini intorno alla metà del 1500.
Tutti i giovedì di luglio e di agosto nel centro storico di Lucignano si svolge Di Giovedì Sere d’Estate a Lucignano, un mercato di prodotti tipici locali. Il primo giovedì è inaugurato con una serata medioevale, con l’apertura delle antiche porte del paese, allietato da giullari, mangiafuoco e battaglie tra armigeri.
Le ultime due domeniche di maggio si svolge la Maggiolata Lucignanese. Nei giorni della festa le strade del paese, gli stretti e caratteristici vicoli, i balconi e gli archi che rendono questo luogo uno dei posti più apprezzati d’Italia, sono tutti ricoperti di composizioni floreali, tra le quali spicca il giallo intenso delle ginestre, qui comunemente chiamate “maggio”.
L’Antica Fiera del Ceppo, conosciuta anticamente come Fiera del Cappone, è un evento previsto come ogni anno la domenica antecedente il Natale. Vede la partecipazione di tantissimi espositori di prodotti di artigianato tra presepi, addobbi natalizi, bambole di pezza, giocattoli di legno, nonché prodotti alimentari tipici che vanno dal tartufo al pecorino, dal prosciutto e salumi al miele e marmellate, dai dolci natalizi all’olio di oliva.
Anghiari, un bastione inviolabile grazie alle potenti mura duecentesche, ebbe una grande importanza nel Medioevo per la sua posizione strategica.
L’aura di mistero, che la magia del tempo rende ineffabile, penetra negli scorci medievali che rimandano a passioni splendenti, a rumori di spade.
Uno splendido borgo medievale che domina la verde valle dell’alto Tevere. Questo angolo di Toscana ha visto il passaggio nel 1164 di Thomas Becket: l’Arcivescovo di Canterbury ottenne dagli allora signori di Anghiari le carbonaie del Castello dove gli Spedalieri di Sant’Antonio, suoi accompagnatori, costruirono un oratorio.
Su di esso fu poi edificata la chiesa di Sant’Agostino, ampliata nel 1464 in seguito al crollo del campanile. Di origine ancora più antica, forse rupestre, è la chiesa della Badia, il primo luogo di culto nel borgo risalente al XI secolo.
L’imponente rocca costituiva il nucleo fortificato attorno a cui si sviluppò Anghiari. Il Cassero fu luogo di difesa e monastero camaldolese, chiamato per questo Conventone. Insieme all’antico Cassero, la torre dell’orologio, detta il Campano, è un elemento emergente del paesaggio urbano di Anghiari.
Al centro del nucleo antico del paese, il palazzo Pretorio mostra nella facciata i segni della struttura originaria, con finestre ad arco a tutto sesto, un grande affresco situato sotto una loggia e stemmi in terracotta e pietra.
Palazzo Taglieschi è subito riconoscibile per l’articolata facciata. Pur essendo una costruzione rinascimentale, nasce dall’unione armonica di case-torri preesistenti. Di fronte vi è il palazzo del Marzocco, edificio del XV secolo che apparteneva alla nobile famiglia degli Angelieri e oggi, dopo il restauro, è sede del Museo delle Memorie e del Paesaggio.
Particolare importanza, qui, è dedicata alla Battaglia di Anghiari quale avvenimento storico, politico ed artistico. Inoltre, strumenti preistorici, manufatti romani, frammenti scultorei altomedievali, manoscritti antichi, ceramiche invetriate e armi da fuoco, raccontano la storia della Val Tiberina dall’antichità a oggi.
Il 29 giugno, con il Palio della Vittoria, le suggestioni e le tradizioni della Toscana di confine ricordano la famosa Battaglia del 1440 celebrata dal genio di Leonardo. Al tramonto scocca l’ora del Palio, epica sfida fra i corridori rappresentanti dei Comuni limitrofi: il vincitore andrà in premio il Palio.
Ma tra le tipicità di Anghiari spicca la Mostra mercato dell’artigianato della Val Tiberina toscana, dal 24 aprile al 2 maggio, uno degli appuntamenti più attesi della vallata che conferma la vocazione artigianale e antiquaria di Anghiari.
Il borgo di Anghiari, infatti, è un nido di consumati antiquari che battono le zone vicine alla ricerca di preziose testimonianze del passato. La passione si è trasformata in attività commerciale grazie alla presenza, in paese, di abili restauratori, artigiani capaci di restituire qualsiasi oggetto al suo primitivo splendore.
I Centogusti dell’Appennino, il primo fine settimana di novembre, è una mostra-mercato dei prodotti enogastronomici del territorio, tra cui risaltano i “bringoli” il classico piatto anghiarese: spaghettoni di sola acqua e farina fatti a mano dalle massaie del paese e conditi con sugo di funghi porcini raccolti nei boschi della Val Tiberina oppure con sugo di carne “chianina”.
Poppi rappresenta una Toscana diversa.
Si tratta del Casentino, terra di castelli e pievi romaniche, di luoghi danteschi e terrecotte robbiane, dove è ancora più forte l’impronta del Medioevo.
Da queste parti, dove l’Arno si apre la strada in mezzo ai monti dell’Appennino, verso i confini di Romagna, tutto è più fosco, più feudale, più boscoso e più mistico. L’abbondanza d’acqua e di boschi ha reso questi luoghi prediletti da mistici ed eremiti e fonte d’ispirazione per poeti.
