ULTIMA ORA:
Post title marquee scroll
atrani campania

I borghi più belli d’Italia: Campania

Condividi questo articolo:

atrani campania

La terra fertile amata dagli antichi Romani

La Campania, terra fertile amata dai Romani e angolo tra i più affascinanti d’Italia. Molte anime la compongono, tante qualità la celebrano. Tra i punti più caratteristici della regione emerge senza dubbio la Costiera Amalfitana, splendida terrazza paesaggistica che si affaccia sul mare offrendo i suoi incantevoli contorni naturali.

Questa meravigliosa cornice viene arricchita dalla presenza di alcune piccole località dalla sorprendente armonia e bellezza.

 

A cominciare da Furore, piccolo borgo, terra di contadini e pescatori, circondato dal mare azzurro, sempre presente e da bellissime vedute di ulivi, di vigne terrazzate sul profilo dei monti e di pergolati di limoni con le reti tese sui pali.

Furore rappresenta il respiro di una civiltà sul ciglio di una rupe pendente sul mare, il suo famoso Fiordo, identità centrale del piccolo borgo. Ne offre piena testimonianza l’Ecomuseo del Fiordo, non un semplice parco naturale, ma un luogo modellato dal lavoro dell’uomo, situato nei pressi delle antiche fabbriche di produzione della carta e della calce e dei vecchi mulini, che si articola in tre itinerari: Percorsi botanici, Vie del cinema, Muri d’autore.

Dal ponte del Fiordo di Furore, inoltre, il primo sabato di luglio, ha luogo la Coppa del Mediterraneo, campionato mondiale di tuffi dalle grandi altezze.

E il Fiordo di Furore è candidato, con l’intero vallone, a diventare “Oasi naturale regionale”, mentre è già completato, invece, il recupero dei sentieri che salgono su per la collina o discendono verso il  mare e che consentono di passeggiare tra agavi e fichi d’India, lungo i versanti obliqui della montagna.

Ma Furore è anche “il paese che non c’è”, uno sparso abitato, dove le case non stanno una accanto all’altra, ma spuntano da costoni di roccia, presentandosi con oltre cento “muri d’autore”, murales e sculture che fanno di Furore un “paese dipinto”.

Muri in cerca d’Autore, infatti, è il raduno di pittori di murales che avviene la prima settimana di settembre. Sette giorni di performance di pittura murale in cui l’arte viva aperta ai fermenti della società e alla fruizione immediata dona a Furore una propria identità di museo a cielo aperto.

Un altro monumento di questo borgo è il suo piatto tipico, ovvero totani e patate, inventato dal contadino-pescatore per sfamare la numerosa famiglia.

In caso di necessità, infatti, al pesce bastava aggiungere qualche patata. Una cucina che cattura e mescola profumi di terra e di mare come il migliaccio, la minestra maritata, e la caponata che si aggiungono agli altri piatti tradizionali serviti nei numerosi ristoranti del luogo.

A queste particolarità si aggiungono gli edifici storici di pregio che possono essere considerati, nel vallone interno del borgo, i due mulini e le due fabbriche di carta, interessanti esempi di archeologia industriale che utilizzavano la forza motrice dell’acqua.

E poi le quattro chiese, le uniche altre emergenze architettoniche come quelle di San Giacomo, Sant’Elia, San Michele e Santa Maria, con i cupolini maiolicati dei loro campanili e gli affreschi recentemente venuti alla luce.

 

Restando ancora nel paradisiaco ambiente della costiera si incontra Conca dei Marini.

Un borgo diviso in due che presenta in alto, adagiate sulla collina, case imbiancate a calce, sparse tra gli orti, gli uliveti e le terrazze di limoneti che scendono a mare, mentre in basso, le casette a filo d’acqua che si specchiano in una piccola baia. Tutti i luoghi del borgo sono collegati dalle tipiche “scalinatelle” che fanno strada tra i profumi delle erbe aromatiche.

Questa piccola località è chiamata anche “Conca dei gradini” ed invita a romantiche passeggiate, salendo le “scalinatelle” che portano verso il cielo, da cui si può osservare il mare dall’alto. La passeggiata più panoramica è quella che dal sentiero “delle cinque essenze”, ovvero la vite, il limone, l’ulivo, il carrubo e il melograno, conduce alla chiesa di Sant’ Antonio, poi a quella di San Michele e quindi a una piccola cappella sacra posta ai margini di una roccia.

Anche le chiese sono in posizione panoramica e tra queste emerge quella di San Pancrazio, di cui si ha notizia dal 1362, caratterizzata da ulivi tutt’intorno e palme sul sagrato.

Proprio nell’uliveto, la leggenda ambienta gli incontri delle janare, le donne che per la loro dimestichezza con riti, erbe e filtri magici erano considerate streghe. Alle janare, inoltre, è dedicato il Carnevale di Conca dei Marini che si svolge a febbraio ed esattamente il sabato che precede il martedì grasso.

