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Ridurre i rifiuti con Thor/ 4 Limiti e superamento di questa tecnologia

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Trattare i rifiuti con il sistema Thor. Ecco quali sono i limiti derivanti dall’uso di questo impianto e qual’e’ stato lo sviluppo successivo di un’altra tecnologia di successo

Ridurre i rifiuti con la tecnologia Thor permette, come già spiegato in precedenza, di sfruttare un impianto per lo ‘smaltimento’ della spazzatura più ecologico ed economico rispetto agli attuali inceneritori in uso in Italia. Il Thor, ricordiamo, è un impianto basato sul trattamento meccanico ‘a freddo’ dei rifiuti senza il rilascio di inquinanti in atmosfera, che punta ad ottenere un combustibile polverizzato in particelle finissime ad alto potere calorifico, secondo uno schema inventato e collaudato, più di 10 anni fa, dal CNR e dalla società ASSING SpA di Roma. 

Ridurre i rifiuti con il Thor, comporterebbe quindi tutta una serie di vantaggi ‘teorici’ rispetto agli inceneritori (economici, energetici, ambientali etc..). Eppure, nonostante tutto, questa tecnologia, a diversi anni dalla sua ‘nascita’, non sembra aver trovato un’effettiva collocazione pratica che andasse oltre l’installazione di pochi impianti pilota in alcune zone d’Italia. Occorre a questo punto chiedersi se ci siano stati degli ostacoli o dei limiti che, di fatto, abbiano bloccato la sua diffusione nel nostro Paese oppure, se la sua tecnologia sia stata semplicemente superata con la realizzazione di impianti più efficienti nel settore dello smaltimento rifiuti. Cerchiamo quindi di trovare qualche risposta ‘in merito’. 

Il trattamento dei rifiuti con la tecnologia Thor, come suggerisce lo studio condotto da Federambiente in collaborazione con Enea, potrebbe aver incontrato dei problemi sul piano del funzionamento tecnico dell’impianto. Lo studio, in pratica, afferma che il trattamento meccanico-chimico ‘a freddo’ dei rifiuti da parte di Thor, non risulti conveniente né dal punto di vista energetico né da quello economico. Questo perché, sia la fase di pretrattamento dei rifiuti (frantumazione, selezione e scarto), sia quella successiva relativa all’ultramacinazione e polverizzazione della spazzatura per la produzione di combustibile ‘CDR’, (oltre che lo stesso processo ‘pellettizzazione’ per la compressione dalla polvere ultrafine da manipolare e trasportare), richiedano solitamente, sulla base di pregresse esperienze scientifiche, dei costi economici e dei consumi energetici molto elevati.

Il trattamento dei rifiuti con la tecnologia Thor, tuttavia, sarebbe stato analizzato ed elaborato dallo studio Federambiente – Enea, soltanto sulla base di semplici dati e informazioni bibliografiche, senza alcun effettivo riscontro tra i dati teorici forniti e i dati reali di misurazioni condotte ‘sul campo’. Misurazioni, queste, che avrebbero potuto constatare, in modo diretto, i consumi energetici, i costi economici e l’impatto ambientale degli impianti pilota (installati in diverse zone d’Italia per alcuni anni) durante la fase di trattamento della spazzatura. Sulla base di queste considerazioni, ovviamente, viene meno il principio di attendibilità delle informazioni riportate dallo studio Federambiente – Enea, circa le reali (e non solo teoriche) problematicità dell’impianto Thor in Italia.

Il trattamento dei rifiuti con la tecnologia Thor, infatti, è stato un processo utilizzato concretamente in Italia, grazie all’installazione di alcuni impianti sperimentali in alcune zone del Paese, tra cui, l’area di Sommariva del Bosco (in provincia di Cuneo, Piemonte). Proprio in quella zona, tra il 2008 e il 2009, l’azienda cementizia ‘Buzzi Unicem SpA’, ha installato e utilizzato un impianto Thor per trasformare i rifiuti solidi urbani in combustibile utile da utilizzare nei suoi cementifici. I risultati di quell’anno di sperimentazione, hanno evidenziato, in particolare, alcuni limiti del Thor proprio durante il processo di trattamento dei rifiuti solidi urbani, come dichiarato dallo stesso Ing. Bernardo Arecco (ex-Direttore di Esercizio e attuale consulente per il recupero energetico da Combustibili Solidi Secondari della ‘Buzzi Unicem’): – ‘Si tratta di un impianto che produce una tipologia di combustibile ‘CDR’ di qualità ottima, però, è anche una macchina che, al livello industriale, ha qualche problema di potenzialità e consuma un po’ troppa energia elettrica.’ ‘Il Thor inoltre – prosegue Arecco –  è una macchina che, per i livelli industriali dei nostri cementifici, non poteva essere considerata soddisfacente: nel nostro settore infatti, per avere una buona produzione e recupero di energia, devono essere trattati, mediamente, 40/50mila tonnellate all’anno di rifiuti. Il Thor invece, nelle condizioni ottimali, riusciva a trattare soltanto 1 tonnellata/ora di materiale.’