Poppi è posto al centro del Casentino, una valle tra le più belle della Toscana. Il borgo medievale è una rara città murata alla cui sommità signoreggia il castello dei Conti Guidi, opera della celebre famiglia di architetti Di Cambio e “prototipo” di palazzo Vecchio in Firenze.
Costruito nel XIII secolo, è caratterizzato da una facciata a bifore, al centro della quale si stacca un’alta torre, e circondato da mura di cinta con merli guelfi e da un ampio fossato. Grazie ai diversi restauri, il Castello di Poppi si trova oggi in un eccellente stato di conservazione.
Ospita al suo interno un museo e la biblioteca antica divisa in due sezioni: la storica “Rilliana”, che prende il nome del suo fondatore, il conte Rilli-Orsini, e custodisce 25 mila libri antichi, tra cui 600 incunaboli e 800 manoscritti d’epoca medievale, e la moderna Vettori con circa 30 mila volumi.
Scendendo dal castello si incontra la chiesa dei Santi Marco e Lorenzo del XVIII secolo che ospita opere del Ligozzi e del Morandini. Davanti a questa, nella piazza principale, è visibile un raro esempio di “barocchetto” toscano, l’oratorio della Madonna del Morbo che risale al XVII secolo.
Proseguendo per il borgo maestro fiancheggiato da portici, elemento architettonico raro in Toscana, si giunge alla Badia di San Fedele del XI secolo, ricca di opere d’arte che risaltano dalle nude pareti in pietra, tra le quali un Crocifisso giottesco,
Il territorio di Poppi è situato all’interno di un’area protetta di interesse primario, il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, istituito nel 1993 e ricco di bellezze naturalistiche. Grande e storica riserva di legname per i Granduchi di Toscana, i boschi del Casentino custodiscono, immersi nella pace e nel silenzio, due dei maggiori centri di spiritualità del mondo.
Il primo è l’Eremo di Camaldoli, fondato da San Romualdo nel 1012, e il secondo la Verna, il Santuario fondato da San Francesco che qui, nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, vi ricevette le stimmate. Entrambi i luoghi sono raggiungibili da Poppi in una ventina di minuti d’auto.
Il Gusto dei Guidi, infine, è una mostra mercato dei vini di Toscana e dei prodotti tipici casentinesi che ha luogo il terzo fine settimana di agosto, mentre il piatto locale è il tortello di patate, che differisce dal raviolo solo nel ripieno: al posto di spinaci e ricotta, qui c’è l’incomparabile tubero Dop del Casentino.
Adagiato su uno sperone che domina la valle del torrente Teggina, nel versante casentinese del Pratomagno si trova Raggiolo, frazione di Ortignano Raggiolo.
Concentrato nella sua piccola dimensione urbana, Raggiolo si presenta con la semplicità di chi ha radici profonde. Storie di Longobardi, di signori feudali, ma anche storie di fieri montanari, ricchi solo dell’acqua dei torrenti e della castagna, così importanti nell’economia locale da aver dato il nome ad un modo di coltivare, la “raggiolana.
Tutto a Raggiolo è pietra: le strade selciate irte e difficili, i ponti sui torrenti impetuosi, i mulini e i lavatoi, qualche seccatoio per le castagne rimasto tra i tanti di un tempo. Il nucleo più antico del paese è così compatto ed aggregato tra casa e casa, tra pietra e pietra, da rendere subito evidente il passaggio dal castello feudale dei Conti Guidi al borgo.
L’unica testimonianza medievale del paese è la facciata della chiesa di San Michele, ricavata dall’ antico palazzo del conte Guido Novello Guidi, di cui conserva alcuni elementi come il bellissimo portale gotico con imponente architrave sormontato da uno stemma consunto della fiorentina Arte della Lana.
Accanto alla chiesa, nella vecchia scuola del paese, ha sede l’Ecomuseo della Castagna, custode della memoria collettiva di Raggiolo. Un luogo di grande suggestione, soprattutto in autunno con il fuoco accesso e le castagne sul graticcio, è il seccatoio dei Cavallari, dove avveniva l’essiccazione delle castagne.
Dal seccatoio si scende verso il torrente fino al Mulino di Morino. L’opificio, oggetto di un intervento di recupero strutturale e funzionale, è stato riattivato ed è possibile assistere alle diverse fasi della molitura. Dal mulino, attraversato il torrente Barbozzaia, è possibile effettuare due brevi ma significativi percorsi.
Tra questi il Sentiero della Fonte della Diavolina, che consente di raggiungere, attraverso un percorso nel bosco una piccola sorgente così chiamata per le particolari proprietà diuretiche delle sue acque, e il Sentiero della Mercatella che, costeggiando il torrente, consente di rientrare nel cuore del borgo attraverso uno degli antichi percorsi di accesso.
L’evento principale del borgo è la Festa della Castagnatura, in autunno, che alla castagna raggiolana, deve tutto: passato, presente e futuro e piatti tradizionali sempre a base di castagna come la polenta dolce, gli gnocchi di castagne con pecorino e pancetta e il castagnaccio, dolce a base di farina di castagne, pinoli e uvetta,
Loro Ciuffenna si trova tra l’Arno e le colline che fanno da preludio alla montagna del Pratomagno.