Belvedere sul mare e di lontana origine duecentesca, la chiesa di Sant’Antonio, in realtà dedicata a San Giovanni Battista, ha un’armoniosa facciata e un campanile con volta a cuspide ricoperta da piastrelle maiolicate, mentre l’ex convento di Santa Rosa, invece, con l’annessa chiesa di Santa Maria di Grado, diventa sempre più visibile man mano che si procede verso Amalfi.

Il convento fu eretto a strapiombo sul mare nel 1681 per volontà di suor Rosa Pandolfi, appartenente a una ricca famiglia locale. Qui le monache domenicane colloquiavano con Dio.  Erano monache di clausura e in questa dimora avevano trovato il loro anticipo di paradiso.

Una pace interiore così intensa che permise di creare, nelle cucine del convento, la sfogliatella di Santa Rosa, uno dei dolci più noti della pasticceria napoletana. Un dono prezioso ed un dolce ricordo che viene celebrato il 2 agosto di ogni anno.

Ma i piaceri della tavola comprendono anche le pennette con i pomodorini “a piennolo”, cioè sistemati, dopo la raccolta, a campanile, in modo da essere appesi in luogo asciutto e ombreggiato per una migliore conservazione, gli spaghetti al sugo di gambero rosso del corallo, la zuppa di pesce di scoglio, il coniglio alla foglia di limone, e l’ortica di mare, un’alga preparata come una frittella, reperibile sono in estate.

Un altro luogo da visitare è sicuramente la Grotta dello Smeraldo, scoperta nel 1932 e annidata nella baia di Conca.

Una zattera o una piccola imbarcazione accompagna i visitatori in questo fantastico tempio verde, attraversato da fili di luce, popolato di stalagmiti, figure e bassorilievi rocciosi, opera dell’acqua nei millenni.

L’antica torre di guardia di Capo di Conca, detta torre Bianca se ne sta isolata sul promontorio con la sua imponente forma quadrangolare e la sua funzione difensiva che già nel Cinquecento scrutava i pirati saraceni, ma che venne poi  usata fino a cinquant’anni fa anche come minuscolo cimitero.

atrani campania

Il viaggio prosegue per Atrani un luogo dove le case, la gente, il mare trovano profonde correlazioni con i loro legami antichi.

Qui sono nati i profumi della cucina, l’uva appassita al sole, i fichi insaporiti con spezie.

Atrani, vicinissimo ad Amalfi, è il borgo costiero che meglio ha conservato la sua struttura originaria, risalente al medioevo, fatta di vicoletti, archi, cortili, piazzette e le caratteristiche “scalinatelle”.

Atrani, infatti, al tempo delle repubbliche marinare, era abitata dalle famiglie più nobili di Amalfi. E qui i Dogi erano incoronati e seppelliti. La visita al borgo inizia quindi dalla chiesa di San Salvatore de Birecto, dove avveniva l’incoronazione delle massime autorità governative, a cui veniva solennemente posto sul capo il berretto (birecto) dogale.

La chiesa è antichissima, nonostante le successive modifiche in stile neoclassico.  Fondata nel 940, contiene una balaustra marmorea a lastre rettangolari massicce che risale alla fine dell’XI secolo e che mostra altorilievi di stile bizantino e figure antropomorfiche di derivazione longobarda.

Sulle pendici del monte si trova, invece, la collegiata di Santa Maria Maddalena, sorta nel XIII secolo come ringraziamento degli atranesi alla Madonna per averli liberati dai predoni saraceni. La cupola maiolicata e la torre campanaria a pianta quadrata sono diventate il simbolo del panorama urbano di Atrani.

Accanto alla chiesa si trova la grotta di Masaniello, al di sotto della quale è situata la casa materna del celebre capopopolo napoletano, costruita in cima a 500 scalini.

La bellezza di Atrani si contraddistingue nella coreografia che la spiaggia gli disegna intorno e nell’intrico di abitazioni, poste l’una sull’altra, che lo fa somigliare a un presepe, soprattutto la sera quando le luci sono accese.

Proprio all’interno del piccolo borgo ha luogo il Corteo storico delle Repubbliche Marinare, che si svolge ogni quattro anni il 4 giugno e, il Giovedì santo, si celebra la famosa Via Crucis con i Battenti, uomini incappucciati e vestiti con lunghe tuniche bianche che si percuotono il petto in segno di penitenza.

La cucina atranese riprende quella napoletana, fa uso di pesce e frutti di mare e di ricette antiche tramandate di madre in figlia.

Gli ingredienti principali, oltre al pesce, sono i formaggi freschi provenienti dalle colline come mozzarelle, fior di latte e provole.

