civita di bagnoregio lazio

I borghi più belli d’Italia: Lazio

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Un territorio dalla storia antica

Il Lazio, territorio dalla storia antica, le cui tracce sono ancora ben visibili anche nei comuni più piccoli che caratterizzano la regione nel suo insieme. A partire dal mare, con la provincia di Latina che offre due borghi d’eccezione.

Il primo è sicuramente Sperlonga il cui nome deriva dalle speluncae, le grotte naturali che si aprono sul mare.

sperlonga lazio

Tra queste  la più famosa è la grotta- ninfeo di Tiberio ricavata in una villa romana, probabilmente appartenuta all’imperatore. La residenza si sviluppava per oltre 300 metri di lunghezza lungo la spiaggia e comprendeva un impianto termale e una piscina circolare collegata a vasche destinate all’itticoltura. La grotta, internamente, era decorata con marmi e mosaici in tessere di vetro e arredata con i gruppi marmorei delle imprese di Ulisse,  conservati nel Museo Archeologico.

Le origini di Sperlonga risalgono alle antiche leggende greche.

Un borgo marinaro arroccato in cima a uno sperone roccioso, con gli intonaci bianchi di calce, con archi, scalette e viuzze si inerpicano e ridiscendono fino a scivolare al mare.

La sua struttura urbanistica è tipicamente medievale. Nell’XI secolo, infatti, Sperlonga era un castello chiuso da una cinta muraria, nella quale si aprivano due porte che oggi sono le testimonianze superstiti di quell’epoca: la Portella (o Porta Carrese) e Porta Marina, la principale via d’accesso al paese.

Il mare è protagonista anche nelle gastronomia di Sperlonga, che si basa su una cucina semplice e  tradizionale e presenta zuppe di pesce o di sarde alla sperlongana, bombolotti al ragù di seppia e spaghetti alle cicale di mare.

Dopo la devastazione del 1534 dovette passare quasi un secolo perché la vita tornasse a Sperlonga, che fu ricostruita nell’attuale forma a testuggine ed arricchita di chiese e palazzi signorili. Tra gli edifici architettonici di rilievo è sicuramente da ricordare l’antichissima chiesa di Santa Maria di Spelonca, costruita nei primi anni del XII secolo con campanile e pianta latina con matronei

Il secondo borgo della zona è San Felice Circeo.

 

Un nome che ricorda, secondo una delle etimologie accreditate, la celebre Circe, maga dell’Odissea omerica, ma soprattutto dea a cui anticamente a San Felice Circeo era tributato un culto.

San Felice Circeo si scopre partendo da Piazza Vittorio Veneto, luogo principale del borgo antico. Qui si trova la Torre dei Templari che, sulla sua facciata, conserva ancora funzionante un orologio a sei ore, l’antico sistema orario detto “all’italiana”.

La Torre dei Templari è anche sede della Mostra permanente Homo Sapiens ed Habitat, nelle cui sale sono illustrati gli eventi naturali, biologici e culturali più significativi dell’Era del Quaternario, con particolare riguardo al patrimonio del Circeo e alla regione pontina.

Il Giardino panoramico di Vigna La Corte , invece, offre un’incomparabile vista sul mare e sulla costa di San Felice Circeo e della Riviera d’Ulisse e da esso è possibile ammirare dall’alto il sito archeologico romano della Villa dei Quattro Venti, databile tra il II e il I secolo a.C., mentre fuori le mura del centro storico si imbocca la strada che porta ad una delle vette del Monte Circeo, Punta delle Crocette, dove sono ancora visibili i resti dell’Acropoli Circeii, datata tra VI e IV secolo a.C.

Affacciato sul mare, San Felice Circeo ne celebra i prodotti con un evento molto atteso nel mese di settembre come la Sagra del Pesce Azzurro, dedicata alle bontà del pescato locale, che vengono affiancate da dolci tipici sanfeliciani, come le frittelle dolci.

Ma c’è spazio anche per i prodotti tipici della terra.

A giugno si celebra la Sagra della Bufala con i numerosi prodotti caseari e le pregiate carni che offrono  i fiorenti allevamenti della zona. E poi, a ridosso dell’Epifania, nei vicoli del centro storico si festeggia la Sagra del Canascione, un antico piatto di recupero della tradizione contadina, il “canascione”, dalle caratteristiche di una gustosa pizza ripiena.

Dal mare ci si dirige verso l’entroterra rurale nella provincia di Frosinone, che regala un borgo come Pico.

Un piccolo comune di circa tremila abitanti,  suggestivo angolo arroccato su una collina a cavallo tra il Lazio e la Campania.