Intorno si sviluppano le Balze, curiose formazioni naturali di argilla e sabbia alte fino a cento metri.
Con il suo crinale di dolci pendii, il massiccio appenninico del Pratomagno è un impasto di erba, roccia e bosco che sorveglia una Toscana di borghi dimenticati e pievi romaniche. Le case in pietra costruite a strapiombo sulle gole del fiume Ciuffenna, le viuzze lastricate, buie e tortuose, il vecchio ponte avvertono che il Medioevo ha lasciato qui segni profondi,
Un ponte introduce alla porta dell’Orologio, da dove si entra nel nucleo più affascinante del borgo, costruito lungo un unico asse viario di attraversamento da est a ovest. Prendendo a sinistra la strada in salita, si arriva alla chiesa di Santa Maria Assunta, già citata nel 1275.
Il percorso naturalistico s’intreccia con quello artistico-religioso per svelare le bellezze della valle dell’Arno. Le chiese del territorio di Loro Ciuffenna sono tutte di origine romanica, e spesso conservano di quello stile i tratti fondanti.
Ma sono soprattutto le pievi, costruite sul tracciato dell’antica via Clodia, che ricalca all’incirca quello dell’attuale via dei Sette Ponti, a caratterizzare questo territorio. Delle sei pievi poste sulla Sette Ponti, due sono nel comune di Loro: quelle di San Giustino e di Gropina.
La prima è nominata sin dal 1011 e si presenta a pianta basilicale a tre navate e con ben tre interventi di restauro: in occasione di quello settecentesco furono realizzate le quattordici tele delle stazioni della via Crucis.
La pieve di San Pietro a Gropina è una delle più belle della Toscana, un capolavoro del romanico che ingloba l’antica chiesa paleocristiana e l’edificio longobardo, come attestano alcune tombe ritrovate con le lastre di chiusura ancora scolpite con la tipica croce.
Percorrere in bici la via dei Sette Ponti permette di apprezzare in tranquillità il fantastico paesaggio delle Balze. Il crinale del Pratomagno si presta, invece, alla mountain bike, mentre per le escursioni a piedi, si può scegliere tra il corso del Ciuffenna, dove d’estate si può fare il bagno sotto le cascatelle, e i prati vicino alla Croce del Pratomagno, a quasi 1600 metri d’altitudine.
Una coltura tipica della zona è il fagiolo zolfino, così chiamato per il colore giallino che richiama quello dello zolfo, ma anche qui sono soprattutto le castagne l’ingrediente principale dei piatti locali, tra cui coniglio con salsiccia e castagne e, sempre che sia stagione, le frittelle oppure la polenta di castagne, ottima con ricotta o pecorino fresco, e accompagnata al baccalà arrostito.
Castelfranco Piandiscò, appare ordinata, geometrica, secondo uno schema a scacchiera di assi ortogonali.
Le balze, create da un fenomeno di erosione del terreno, disegnano un paesaggio giallastro di forte suggestione che sembra proiettare questo angolo di Toscana nell’Arizona, se non fosse per le macchie verdi di vegetazione.
Le balze e i calanchi della Valdarno tra Firenze e Arezzo attirarono l’attenzione scientifica di Leonardo da Vinci, che le utilizzò come sfondo in vari dipinti e disegni. Particolarmente affascinanti le balze dell’Acqua zolfina, poco distanti dalla panoramica strada dei Sette Ponti, dalla quale si scorge la medievale torre di Castelfranco incorniciata dai calanchi.
Castelfranco di Sopra ha un impianto urbano che ricalca il castrum romano, con le vie ortogonali e la piazza centrale sulla quale si affacciavano gli edifici del potere. A disegnare la città sarebbe stato, secondo Vasari, il celebre architetto Arnolfo di Cambio, e l’impronta fiorentina è ancora visibile, non solo nel tracciato urbano ma anche in alcune abitazioni del primo tratto della via Maestra.
Scendendo dalla piazza lungo via Cavour si trova la chiesa di San Filippo Neri, che si presenta con una facciata del 1761. In fondo a via Cavour ecco la torre d’Arnolfo, detta anche Porta Campana, l’unica torre sopravvissuta che reca scolpiti il giglio di Firenze e la data della sua costruzione, il 1300.
A San Filippo Neri è dedicata la Festa della Grandine, terza domenica di maggio. Risale al Settecento ed è un evento in cui la cui reliquia del santo è portata in processione a ricordo della protezione dalle malattie e dalla grandine da lui accordata alla popolazione del borgo.
Come ovunque in Toscana, protagonisti sono l’olio e il vino: il primo, dal gusto deciso e non acido, è perfetto con una fetta di pane abbrustolito o con i celebri fagioli zolfini, altro prodotto tipico della zona, mentre il vino è l’ottimo Chianti Doc dei Colli Aretini.
I piatti tipici sono quelli della cucina tradizionale toscana, proposti a Castelfranco con alcune varianti. Tra tutti, i crostini con milza e fegatino, la pappa al pomodoro, il pollo alla diavola, i rocchini di sedano e la schiacciata con l’uva.