Specialità del luogo è “o’ sarchiapone, zucca lunga verde ripiena di carne macinata, ricotta, pane raffermo, mozzarella, parmigiano e salsa di pomodoro, da accompagnare con un vino rosso secco e corposo, come un Furore o un Tramonti

Deliziosi ad Atrani sono anche i dolci come “o’ bocconotto”, scrigno di pastafrolla, ripieno di amarene e di una morbida crema pasticcera, la cassata o i dolci al limone, che qui si chiama “sfusato amalfitano” ed è senza dubbio il più pregiato del Mediterraneo.

Tra i liquori ricavati da antiche ricette contadine non è celebre solo il limoncello, ma anche il nocino e il fragolino, il finocchietto, deliziosi profumi che ricordano salottini settecenteschi. Per non parlare di altre delizie come i “passolini”, uva appassita al sole e conservata in un cartoccio di foglie di limone legate con un sottile giunco.

Poco distante Albori, frazione di Vietri sul Mare.

Un borgo che appare sospeso tra mare e montagna, incastonato in un angolo del monte Falerio, sopra il tratto più meridionale della rocciosa Costiera Amalfitana, nella luce abbagliante del Golfo di Salerno,

Albori è una miniatura dell’eterno richiamo del Mediterraneo, un insieme di case colorate di fronte al mare, addossate le une alle altre e strette tra viuzze e vicoletti.  Costruite in base alla strategia difensiva degli arabi, le abitazioni si interrompono in uno slargo dove, ancora oggi, la sera, si ritrovano gli abitanti.

Qui, in posizione più appartata, a 300 metri d’altitudine, si respira l’aria dei tempi antichi.

Lo sguardo abbraccia le verdi pendici del monte Falerio, dove è bello passeggiare tra cappelle votive dedicate ai santi protettori e panorami che includono sempre l’infinito azzurro del Tirreno.

Il mare è un  punto di riferimento, una visione, a cui si lega la Marina di Albori, breve tratto di costa amalfitana tra Vietri e Cetara, con una piccola e suggestiva spiaggetta su cui si affaccia una vecchia torre di avvistamento, ma basta voltare le spalle e ci si trova circondati da una rigogliosa vegetazione.

Nel periodo invernale, infatti, quando la navigazione non era possibile, gli abitanti si dedicavano all’agricoltura, coltivando quel poco di terreno che riuscivano a strappare alla montagna.

La felice combinazione di mare e monte è dunque la caratteristica di Albori, che non è nemmeno priva di tesori d’arte.

Al centro del borgo, infatti, tra bianche case a terrazze e logge sormontate da cupolette, in una piccola piazza con gradoni sorge la chiesa dedicata a Santa Margherita, giovane martire di Antiochia. Al suo interno si possono ammirare pregevoli affreschi di scuola napoletana, di cui fu esponente illustre il decoratore barocco Francesco Solimena.

Poco distante la splendida Vietri, luogo suggestivo che presenta in ogni angolo del centro storico botteghe e negozietti che affollano le stradine, mentre le maioliche, incastonate nelle pareti dei tortuosi vicoli, sembrano rincorrersi con i loro motivi verdi e celesti disegnati su fondo bianco, come a ricordare le antiche tradizioni artistiche bizantine e islamiche.

I reperti della ceramica vietrese sono raccolti nel Museo della Ceramica allestito nella torretta di villa Guariglia, edificio storico in frazione Raito sulla strada per Albori, che  documenta modi e stili di lavorazione della maiolica, di cui Vietri è uno dei massimi centri in Italia.

A pochi passi da questo, sempre a Villa Guariglia ha sede anche il Centro di Studi Salernitani, luogo di documentazione storica sulla celebre Scuola medica salernitana, fiorente centro culturale all’epoca della dominazione normanna.

Il menù tipico di Albori prevede le penne “alla cuppitiello” con salsa di verdure di stagione, le pietanze a base di pesce insaporite da succo di limone amalfitano, le “palle di ciuccio”, caratteristiche crocchette di patate agrodolci, tutto accompagnato da vini di produzione locale.

Lasciando questo territorio incantevole si raggiunge un altro luogo ricco di fascino come la zona costiera del Cilento.

 

Qui si scopre Castellabate

Un piccolo borgo fondato dall’abate Costabile, un asceta che faceva penitenza e studiava i misteri divini, divenuto in seguito il santo patrono del borgo e celebrato il 16 e 17 febbraio con due giorni di festa.

Fu proprio Costabile, nel 1123, a posare la prima pietra che portò alla costruzione del Castello, non solo luogo di culto, ma anche centro economico e sociale di rilievo, dal momento che proprio da un’intuizione dell’abate partì una riforma fondiaria portata a compimento dal Beato Simeone.