La trasformazione dei rifiuti in combustibile da impiegare nel cementificio, ha pertanto confermato i limiti del Thor: un impianto troppo piccolo per le esigenze delle grandi realtà industriali. Non c’è quindi da stupirsi se, già verso la fine del 2009, il rapporto di collaborazione tra la ASSING SpA di Roma e la Buzzi Unicem, si è avviato verso la conclusione. ‘Il Thor – sottolinea Arecco – è un impianto che può andare bene per il trattamento di rifiuti in piccole realtà urbane o nelle isole (con massimo 40mila abitanti), dove la lavorazione del materiale in ingresso non superi le 1000 tonnellate all’anno.’

Per ridurre i rifiuti solidi urbani e trasformarli in combustibile di alta qualità, la Buzzi Unicem, dopo aver dismesso il Thor, si è quindi concentrata sulla realizzazione di una nuova tecnologia, di sua esclusiva concezione: un mulino di ultramacinazione chiamato ‘Rocket’ capace di produrre un materiale ‘CDR’ di altissima qualità, battezzato con il nome di ‘Carbonext’. Secondo l’ing. Arecco: – ‘La tecnologia di questo nostro impianto pur partendo da un concetto simile a quello del Thor, (per quanto riguarda la micronizzazione dei rifiuti solidi urbani ‘a freddo’), è completamente diversa.’ ‘Le differenze sostanziali tra i due macchinari – sottolinea Arecco – riguardano, ad esempio, il tipo di materiale in ingresso per la produzione di CDR: il Thor, per avviare la produzione di CDR, ha bisogno di una prima lavorazione del rifiuto attraverso l’uso di un altro impianto che avvii inizialmente un processo preliminare di frantumazione grossolana della spazzatura, riducendola ad uno spessore non superiore ai 4-5 centimetri.’ ‘Invece il nostro impianto – prosegue – non necessita di questo trattamento, ma può lavorare indiscriminatamente i materiali di scarto di qualunque spessore (anche 60-70 cm), per cui, in pratica, si può già avviare il processo di scarto, selezione e micronizzazione del rifiuto partendo direttamente dal sacchetto di plastica nero della spazzatura.’

Ridurre i rifiuti urbani con il ‘Rocket’ della Buzzi Unicem significa però, anche differenziarli. L’impianto infatti, può trattare indistintamente tutta la frazione residua dei rifiuti solidi urbani, ma sarebbe meglio differenziarla almeno al 60%, per una questione legata, in particolare, al miglioramento del potere calorifico del CDR prodotto (il CarbonNext). Il CarbonNext, tra l’altro, secondo i dati forniti dalla Buzzi Unicem, è in grado di far risparmiare, rispetto all’uso del carbone nel processo di co-combustione nei cementifici, circa 1,4 tonnellate di CO2 in atmosfera e il 25% di NOx ogni anno. ‘A questo proposito – sottolinea Arecco – occorre specificare che la co-combustione del CDR nel cementificio non ha, come spesso si crede, dei valori di emissioni inquinanti maggiori di quelli di un termovalorizzatore: entrambi gli impianti sono sottoposti ai controlli stabiliti dalla legge 133 del 2005, che pone esattamente gli stessi identici limiti sulle quantità massime di sostanze ‘inquinanti’ rilasciate in atmosfera.

Infine, come per il Thor, anche il nuovo macchinario della Buzzi Unicem, ha dei costi estremamente competitivi, soprattutto se paragonati agli attuali inceneritori: un ‘Rocket’ in grado di trattare 7 tonnellate all’ora di frazione secca leggera dei rifiuti, costa circa 2 milioni e mezzo di euro contro i 600 milioni di un termovalorizzatore da 18 tonnellate/ora. Se, oltre al mulino per la ‘micronizzazione’, ci aggiungiamo anche l’insieme degli impianti necessari alla lavorazione dei rifiuti solidi urbani tal quali da ‘monte a valle’, (tra cui un impianto TMB – trattamento meccanico-biologico per lo scarto e la selezione iniziale della spazzatura), il prezzo sale intorno ai 15 milioni di euro.

Ridurre i rifiuti con il ‘Rocket’ e trasformarlo in CarbonNext rappresenta quindi, allo stato attuale, il modo migliore per gestire il recupero termico dell’energia presente nella spazzatura. Per questa ragione, come per il Thor, questa tecnologia è stata applicata sulla base di un accordo tra la Buzzi Unicem e il Consorzio Rifiuti di Alba-Bra, (sotto la supervisione della Provincia di Cuneo). I termini dell’accordo, prevedevano, tra l’altro, una sperimentazione del ‘Rocket’, nello spazio del Consorzio Rifiuti di Alba-Bra a Sommariva del Bosco, in modo da valutare le effettive potenzialità di questa nuova macchina anche al livello industriale. Nel 2012, dopo un anno di sperimentazione positiva del nuovo impianto (tra il 2010 e il 2011), il ‘Rocket’ è stato completato al livello industriale e consegnato ‘chiavi in mano’, da circa 2 mesi,  (dopo una serie di controlli del Politecnico di Torino), al Consorzio Rifiuti di Alba-Bra. Si tratta, (per ora), del primo e unico impianto, nel suo genere, attualmente funzionante in Italia.

(Matteo Ludovisi)

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