E dopo aver assaggiato le prelibatezze locali il trekking a piedi, in bicicletta e a cavallo, è il modo più indicato per scoprire in tutta tranquillità luoghi e scorci panoramici nei dintorni di Castelfranco. Oltre all’area naturale delle Balze, che si trova sotto la via Setteponti, sono da vedere nel territorio comunale numerosi poderi e case coloniche di grande interesse architettonico e ambientale.
Il viaggio continua nella provincia di Firenze con Montefioralle, frazione di Greve in Chianti
Nel capoluogo comunale si trova il Museo di Arte Sacra di Greve in Chianti, che oltre a reperti archeologici custodisce una preziosa collezione di arte sacra, divisa in tre sezioni: dipinti e sculture, oreficerie e arredi sacri, paramenti di manifattura toscana.
Tra le molte opere interessanti si segnalano un rarissimo vetro dipinto cinquecentesco, il grande gruppo scultoreo in terracotta policroma attribuito alla mano di Baccio da Montelupo risalente al secondo decennio del secolo XVI, la tavola della Madonna col Bambino e i santi Bartolomeo e Francesco di Francesco Granacci.
Ci si trova nella zona del Chianti Classico, pertanto sono numerosi gli eventi legati al vino. Nel mese di maggio ha luogo I Vini del Castello a Montefioralle, mentre a settembre l’Expo del Chianti Classico a Greve in Chianti è l’appuntamento più rilevante per chi volesse conoscere l’enogastronomia del territorio, incontrare i viticoltori e visitare le cantine. Alla frittella di riso, figlia della cultura contadina, è dedicata una sagra nel fine settimana più vicino alla festa di San Giuseppe del 19 marzo.
Montaione invece, è il paese del turismo verde in Toscana, Situato tra la Valdelsa e il Volterrano, circondato da colline di boschi di querce e castagno, poderi coltivati a vite e olivo, il borgo di origine medievale si raccoglie intorno al suo campanile.
Protetto da una robusta cinta muraria rafforzata da undici torri, accessibile da due porte principali, Porta Fiorentina e Porta Pisana, il castello presentava un tessuto urbano di forma ovale basato su uno schema viario costituito da tre strade parallele collegate da stretti vicoli ortogonali.
Tra gli edifici più prestigiosi del borgo si annoverano il Palazzo Pretorio e la Chiesa di San Regolo, entrambi affacciati, direttamente o indirettamente, sulla piazza centrale. Già alla metà del XIII secolo il Palazzo Pretorio era il luogo deputato al governo della comunità.
La sua facciata in pietre e mattoni, infatti, è adornata da una serie di stemmi in pietra e terracotta invetriata, che rappresentano alcune delle famiglie di notabili succedutesi nei secoli al governo del Comune.
San Regolo è la chiesa più importante di Montaione. Presente già nel basso Medioevo, ha subito nel tempo molteplici rifacimenti. L’esterno è contraddistinto da massicci contrafforti congiunti da arcate a sostegno della volta.
Montaione è città del tartufo. Il borgo infatti è situato nell’area delle Colline Sanminiatesi, una delle zone tartufigene più pregiate d’Italia. In autunno il tartufo bianco di Montaione impreziosisce le tavole dei ristoranti, e a fine ottobre si svolge Tartufesta – Mostra Mercato del Tartufo dei Prodotti Tipici, la festa che celebra i valori del territorio.
E attraversando Firenze si arriva a Scarperia e San Piero paese dell’anima di ferro appena ingentilita dalle pitture rinascimentali disseminate in palazzi e chiese.
Qui tutto parla di ferri taglienti, cioè di “coltelli, cisoje e temperini”, la cui produzione assicurò fama agli artigiani locali, dal Medioevo fino a metà Settecento. Dall’umile coltello della mensa dei poveri alle preziose lame impugnate dai nobili, dal fedele utensile usato nel lavoro dei campi al pugnale come pegno d’amore o simbolo di fedeltà.
Scarperia è uno dei centri storici più interessanti del Mugello, una conca interna della Toscana che i valichi appenninici mettono in comunicazione con Bologna e con la Romagna, da cui ancora oggi è attraversato.
Il cuore dell’insediamento fortificato è il palazzo dei Vicari, residenza di impianto trecentesco. Due grandi muraglie che formano un vasto cortile interno lo raccordano al mastio, a sua volta inserito nel percorso occidentale della cinta muraria. I restauri dopo il terremoto del 1929 lo hanno reso simile al palazzo Vecchio di Firenze.
Il palazzo dei Vicari si affaccia sulla piazza principale del paese che mette in mostra anche due interessanti edifici religiosi. Il primo è la propositura, fondata da Frate Napoleone dei Galluzzi nel 1326 e intitolata ai Santi Jacopo e Filippo.
L’altro notevole edificio è l’Oratorio della Madonna di piazza, risalente al 1320 circa. Qui si svolgeva la solenne cerimonia di insediamento dei Vicari, che ricevevano il giuramento di obbedienza dei Podestà e prendevano possesso del loro ufficio.
A Palazzo dei Vicari ha sede anche il Museo dei Ferri Taglienti che si articola in diverse sezioni: dal profilo storico del coltello e del suo uso si passa all’informazione sui centri produttori di coltelli in Italia e infine a una esposizione di coltelli, armi corte, pugnali fabbricati a Scarperia.