Questi affidò ai contadini la terra chiedendo in cambio solo l’impegno alla bonifica e alla coltivazione. Ben presto il territorio paludoso e malarico tornò all’antica vocazione marinara dei commerci e della pesca.

Proprietari terrieri e piccoli armatori trovarono, così, i mezzi per arricchire Castellabate di palazzi, chiese, ville e giardini che si inseriscono in stradine, vicoletti, archi,  dove domina la pietra grigia, si rincorrono senza soluzione di continuità, ora volgendo le spalle alla luce intensa ora spalancandosi sul verde del pendio che digrada verso il mare splendente in uno degli angoli più suggestivi della costa del Cilento.

Castellabate è un esempio di Medioevo di mare che trova, appunto, piena espressione nel Castello.

La fortezza, che aveva lo scopo di proteggere la popolazione e i traffici marittimi dalle incursioni dei Saraceni, appare ancora solida e imponente. Le mura, con le quattro torri angolari rotonde poste a presidio dei punti cardinali, racchiudevano all’interno abitazioni, magazzini, forni e cisterne.

Dal Castello si raggiunge in poco tempo la Basilica di Santa Maria de Giulia, la cui facciata cinquecentesca è affiancata da una torre campanaria modulata su quattro piani, mentre un altro luogo di culto, proprio di fronte alla Basilica, è la piccola chiesa del Rosario della seconda metà del Cinquecento.

Alle due estremità del borgo, villa Principe di Belmonte e villa Matarazzo, nella frazione costiera di Santa Maria, preannunciano il fascino che poi si svela nella ragnatela di strette stradine che conducono alla piazza rettangolare, da cui si gode il panorama della vallata che scende verso il mare.

Ai piedi del borgo medievale, il golfo tra Punta Licosa e Punta Tresino è uno dei tratti più belli della costiera.

In particolare, la baia di Ogliastro Marina e l’isola di Licosa sono tra le zone meglio conservate del Cilento costiero e costituiscono un caposaldo della storia ambientalistica italiana. Un tratto di mare avvolto da macchia mediterranea, distese di pini di Aleppo e coltivazioni di vite e ulivi.

Ritornando verso Salerno, invece, inizia la scoperta dei borghi dell’entroterra campano.

In particolare, nella provincia di Avellino, si presenta Summonte 

Un luogo in cui è possibile apprezzare lo sviluppo armonico tra natura ed evoluzione tecnologica nell’ottica della valorizzazione delle risorse naturalistiche e delle antiche vestigia.

Summonte rientra nel Parco del Regionale e nella Comunità Montana del Partenio e, come suggerisce il nome,  il comune irpino si trova in posizione panoramica al cospetto del Monte Vallatrone a 1.511 metri ed alle pendici del Partenio.

Arrivare a Summonte a 750 metri di altitudine, significa non solo scoprire le suggestioni del centro storico e del percorso ambientale, ma anche dissetarsi direttamente alle fonti d’acqua sorgiva purissima, percorrere incantevoli sentieri di trekking, rigenerarsi sostando in caratteristici rifugi montani e assaporare prodotti locali.

Qui è sviluppata soprattutto la produzione di torroni e cioccolata, ma non mancano salumi come le soppressate di maiale e di cinghiale e altri prodotti derivati dalla pastorizia, che qui mantiene ancora un carattere tradizionale.

Altri prodotti ricercati sono la marmellata di castagne, il miele, i funghi e il tartufo nero.

In ottobre, infatti, la Sagra della Castagna del Partenio è un evento che richiama migliaia di turisti, mentre i piatti da richiedere nei ristoranti sono le tagliatelle ai funghi porcini o al tartufo nero e la montanara, pizza fritta dal gusto unico.

Accanto ai numerosi edifici religiosi, va segnalata la Torre Medioevale, che fu edificata dagli Angioini sui ruderi di un castello normanno/svevo che sorgeva al centro di un borgo fortificato con funzione di presidio territoriale.

La Torre Angioina è costruita interamente in conci di pietra calcarea sbozzati e malta a base di calce, sabbia mista a lapillo e pietra macinata.

Tra gli spazi esterni al castello, inoltre, acquista particolare rilevanza la superficie della cosiddetta “platea”.

La sistemazione dell’area ha portato alla realizzazione di una cavea, un teatro all’aperto che con una sequenza di gradinate che si alternano ad una serie di passaggi in pietra, si sviluppano concentricamente e finiscono intorno ad un piccolo palco in legno. In tale struttura durante tutto l’anno si tengono spettacoli teatrali, concerti di musica classica e presentazioni di opere letterarie.

Il centro storico di Summonte si sviluppa lungo tre direttrici viarie e presenta degli archi pittoreschi e delle stradine lastricate, mostrando allo stesso tempo le fontane, gli edifici signorili ed il maestoso tiglio secolare, che domina la piazza centrale.