Il centro storico ricorda una tipica strutturazione di età medioevale, con strade strette, regolari, concentriche, collegate da scalinate che si snodano attorno al castello e una cinta muraria interrotta da quattro porte per l’accesso al centro abitato, di cui resta intatta quella di San Rocco.

Il paese è ricco di zone verdi, parchi e percorsi naturalistici. Pico si presenta come un paesaggio naturale di grande respiro e suggestione, con la visione sullo sfondo dell’Abbazia di Montecassino e i monti innevati dell’Abruzzo. Nel territorio comunale è presente, inoltre, un artigianato artistico rappresentato da prodotti di liuteria, lavorazione del ferro e del legno, produzione di ricami e decorazioni della ceramica.

Alcune di queste attività trovano riscontro nella Fiera in onore di San Biagio, il 3 febbraio.

Il santo è considerato patrono della gola e dopo la santa messa, infatti,  il sacerdote passa un batuffolo di ovatta intriso di olio benedetto sulla gola dei fedeli effettuando un segno di croce. La fiera nacque come occasione di acquisto del bestiame, soprattutto suino, ma oggi è indirizzata, appunto, anche all’artigianato in legno, ferro e vasellame.

Proprio dall’allevamento locale provengono carni e formaggi, salami e pancetta di maiale stagionati secondo antiche ricette. Poi c’è la marzolina, formaggio di capra o bovino, di particolare forma allungata o tronco-conica, che prende il nome dal mese di marzo poiché viene cagliato in questo periodo e poi degustato sia semi-fresco che stagionato.

Il tipico menù picano potrebbe cominciare con un antipasto di salsiccia, formaggio, olive, poi sagnette  e fagioli oppure “trippetta” o baccalà. I secondi sono a base di carne di maiale o di agnello con contorno di patate al forno e cicoria. Gustose anche le minestre contadine di antico sapore e le lumache “ammuccate”, al profumo di mentuccia.

Sempre in questa zona si trova un altro borgo suggestivo come Castro dei Volsci

Parte del territorio ricade nel Parco naturale regionale dei Monti Ausoni e Lago di Fondi, al cui interno si trova il tempio romano di Giove Anxur, con spettacolare vista sui promontori del Circeo e di Gaeta e sull’isola di Ponza.

Reperti marmorei provenienti dalla villa romana del Casale di Madonna del Piano sono esposti nel Museo Archeologico di Castro dei Volsci, mentre nel 1998, durante il restauro della basilica paleocristiana, è stata rinvenuta una lastra marmorea del III secolo d.C. appartenente alla fronte di un sarcofago.

Il borgo di castro dei Volsci  è circondato da uno splendido paesaggio ricco d’acqua, che scende lungo i fianchi dei monti dopo le piogge o alimenta ruscelli raggiungendo a valle il fiume Sacco, procedendo dalla pianura fino ai 1.116 metri del Monte Calvilli e passando per colline ricoperte di boschi.

Il paese diventa un presepe durante le feste natalizie, quando si aprono le vecchie botteghe e gli abitanti indossano i costumi tipici. E proprio in queste occasioni si possono degustare alcuni dei prodotti tipici del luogo.

Tra questi le fettuccine sottili dette “fini fini” condite con sugo di frattaglie di pollo e pomodoro, o le sagne con fagioli e cotiche di maiale. Di lunga tradizione è anche la minestra di pane, accompagnata dalle verdure di stagione, mentre è da provare  la salsiccia di maiale, condita con aglio e bucce d’arancia

Proseguendo nella zona di Frosinone si scopre il borgo di Atina che, secondo la leggenda, fu fondato da Saturno, dio dell’Olimpo che, costretto a fuggire dalla Grecia, si nascose nel Lazio.

Il comune di Atina è costituito da tre nuclei insediativi principali: il Centro Storico, con eleganti palazzi del Settecento, il Colle, caratterizzato dalla presenza di possenti mura poligonali databili IV sec. a.C.  che, con il loro perimetro di circa sei chilometri, sono tra le più grandi del mondo italico,  e la frazione di Ponte Melfa, il cuore economico e commerciale dell’intera valle.

Si entra nel borgo attraverso la monumentale Porta dell’Arco, uno dei tre ingressi principali alla città antica e si viene subito accolti dalla bellissima Piazza Garibaldi con il Fontanone e il Convento di San Francesco. Quest’ultimo è un edificio costruito nel 1630 che presenta un chiostro con annessa chiesa e pianta ad L, con corpo longitudinale illuminato da una serie di finestre.

Il centro storico è dominato dal Palazzo Ducale, oggi sede del municipio, che sorge nel punto più alto del borgo.

Dal salone di rappresentanza al piano nobile, dove è custodito un prezioso mosaico del II secolo d.C., si entra nella cappella gentilizia dedicata a Sant’Onofrio, in cui sono conservati alcuni affreschi trecenteschi recentemente restaurati.