La Bottega del Coltellinaio è un’appendice del Museo dei Ferri Taglienti, una sorta di museo vivente in cui è possibile seguire le varie fasi della lavorazione artigianale del coltello. Da giugno a settembre, poi, ha luogo la Mostra del Coltello, in cui gli appassionati di ferri taglienti possono ammirare pezzi provenienti da musei pubblici e collezioni italiane ed europee.
Alimenti poveri in origine, ma ottimi nella loro combinazione danno vita a una cucina di forte impronta appenninica. La ribollita è un piatto toscano per eccellenza, chiamata anche zuppa di fagioli alla fiorentina, mentre i tortelli di patate sono tipici del Mugello.
Un altro incantevole borgo del Mugello è Palazzuolo sul Senio un luogo dove ritrovare l’emozione della vita a contatto con la natura, un’oasi immersa nel verde di dolci montagne.
Attraverso le testimonianze storiche, artistiche e culturali si può compiere un affascinante viaggio nel passato glorioso di questo borgo. Al di fuori di esso, percorsi naturalistici di ogni tipo consentono di scoprire un paesaggio incontaminato ed una natura meravigliosa, per cui Palazzuolo viene definita “la piccola Svizzera dell’Appennino”.
Il nucleo storico è diviso in due parti, Borgo dell’Ore e Borgo del Crocifisso, separate dal ponte sul fiume. La parte più antica è il Borgo dell’Ore, costruito intorno al palazzo dei Capitani, luogo di antiche botteghe.
Palazzo dei Capitani è contrassegnato da un portico d’angolo e da un ingresso sopraelevato. Edificato alla fine del Trecento, porta sulla facciata gli stemmi dei Capitani del Popolo che qui ebbero residenza e giurisdizione.
Dalla piazza si arriva attraverso un vicolo in un altro slargo dominato da palazzo Strigelli, costruzione del 1804 restaurata e utilizzata al piano terra come Biblioteca Comunale. Nel borgo antico vi sono altri angoli dove riposare i pensieri, come via Borgo dell’Ore, la parte più antica di Palazzuolo.
Al di là del fiume Senio, nel Borgo del Crocifisso, le case si dispongono intorno alla piazza del Crocifisso che un tempo ospitava lo “Spedale” di Santa Maria Maddalena, luogo di accoglienza e cura dei pellegrini.
Qui si trova la chiesa parrocchiale dedicata a Santo Stefano, snaturata nella sua struttura originaria dopo varie ricostruzioni, a partire da quella del Cinquecento. Si dice che in una lapide, andata perduta, fossero scolpiti i simboli dell’eresia ariana, la forbice e il pesce, segno di una probabile fondazione pagana, databile al IV secolo.
Dall’altra parte del ponte, invece, si sale a sinistra per una stradina di ghiaia, finché in una sella del monte, a un’altezza di 800 metri, appare il borgo disabitato di Lozzole, sperduto tra i crinali con la sua chiesa cinquecentesca restaurata, miraggio di una civiltà rurale scomparsa di cui ancora però si sente la voce, là dove la Romagna si confonde con la Toscana.
Palazzuolo sul Senio è Città del Bio: mele, pere e castagne sono prodotte senza fitofarmaci, c’è un caseificio con ottimi formaggi e, soprattutto, c’è l’Albergo Diffuso Locanda Senio dove un oste d’altri tempi vizia gli ospiti con l’emblema del Mugello, vale a dire il tortello fatto a mano che sa di pasta fresca, uova e patate.
Restando nella parte nord della Toscana si compie un piccolo viaggio che attraversa la regione fino ad arrivare nei pressi delle Alpi Apuane.
Nel territorio di Lucca si trova infatti Castiglione di Garfagnana terra di lupi e di briganti” così definita da Ludovico Ariosto che arrivò qui nel 1522 come commissario estense.
Oggi invece si resta affascinati proprio da questa atmosfera selvatica che non si è arresa al cemento. La natura, qui, resiste con paesaggi severi, di contrasto: il borgo di Castiglione è murato, perduto tra i boschi e circondato dai monti.
I nomi gentili dei due torrioni della Brunella, nella cinta muraria, e della Campanella, nella rocca, non devono far dimenticare che questo fu il castello più importante della Repubblica di Lucca a difesa del confine con il ducato di Modena.
La rocca è una struttura imponente con tre torrioni, il più grande dei quali è il mastio. Dai torrioni si apre una visione panoramica di tutta la conca della Garfagnana con la cornice, a ovest, del massiccio delle Alpi Apuane.
Il robusto profilo della cortina muraria si apre al centro sulla “piazzola”, dove la porta del ponte levatoio ha due torrioni che le fanno da guardia, quello dell’Orologio, ricostruito, insieme alla torre, dopo il crollo del 1920, e quello del Fattori, che mantiene ancora intatte le caditoie.
Si entra nel centro storico dalla Porta del ponte levatoio, che immette nella piazza del Castello. Qui si trovano il rinascimentale palazzo del Parlamento, sede del Vicario e oggi del Municipio. Ma l’occhio è subito catturato dalla chiesa di San Michele, consacrata nel 1403, con la sua facciata tardogotica realizzata in pietra grigia, marmo rosso e marmo bianco.