La chiesa di San Nicola di Bari, probabilmente costruita sulle spoglie di una preesistente chiesa, presenta l’attuale impianto che risale al XVII secolo ed è frutto dell’intervento barocco.  L’interno è a tre navate, di cui quella centrale più alta, scandite da pilastri ornati da paraste e capitelli ionici ed archi a tutto sesto. A completare l’impianto architettonico due grandi angeli in cartapesta del 1700 che reggono ciascuno un candelabro.

Vicino alla chiesa di San Nicola si trovano la Congrega del SS. Rosario ed il campanile.

Quest’ultimo, a pianta pressoché quadrata, presenta la cella del primo ordine incorporata nei volumi edilizi e funge da passaggio tra la chiesa piccola e gli ambienti di sacrestia della chiesa grande.

La Congrega del SS. Rosario, risalente al 1600, è caratterizzata dalla presenza di un coro ligneo intagliato dell’epoca con sedili e spalliere di pregevole fattura arricchiti da motivi classici e naturalistici.

Il comune di Summonte, al fine di creare condizioni di sviluppo sostenibile del territorio, ha avviato da tempo, insieme al Parco Regionale del Partenio, una serie di iniziative finalizzate alla valorizzazione e tutela del territorio.

In tale ottica si inserisce il “percorso ambientale Summonte – Campo San Giovanni” che consente di ammirare e apprezzare le bellezze naturali che connotano il territorio comunale.

Concepito come palestra naturale, il sentiero è lungo 6 km e tutto percorribile a piedi: dai 750 metri d’altitudine del borgo si arriva ai 1224 del rifugio Forcetelle.

Un’iniziativa diretta a rendere particolarmente salutare e piacevole la pratica degli sport all’aria aperta a minimo impatto ambientale, quali attività fisica a corpo libero, ciclismo in mountain bike, equitazione, escursionismo, nordic walking.

L’Area Parco, di cui Summonte fa parte, inoltre, è caratterizzata da altrettanti  sentieri, che partendo dai centri urbani, si sviluppano tra i boschi di castagno e faggio e conducono a luoghi dalla valenza naturalistica rilevante. L’aria buona, il verde, le sorgenti, la tranquillità, il panorama, sono tutti elementi che contraddistinguono questo luogo affascinante.

Nusco invece, appare come uno sciame bianco.

Un dolce mucchio di case che si incuneano, si sommano, in un intreccio di pietra e calce sospeso tra cortine di nebbia.

La montagna scende in contrafforti e declivi su Nusco, adagiata a 914 metri sullo spartiacque appenninico delle valli dell’Ofanto e del Calore, nel cuore dell’Irpinia e, nei colori e nelle atmosfere, rende inesauribile questo paesaggio.

Terra di radicate tradizioni e memorie, Nusco è compatta e discreta nella sua architettura, silenziosa e dinamica nella vita quotidiana. Raccolta nei suoi piccoli caseggiati, Nusco ha come fulcro l’imponente e regale campanile, alto 33 metri ed incarnazione della cristianità che qui diventa identità, legame di sangue con Amato, il santo patrono, e primo vescovo di Nusco, a cui è dedicata la maestosa cattedrale.

Del nucleo originario risalente al XI secolo restano tracce nella cripta romanica, che sotto le sue volte a crociera custodisce le ossa del santo.

L’interno si presenta a tre navate con cappelle laterali ed è databile XIII-XVI secolo.

Alla piazza della cattedrale, che ospita anche il seminario vescovile edificato nel 1760, si accede con un percorso che parte dall’antica Porta Superiore, sormontata dai pochi ruderi del castello longobardo, e si distende attraverso tre vie, tutte confluenti nella piazza, che costituiscono il tracciato dell’abitato medievale.

Passeggiando nel centro storico, è facile imbattersi in portali in pietra, stemmi nobiliari, balconi in ferro battuto, archi, volte, piazzette, gradinate e vicoli acciottolati. Si tratta di un assetto architettonico che, nella sua semplicità come nei suoi momenti di enfasi, sembra vigilare affinché la memoria storica non si consumi del tutto in queste contrade.

A ricordare gli antichi splendori sono i palazzi nobiliari delle famiglie che hanno abitato ed amministrato Nusco, mentre tra gli edifici religiosi occorre ricordare almeno la chiesa della Santissima Trinità, con i suoi affreschi di epoca medievale, e la chiesa di San Giuseppe, dalla bella facciata tardo barocca.

All’interno del borgo, la terza settimana di gennaio di ogni anno, si celebra Sant’Antuonu, ovvero la notte dei falò.

Fuochi propiziatori, i santantuoni sono il piccolo incantesimo di una tradizione mai spenta, che con il calore delle fiammate augura di riscaldare il cuore degli uomini, mentre il santo patrono si festeggia alla fine di maggio.