Nel centro storico, degno di nota è anche il settecentesco Palazzo Visocchi, annoverato tra le Dimore Storiche del Lazio, con la cappella privata dedicata alla Madonna di Loreto e la sala da pranzo, al piano nobile, impreziosita da una rara carta da parati ottocentesca, detta “carta francese”.

Nella splendida cornice di piazza Marconi, a luglio si tiene il Festival internazionale Atina Jazz, nato nel 1986 ed affermatosi come uno dei più importanti eventi musicali in Italia. Ad agosto, invece, con CantinAtina si celebra il prodotto di eccellenza del borgo, il Cabernet di Atina DOC, un vino rosso secco corposo, con un colore rosso rubino intenso, caratterizzato da grande impatto olfattivo.

Un’altra suggestiva località è Boville Ernica nata dall’antica cittadina osco-sannitica, e poi romana, di Bovillae, così chiamata perché vi si praticava il culto del dio Bove.

Boville Ernica si scopre partendo da Porta San Nicola, dove balza subito agli occhi l’imponenza della cinta muraria con le sue torri. Entrati in via Roma si  ammira Palazzo Liberati, mentre svoltando su via della Ripresa si arriva a Palazzo Filonardi, il più grande complesso architettonico del borgo, ricco di splendidi portali,  di preziose pavimentazioni, di maestosi scaloni.  Artefice di tanta bellezza il grande architetto rinascimentale Jacopo Barozzi detto il Vignola, il cui stile è impresso nel portale d’ingresso.

Inglobata nell’architettura di Palazzo Filonardi si presenta l’abbazia di San Pietro Ispano, sorta probabilmente nel X o XI secolo sul luogo in cui dimorò l’eremita giunto dalla Spagna dopo aver combattuto i Mori. Qui si possono visitare la cripta costruita sulla grotta del santo e la cappella Simoncelli, dove sono custodite le preziose opere d’arte provenienti dall’antica basilica costantiniana di San Pietro in Vaticano, tra cui l’Angelo di Giotto, l’unica opera a mosaico dell’artista fiorentino giunta sino a noi

Arrivando nel salotto a cielo aperto di piazza Sant’Angelo, si scopre  la collegiata di San Michele Arcangelo, ricostruzione settecentesca di un precedente edificio di culto nominato già nel 1125, mentre scendendo verso piazza San Francesco si ammira  la chiesa omonima, ora sala mostre, dai cui lavori di restauro sono emersi affreschi tre-quattrocenteschi e alcuni riconducibili all’arte bizantina.

Boville può essere il punto di partenza per conoscere le altre bellezze della Ciociaria.

Ma è sicuramente un luogo ideale per scoprire i sapori e le tradizioni di questa particolare zona del Lazio meridionale.

Tra le poche attività artigianali che sopravvivono a Boville, infatti, c’è il ricamo, un’arte diffusa dalle suore benedettine, che ancora realizzano con ago e filo corredi nuziali, tovaglie e corredini per neonato.

In aggiunta, l’olio degli uliveti ciociari è la base dei piatti tradizionali come l’abbacchio  al forno con le patate, che a Boville si consuma nel periodo pasquale, la polenta con verdure o con salsicce e fagioli, o ancora il timballo alla baucana, che in questo borgo viene preparato in modo originale.

Dalla Ciociaria ci si sposta verso la Capitale. La provincia di Roma, infatti, presenta alcuni borghi particolari che illustrano le tracce delle varie epoche storiche.

Proprio  da una delle vie principali di Roma si arriva a Castel Gandolfo.

 

Arrivando da Roma, si incontra sulla via Nettunense, in località Laghetto, la sontuosa villa che il cardinale Flavio Chigi fece costruire nel secolo XVI. Dalla zona alta del parco una scalinata conduce a un ninfeo con le pareti dipinte

Rientrati sulla via Appia, sulla destra appare la chiesa di San Sebastiano e , proseguendo in salita,  si raggiunge Castel Gandolfo e in breve la piazza con lo sbocco del cunicolo dell’emissario del lago Albano scavato dai Romani.

Sul lato opposto dell’Appia inizia via Ercolano. Qui si estendevano gli Horti Torlonia, oggi occupati da lottizzazioni residenziali e dal Parco archeologico degli Ibernesi, dove sono presenti alcuni resti della villa di Domiziano.

Da lì Castel Gandolfo emerge in tutto il suo splendore.  Proseguendo su via Ercolano si raggiunge Villa Torlonia, restaurata nel 1817 dall’architetto Giuseppe Valadier. La facciata principale rivolta verso il parco è formata da un portico delimitato da sei colonne doriche su cui poggia una terrazza, dal cui piano si alzano altre  sei colonne con capitelli ionici dove poggia un frontone triangolare scolpito da Thorvaldsen.