Poco distante da Castiglione merita una sosta San Pellegrino in Alpe, importante punto di passaggio per i pellegrini che dalla Toscana si recavano in Emilia, come dimostra l’esistenza di un ospizio, o “ospedale”, documentato dal 1100 come ricovero per i viandanti, soprattutto nei mesi invernali.
Nelle sale dell’antico ospitale è collocato il Museo etnografico Don Luigi Pellegrini che ospita una raccolta di circa quattromila oggetti di uso domestico e agricolo curata da Don Luigi Pellegrini, documenta la civiltà rurale in Garfagnana e in Appennino.
Nei ristoranti di Castiglione, in inverno, è possibile gustare il piatto forse più tipico: la polenta di castagne accompagnata con ossi di maiale bolliti. Per il resto, funghi, castagne e tartufi sono la base della gastronomia locale. I necci, focacce di farina di castagne, si sposano perfettamente con formaggi freschi e ricotta.
La struttura urbana di Barga è rimasta più o meno quella dell’età comunale, segnata dalla ragnatela delle strade che si aprono tra l’irregolarità degli edifici.
L’ingresso al borgo avviene da porta Reale e si imbocca via del Pretorio, attraversata da vicoli e carraie. Oltrepassata una piazza, si giunge al conservatorio di Santa Elisabetta, antico monastero delle Clarisse che custodisce una bellissima pala d’altare della scuola dei Della Robbia e un Crocifisso quattrocentesco.
Subito si arriva nella parte più alta del castello, dominata dalla mole imponente del Duomo, da cui lo sguardo corre ai tetti del centro storico e, oltre il verde dei colli punteggiati di paesi e casolari, alla corona montana delle Apuane.
La facciata principale del Duomo romanico, costruito a più riprese dal XI al XVI secolo in chiari blocchi di alberese, un calcare locale che acquista tonalità e sfumature a seconda delle condizioni atmosferiche, è l’antico fianco rimaneggiato della primitiva chiesa del Mille.
Dal piazzale del Duomo si scende, per un’ampia scalinata, alla chiesa del Santissimo Crocifisso, dalla facciata tardo cinquecentesca e dall’interno ricco di decorazioni in stucco e oro. Da via della Speranza si arriva alla porta Macchiaia, così detta perché apre alle grandi macchie e ai boschi dell’Appennino
Su piazza Salvi si affacciano due edifici nello stile fiorentino del Cinquecento: la loggia dei Mercanti e palazzo Pancrazi, oggi sede del Comune. La Loggia, elevata su agili colonne, fu costruita quando Cosimo I de’ Medici istituì il mercato di Barga nel 1546, i cui maggiori prodotti erano il sale e la seta.
Da qui si passa in piazza Angelio, che per le sue armoniose proporzioni ha il decoro di un salotto all’aperto. Più avanti c’è il teatro dei Differenti, costruito nel 1795 su uno precedente del 1689, dall’Accademia dei Differenti, promossa e sostenuta dai Medici.
Barga è immersa nella verde e rustica bellezza della Garfagnana, avvolta nel manto salutare e profumato dei boschi, punteggiata di antichi borghi, le cui luci, brillano la sera fra le selve scure. Grande amore per la terra e tradizioni che s’intrecciano col presente fanno il fascino di questi luoghi.
Elementi che danno vita a molteplici ricette a base di castagna, prodotto principale del luogo, e a al minestrone di farro, un cereale largamente usato nell’antichità e riscoperto dalla nouvelle cuisine toscana. Non c’è ormai ristorante tipico che non proponga con successo questo piatto povero ma sostanzioso.
Salendo dal fondovalle Coreglia Antelminelli appare improvvisamente, adagiata su un lungo crinale che scende dall’Appennino.
Circondata da immense distese di castagni che dai bassi torrenti risalgono verso il paese, è stata amata da pittori, poeti e filosofi attratti dall’impagabile visione delle Alpi Apuane e dei rilievi appenninici.
La Media Valle del Serchio, la parte nord-orientale della provincia di Lucca, un angolo di Toscana stretto tra le Alpi Apuane e l’Appennino tosco-emiliano è una zona di grande suggestione che unisce in perfetta simbiosi arte, storia e natura.
Le pievi, belle nella loro semplicità, i borghi e i ruderi dei castelli sono i vigili osservatori del passare del tempo. Tra questi paesi c’è Coreglia. Protetto dalle cime appenniniche del Giovo e del Rondinaio, si sporge verso la valle del Serchio da una rupe che, al tramonto, prende un colore rosato all’ombra di una torre che fa da richiamo alle nuvole.
Due chiese meritano il viaggio. Quella di San Martino è preromanica, e tra le più antiche della Lucchesia. Eretta nel IX secolo, è stata ampliata nel X con le attuali arcate interne, i sostegni, i capitelli e l’abside.
Un vero scrigno d’arte è la chiesa di San Michele, costruita nel Mille a ridosso della fortezza e della torre, trasformata poi in campanile. All’interno, l’ambone preromanico raffigurante una mucca è probabilmente il più antico sostegno di pulpito di tutte le chiese della Val di Serchio.
Coreglia è inserita in una valle ricca di verde, di bellezze naturali, di tradizioni che si intrecciano con il presente, tutte da scoprire. Dal borgo partono sentieri per facili escursioni e trekking nella Media Valle del Serchio. Si consigliano salite al Lago Santo Modenese o seguire le antiche rotte dei pellegrini, ripercorrendo il tratto di via Francigena che, dalle direttrici del Tirreno, della Lunigiana e dell’Emila, convergeva a Castelnuovo Garfagnana .