Queste sono sempre ottime occasioni per degustare i deliziosi prodotti tipici, tra cui i primi piatti a base di pasta fatta in casa, condita con sugo di agnello o ragù o accompagnata da legumi.

Da ricordare, per la speciale lavorazione, gli gnocchi (cicalucculi), le tagliatelle (lagane) e i ravioli, per i quali si utilizza una speciale ricotta prodotta in luogo.

Un’altra eccellenza del luogo riguarda la produzione di salumi e insaccati ottenuti da carne suina e basata su tradizionali lavorazioni artigiane, mentre presso gli agricoltori del luogo è possibile reperire prelibati legumi, come fave, ceci, fagioli, utilizzati in cucina sia come piatto unico sia come accompagnamento a piatti di pasta fatta a mano.

Si arriva poi a Monteverde che sorge su un colle nell’alta valle dell’Ofanto.

Una terra di confine a due passi dalla Lucania e dalla Puglia, che vede ,all’orizzonte, il Gargano che si affaccia sul Mare Adriatico.

Monteverde, però, le acque le ha anche in casa e sono quelle del lago artificiale di San Pietro, dove si svolge il Grande Spettacolo dell’Acqua, dal 27 luglio al 25 agosto.

 

Un evento suggestivo in cui, tutte le sere, il lago artificiale di San Pietro esplode di luci, suoni, danze e giochi d’acqua dedicati a Gerardo Maiella, il santo del popolo.

Il centro storico, arroccato intorno al castello, si adegua alla morfologia del luogo, più volte sconvolto dai terremoti, e conserva l’originario tessuto urbano dei paesi irpini d’altura, con le strette viuzze a gradoni per raccordare i dislivelli delle cerchie stradali.

L’aggregazione a schiera delle abitazioni lungo la serie concentrica di vicoli, archi e scalinate che seguono l’andamento del colle, ha donato compattezza al borgo.

Il castello, costruito in pietra locale sbozzata e lavorata, è stato adattato e ampliato nel XV secolo dagli Aragonesi sul torrione innalzato dai Longobardi a difesa dei confini del ducato di Benevento.

Dotato di quattro torrioni cilindrici posti agli angoli di una struttura a pianta irregolare, è stato trasformato da fortezza a residenza signorile nel 1744 dai baroni Sangermano che vi hanno aggiunto l’ala destra.

Nelle stradine lastricate, l’attenzione è spesso catturata dagli edifici d’interessante fattura della borghesia terriera ottocentesca, come i palazzi Pelosi e Spirito, abbelliti da artistici portali.

Per ciò che riguarda i luoghi di culto, il principale è l’ex cattedrale dedicata a Santa Maria di Nazareth.

Sovrastata dal castello, si presenta nelle forme barocche del 1728, ma il primo impianto risale al XIV secolo.  L’ultimo restauro, seguito al terremoto del 1980, ha svelato strutture romaniche, mentre all’interno sono conservati dipinti di scuola napoletana del Seicento, statue lignee e altari di età compresa tra il XV e il XVIII secolo.

La chiesa di Santa Maria del Carmine, settecentesca, era annessa al convento dei Carmelitani soppresso nel 1652 con una torre campanaria con bifore gotiche del 1888, mentre sono più piccole la chiesa di Sant’Antonio del XVII secolo e la chiesetta rurale di San Rocco all’ingresso del borgo, di cui non sfugge il recente restauro.

Il borgo è rinomato per gli insaccati di carne suina, quali soppressata, salsiccia e capocollo, e per i prodotti caseari dell’allevamento bovino brado, come caciocavallo, scamorza, ricotta, formaggio fresco e stagionato. Ad accompagnare queste prelibatezze ci pensa il robusto vino di uve Aglianico e Sangiovese che risulta un perfetto abbinamento anche con carni bianche e rosse, tra cui la testina di agnello con le patate, tipica pietanza del periodo pasquale.

Formaggi, caciocavalli, soppressate, capicollo, prosciutto, salsicce, preparati ancora artigianalmente come in passato sono i protagonisti ed il punto di forza ed esaltazione dei sapori della cucina tradizionale di Zungoli.

Un altro piccolo borgo campano dove le feste paesane ripropongono la riscoperta e il recupero delle tradizioni, riaffermano la religiosità e le antiche credenze popolari e fanno rivivere antiche usanze e riscoprire i sapori genuini della civiltà contadina.

Pascoli e allevamenti garantiscono la genuinità di gustosi piatti di carne di agnello, di coniglio, di polli e di maiale.

Per anni, a Zungoli, si è tenuta a settembre la Festa della Transumanza, evento in cui venivano venduti animali e formaggi eccellenti come il celebre caciocavallo podolico che profuma di bosco.

Settembre, andiamo, è tempo di migrare, invece, è il titolo dell’itinerario di turismo sportivo e culturale lungo le vie verdi della transumanza, proposto dal 2002. A cavallo, in mountain bike o facendo trekking si può percorrere il sentiero originario del Regio Tratturo Pescasseroli-Candela, attraversando in sette tappe le province dell’Aquila, Isernia, Campobasso, Benevento, Avellino e Foggia.

Ma tra le altre particolarità di Zungoli spicca il suo castello normanno costruito nell’XI secolo, fornito fino all’epoca aragonese di quattro torri cilindriche poste agli angoli e corrispondenti ai quattro punti cardinali, mentre il convento di San Francesco dei Frati minori riformati è stato costruito sulle fondamenta della chiesa di S. Cataldo crollata a seguito del sisma del 1456.

Il convento sorge ai piedi dell’abitato, fuori le mura e risale alla seconda metà del XVI secolo. Di particolare pregio la piccola chiesa adiacente, restaurata recentemente, con la Madonna dell’Incoronata protettrice dei pastori e dei tratturi.

E poi Savignano Irpino un centro abitato circondato da campi fertili coltivati a grano e a fieno e ricoperti di uliveti e vigneti che testimoniano la sua storica vocazione agricola.

Un paese ricco di storia, di arte e tradizioni, dove tempo libero e relax convivono, grazie a tranquille passeggiate nel centro storico e piacevoli escursioni nella natura pura e silenziosa. Da queste parti si trova l’area della sorgente Rifieto, in contrada Licese, alle pendici del Monte Sant’Angelo, circondata da un bosco di 12 ettari, ricco di conifere, querce e fauna selvatica.

Anche qui, nella stessa area della sorgente, veniva praticata la transumanza: le mandrie di mucche, provenienti da Montella, arrivavano nei pascoli adiacenti, consentendo la produzione del caciocavallo podolico.

Nel centro storico di Savignano Irpino, invece, emerge il castello Guevara.

Fondato in epoca longobarda tra VII e VIII secolo come opera difensiva e trasformato in fortezza dai Normanni nel XII secolo, fu in seguito adibito a palazzo signorile durante la dominazione dei Guevara.

L’antico ingresso del paese è caratterizzato da Porta Grande, collocata sul lato sud della nuova cinta muraria, realizzata nel XVI secolo in seguito all’ampliamento del rettangolo tra il castello e la chiesa Madre.

Anche la Chiesa di San Nicola Vescovo si trova nella parte sud del centro storico e risale al XVI secolo. La facciata neoclassica è una rilettura dello stile romanico, mentre l’interno a tre navate si fa apprezzare per le due file di pilastri in pietra viva, lavorata a scalpello, per il battistero del 1514 e per la cappella di Sant’Anna, recentemente restaurata.

Il punto più panoramico del centro storico è la così detta Tombola, nome che deriverebbe dalla piccola tomba in cui fu sepolto il normanno Sarolo Guarna, giustiziato nel 1193 per essersi ribellato a Tancredi d’Altavilla.

Palazzo Orsini, odierna sede del Municipio, aveva in origine funzione di ospedale e rifugio per i pellegrini e fu costruito nel 1727 dal cardinale Orsini, poi Papa Benedetto XIII.

La fontana Angelica, invece, convoglia in paese l’acqua del Monte Sant’Angelo che sgorga dalle bocche di tre papere in ghisa.

Completata nel 1912, oggi ha solo funzione ornamentale, ma in passato era affollata dalle donne che ogni giorno vi si recavano a prendere l’acqua con un fazzoletto in testa per riparare il capo dal secchio.

Ma la vera arte e tradizione di questo borgo si ritrova nella pasta fatta a mano. Ogni anno le mamme e le nonne del paese si prodigano nella realizzazione di decine di chili di orecchiette, cucinate nella famosa Sagra delle Orecchiette, tra le più antiche d’Irpinia, che ha luogo nella prima decade di agosto da oltre quarant’anni e permette la degustazione di questo piatto tipico condito con il classico ragù di carne o nella più moderna versione delle “orecchiette tricolore”, con pomodorini, rucola e parmigiano.

Tra le altre delizie tipiche sono assolutamente da provare la “colazione savignanese” con patate e peperoni fritti, la zuppa di soffritto di maiale e “la ciambott”, una zuppa di zucchine, patate, fagiolini e sedano.

Il tour tra i borghi della Campania si conclude nel territorio di Benevento con Montesarchio .

Qui, la prima cosa che colpisce il viaggiatore, è lo splendido panorama del paese che avvolge la collina, sovrastata dalla Torre e dal Castello.