A Coreglia è molto suggestivo il Museo della Figurina di Gesso e dell’Emigrazione, con sede a palazzo Vanni. Qui si possono ammirare, distribuiti su tre piani, oltre 800 pezzi di gesso, bianchi o colorati, frutto della professione esercitata per alcuni secoli dagli abitanti del luogo.
L’attività dei figurinai, già notevole nel XVII secolo, si intensificò in quello successivo, portando numerose famiglie a svolgere questo lavoro nelle principali città italiane, ma anche tedesche, francesi, svizzere, spagnole, inglesi, svedesi. Prima di andare all’estero, i figurinai si riunivano in “compagnie” di cui facevano parte anche ragazzi reclutati in paese e che avevano il compito di vendere i “gessi” nelle strade.
Ma Coreglia, nel mese di dicembre, si trasforma anche in terra di presepi lungo la via d’accesso del borgo e dentro il centro storico. In località Piano di Coreglia non vi è casa della valle in cui non si allestisca un presepe e, naturalmente, nel paese delle figurine di gesso le statuine del presepe hanno un valore speciale.
Proseguendo il viaggio nella parte sud della Toscana, in provincia di Pisa, si scopre un borgo come Montescudaio che sospeso tra terra e mare, si presenta come un piccolo paese della Val Cecina che dalle vecchie mura castellane vede il Tirreno e le sue isole.
La sentinella è la bella torretta della Guardiola, punto panoramico d’eccellenza, dove i pensieri si fanno incerti tra la quiete collinare e l’avventura marina. Dal piazzale del Castello, nelle giornate terse si scorgono le isole Gorgona e Capraia e, se si è fortunati, addirittura la punta nord di Capo Corso.
Lasciando vagare lo sguardo giù dalle mura di cinta, si vedono le cento casupole del borgo di sotto con i loro caratteristici tetti ricoperti da coppi toscani. Il Poggiarello è un rione di casette addossate le une alle altre, ricostruite e restaurate dopo il terremoto del 1846, a ricordo del quale è stata eretta la piccola edicola dedicata a Sant’Antonio che si incontra uscendo dalla piazza.
Tra gli edifici civili, di notevole importanza sono il seicentesco palazzo Ridolfi e il settecentesco palazzo Guerrini, entrambi appartenuti a famiglie che hanno retto le sorti di Montescudaio, nonché il municipio, più volte restaurato e ricavato dalla residenza del 1770 della famiglia Cancellieri.
La chiesa parrocchiale dell’Assunta è stata ricostruita dopo il terremoto del 1846 e non è il luogo di culto più antico, dal momento che ha ereditato nel 1416 il nome del soppresso monastero femminile dedicato alla Vergine, situato in una località ancora chiamata “la Badia”.
Un’altra bella passeggiata tra atmosfere agresti e pacifiche è quella che segue il vecchio acciottolato che porta in località Santa Perpetua. Proseguendo sul sentiero ci si inoltra nel bosco e si percorre tra gli argini la “strada del Muggine” abbracciata da una folta vegetazione abitata ancora da istrici, cinghiali e rapaci.
Molte sono le passeggiate da fare nei dintorni, alla ricerca non solo delle specialità gastronomiche del territorio, ma anche di arte e natura. Ad esempio nel Bosco degli Scornabecchi, 53 ettari di oasi naturale disseminata di aree per la sosta e il ristoro. Oppure alla Steccaia, all’altezza dell’attuale ponte sul fiume Cecina, dov’è stata realizzata in epoca granducale una grande opera di ingegneria idraulica.
Montescudaio è stato tra i Comuni fondatori dell’Associazione nazionale Città del Vino e fa parte anche delle associazioni nazionali Città del Pane e Città dell’Olio. Ad inizio ottobre, infatti, ecco la Sagra del Vino, appuntamento importante per produttori e buongustai. Il Vino Doc Montescudaio ha qui la sua sede e la festa, ormai trentennale. Per il Montescudaio rosso il vitigno base è il Sangiovese, presente almeno al 50%, mentre nel bianco prevale il Trebbiano Toscano, come per il Vin Santo.
I piatti locali, invece, partono da un elemento basilare come il pane che a Montescudaio è il classico toscano insipido e cotto esclusivamente nei forni a legna. Con esso si fanno pranzi e cene: crostini di milza e fegatini, ribollita, pappa al pomodoro, minestra di pane e fagioli o ceci, e la toscanissima “zuppa lombarda” ricca di verdure.
Il tour tra i borghi più belli della Toscana si avvicina sempre di più verso il mare e, nella zona di Livorno, si scopre Suvereto in quella parte di Toscana che ha conosciuto fin dall’epoca etrusca i tratti più autentici della civiltà italica.
Suvereto, con le vecchie case, i tetti antichi, le botteghe artigiane, è un vecchio tronco che resiste. L’età dell’oro per questa piccola comunità della Maremma è stato il Duecento, nonostante le guerre abbiano quasi cancellato il borgo per due secoli, il XVII e il XVIII, nel corso dei quali non si sono registrati praticamente interventi urbanistici.
Tutto è rimasto immutato e congelato per circa duecento anni. E dunque, di questa lunga decadenza non c’è quasi traccia in Suvereto, nel cui tessuto urbano continua a spiccare l’eredità medievale e dell’inizio dell’età moderna.
Il palazzo Comunale risale ai primi anni del Duecento, anche se la struttura attuale è la reinterpretazione nei secoli dei moduli originari. La Rocca Aldobrandesca, invece, situata nel punto più alto del paese, è documentata fin dal 973.
Attualmente è costituita da tre parti: i ruderi dell’antica torre, costruita intorno al 1164, quattro piani con solai intermedi e i resti di una cinta muraria. Nel corso dei secoli ha subito varie trasformazioni: alla fine del Seicento, non servendo più come struttura difensiva, era già in stato di abbandono:
Il convento di San Francesco fu costruito nel 1286 ed ebbe un ruolo importante nella vita della comunità fino alla sua soppressione nel 1808 per volere napoleonico, quando fu progressivamente riconvertito in uso civile. Oggi resta lo splendido chiostro formato da un loggiato scandito da archi a tutto sesto.
Il chiostro di San Francesco è particolare sede degli eventi che si svolgono a Suvereto. Tra questi Calici di stelle, manifestazione promossa dall’associazione Città del Vino con percorso enogastronomico nelle vie del centro. I calici si levano in alto il 10 agosto nella notte di San Lorenzo, tra musica e stelle.
Segue SuverArt, in estate, il chiostro di San Francesco, piazze e angoli suggestivi ospitano un ricco programma di eventi musicali organizzato dall’Ente Musicale Giacomo Puccini: si va dalla classica al jazz, dalle musiche etniche a quelle orchestrali e bandistiche.
E poi Incontri nel Chiostro, in luglio, agosto e settembre, con nomi autorevoli della letteratura, del cinema, del teatro, della scienza, del giornalismo e giovani autori presentano le proprie opere e ricerche.
Nella prima decade di dicembre, invece, si svolge la vera festa dell’inverno, la Sagra di Suvereto che celebra i sapori forti e i piatti sostanziosi, in primo luogo il cinghiale, con tutto ciò che lo accompagna: pappardelle, polenta, fagioli, sughi saporiti. Ma siamo anche nella stagione dell’olio nuovo, che sposa ogni piatto con il suo gusto sapido e rotondo.
A Suvereto l’ulivo contende alla sughera il primato della pianta più diffusa e la produzione di olio extravergine d’oliva ha sempre caratterizzato l’economia locale. Un secolo fa erano attivi sedici frantoi. Oggi ve ne sono due grandi e moderni, oltre ad alcuni impianti aziendali per la frangitura delle olive e diverse aziende che imbottigliano.
L’altra risorsa è il vino, grazie a una viticoltura fiorente e all’ l’istituzione della Doc Val di Cornia (1989) è stata riconosciuta una specifica “Sottozona Suvereto”, dedicata a un vino rosso di grande pregio e, nel 2011, all’attribuzione del marchio Docg Suvereto, che ha coronato una crescita qualitativa ininterrotta.
Ad affascinare, in realtà, è un po’ tutto il borgo dentro le mura, con le case e le botteghe medievali del colore della pietra locale, che va in parallelo con quello dei coppi in una sinfonia di rossi e grigi. In questa vecchia atmosfera rurale, la mente è portata a scavare all’indietro, a leggere, come in antiche pergamene, quel che affiora dai cotti, dalle vecchie pietre scalpellinate, dalle cataste di legna ammucchiate.
La destinazione finale di questo incredibile viaggio non poteva che terminare affacciandosi sul mare. Si raggiunge, infatti, Piombino, ma soprattutto una sua piccola frazione come Populonia
Il centro fortificato fu costruito agli inizi del XV secolo per volontà degli Appiani, Signori di Piombino, quale baluardo difensivo lungo il confine settentrionale del nascente Stato di Piombino. Per incentivare la popolazione a trasferirsi a Populonia, gli Appiani dotarono il borgo di mura difensive, realizzando così il Castello che nacque come vero e proprio complesso fortificato, dotato di torre d’avvistamento e mura di cinta difensive, sul poggio dove in epoca etrusca sorgeva la città alta di Populonia.
La Torre di Populonia, invece, fu costruita nel corso del XII secolo da Pisa e costituì per secoli un elemento fondamentale nel sistema difensivo marittimo e terrestre tanto che, dal 1927 al 1943, la sua sommità fu sede di una postazione di avvistamento aeronavale della Regia Marina.
Nella piazza principale del Castello si trova la Chiesa di Santa Croce, una piccola chiesa d’impianto romanico costruita probabilmente tra XII e XIII secolo. Alla pianta originaria furono aggiunte, nel tempo, le cappelle laterali, la sagrestia e il campanile.
All’interno del Castello operano numerose imprese, attive nella ricezione turistica, nella ristorazione, nell’artigianato artistico e di pregio, nei servizi culturali. Particolare attenzione è rivolta alla valorizzazione del territorio attraverso le produzioni tipiche locali.
Da aprile 2019 il Castello di Populonia è stato riconosciuto Centro Commerciale Naturale e ha ricevuto la certificazione di “Borgo green”, perché alimentato con energia prodotta da fonti rinnovabili.
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