Proprio il castello è ricco di soluzioni architettoniche che abbracciano un periodo di circa 1000 anni. Dall’impianto longobardo, è stato rimaneggiato durante i vari secoli dalle diverse dominazioni che hanno lasciato in esso segni distinguibili. Nel Castello ha sede il “Museo Nazionale del Sannio Caudino” e, oltre ad una esposizione permanente di reperti archeologici, si può visionare la mostra “Rosso Immaginario” arricchita da tecnologie digitali.

Il Racconto dei vasi di Caudium, ambientato nelle celle del carcere borbonico del Castello di Montesarchio, attraverso la narrazione di storie, miti ed eroi, propone un viaggio nell’affascinante mondo di immagini dipinte sui crateri di produzione greca rinvenuti nella necropoli di Montesarchio.

La Torre è il punto di forza delle mura che circondavano il paese.

In origine torre di avvistamento, poi, bastione difensivo l’odierna configurazione risale agli ultimi anni del XV secolo e come il castello è attribuibile allo stesso architetto reale Francesco di Giorgio Martini.

Nella Torre si può ammirare, sempre con l’arricchimento di tecnologie digitali, il celebre “vaso di Assteas”, contenitore dall’ampia capienza, utilizzato durante i banchetti per mescolare il vino puro con l’acqua e le spezie.

Il Latovetere è un abitato che nasce fortificato in epoca Longobarda e al suo interno è visibile una delle poche chiese ancora esistenti che risale all’VIII secolo. Il centro urbano mantiene ancora la sua topografia originaria e le due porte, quella orientale e quella occidentale, un insieme architettonico sormontato dalla più moderna abbazia di San Nicola risalente al XIII secolo.

Il Lato Nuovo, invece, è di epoca Normanna e conserva una delle porte e un tratto delle mura dello stesso periodo.

In questo quartiere si può visitare il Santuario della SS. Trinità, con la sua originale statua rappresentante il mistero trinitario.

Nel Convento dei Frati Francescani Conventuali si possono ammirare pitture su tavola del XIV secolo, nonché lunette affrescate che sovrastano le porte di ingresso, mentre il Convento delle Clarisse è da annoverare per il suo passeggiatoio sotto il tetto, utilizzato dalle suore di clausure.

Il Borgo San Francesco si caratterizza per la presenza del palazzo comunale, ex convento francescano.

Al suo interno un ampio chiostro e un monumentale ingresso barocco che accede ai piani superiori. Adiacente al palazzo comunale sorge la chiesa di San Francesco con impianto degli inizi del 1300, mentre aggiunta alla vecchia facciata mediante arcate se ne presenta una nuova attribuita a Vanvitelli.

Sopra l’architrave centrale della porta d’ingresso vi sono tre stemmi angioini, mentre sull’architrave stesso vi è una lunetta a basso rilievo sullo stile della Robbia, in cui è raffigurata una crocifissione, un’annunciazione e San Ludovico da Tolosa.

In Piazza Umberto I sorge il secentesco Palazzo D’Avalos con annessa cappella gentilizia, oggi parrocchia, intitolata alla Madonna della Purità e a San Leone Magno.

Nell’interno della chiesa, una notevole immagine della Madonna della Purità sbalzata in rame del maestro ramaio montesarchiese Pasquale Ianniello, un Cristo del pittore montesarchiese Servodio e un quadro rappresentante la Madonna di Pompei della pittrice Frida Ciletti.

“I giorni del Borgo”, nella prima decade di settembre, rappresentano una serie di eventi che rendono vive le tradizioni popolari e culturali del paese.

E proprio in queste circostanze si può gustare la cucina “montesarchiese” ricca di piatti tradizionali e antiche pietanze come i cazzarielli con la carne di capra, i lavanelli e ceci, il paparulo mbettonato, a cui si aggiungono altri prodotti  di eccellenza del borgo che possono essere individuati tra le selettive produzioni ortofrutticole.

Tra queste emergono i vigneti del rinomato Aglianico, vino denso, persistente, di colore rosso cupo con profumi di more selvatiche e mirtilli, e della preziosa Falanghina, vino di colore giallo paglierino con riflessi verdognoli, profumi di pera matura, note floreali di gelsomino e di ginestra, entrambi due celebri eccellenze dell’enologia italiana.

Alessandro Campa

Questo articolo è stato letto 32 volte.

albori, alessandro campa, atrani, borghi d'Italia, campania, castellabate, conca dei marini, Furore, i più bei borghi d'italia, montesarchio, monteverde, nusco, savignano irpinio, summonte, zungoli

Comments (3)

I commenti sono chiusi.

Ecoseven è un prodotto di Ecomedianet S.r.l. Direzione e redazione: Lungotevere dei Mellini n. 44 - 00193 Roma
Registrazione presso il Tribunale di Roma n° 482/2010 del 31/12/2010.redazione@ecoseven.net