Un’altra magnifica dimora è Palazzo Del Drago, fatto costruire dal cardinale Alessandro Albani nel 1746.

Da lì si arriva in via Massimo D’Azeglio che, in salita, conduce alla Porta Romana. Una volta attraversata, si apre in tutta la sua eleganza Piazza della Libertà, con il Palazzo dei Papi sul lato nord e la chiesa di San Tommaso da Villanova sul lato est.

Castel Gandolfo è da sempre stato scelto dai Papi come luogo appartato per trascorrervi periodi di riposo. E nel palazzo omonimo, ai piani superiori, si presentano ricche opere d’arte, sale per le udienze, l’appartamento del Pontefice, le sale di servizio e tre cappelle. Il primitivo disegno della cancellata d’ingresso del giardino del palazzo, delimitato da mura, è opera di Gian Lorenzo Bernini.

Sul lato est di Piazza della Libertà si apre la strada che raggiunge il belvedere sul lago Albano e si eleva la mole della chiesa di San Tommaso di Villanova, una fra le più belle opere del Bernini, con pianta a croce greca e cupola sottile che poggia su pilastri di stile dorico.

Castel Gandolfo è un’area ricca di storia, ideale per gli amanti dell’arte, tra ville rinascimentali, rovine italiche e romane.

Ma c’è anche spazio per il gusto e gli eventi popolari. Il più importante è la  Sagra delle Pesche, che qui vengono chiamate “guance di canonico”, e si svolge la prima domenica d’agosto.

Non solo frutta, però, perché la campagna romana regala porchetta, salumi e formaggi, mentre il lago Albano offre deliziosi prodotti quali  la trota, il luccio, l’anguilla, il pesce persico e i lattarini, saporiti pescetti di lago da gustare fritti e da accompagnare con vino Doc dei Colli Albani.

Nella provincia romana si prosegue con Castel San Pietro Romano un borgo dominato dalla Rocca dei Colonna.

Edificata, appunto, dalla famiglia Colonna a scopo difensivo nel punto più elevato del Monte Ginestro, fu distrutta la prima volta nel 1298.

Venne subito ricostruita e nuovamente danneggiata nel 1436, ma  con il ripristino di Stefano Colonna del 1482, la rocca perse la sua funzione militare per diventare il magazzino delle derrate alimentari della comunità. Abbandonata nell’Ottocento e ridotta a rudere, la Rocca dei Colonna è stata restaurata e recuperata all’uso pubblico agli inizi del Duemila.

Proprio qui, nel periodo invernale, si svolge il presepe artistico con personaggi a grandezza naturale e viene ricostruito un intero villaggio con le capanne, il mulino, il fontanile e la rappresentazione dei mestieri e della natività.

Nelle domeniche di dicembre, poi, si svolgono mercatini natalizi di artigianato artistico.

Le rievocazioni storiche e musicali, invece, hanno luogo nella metà di agosto durante la settimana di festeggiamenti in onore di San Rocco, mentre l’itinerario enogastronomico dell’ultima domenica di luglio è l’occasione per assaggiare il famoso Giglietto, biscotto presidio Slow Food.

E si arriva nella meravigliosa Subiaco culla del monachesimo benedettino, ma anche della stampa in Italia.

monastero subiaco lazio

L’unico monastero sopravvissuto dei tredici fondati da San Benedetto da Norcia nella valle dell’Aniene è quello di Santa Scolastica, il più antico che si conservi al mondo dell’ordine benedettino.

La struttura del protocenobio si accentra intorno a tre chiostri: il chiostro cosmatesco del XIII secolo, quello gotico del XIV secolo e quello rinascimentale databile tra il  XVI-XVII secolo. L’atrio gotico è abbellito da un giardino interno e da un arco monumentale, mentre affreschi del  XIII e XIV secolo e colonne tortili e binate decorano il chiostro cosmatesco.

All’interno del monastero si trova la Biblioteca di Santa Scolastica, che custodisce circa 4 mila pergamene, 380 volumi manoscritti e 213 incunaboli. Tra questi ultimi, due De Civitate Dei di Sant’Agostino, stampati a Subiaco nel 1465, quando Konrad Sweynheym e Arnold Pannartz vi installarono la prima tipografia italiana.

Ma un altro edificio simbolo di  Subiaco è il Monastero di San Benedetto, o “del Sacro Speco”, costruito vicino ad una parete di roccia e caratterizzato da un complesso di ambienti, chiesette e cappelle. San Benedetto è anche il patrono di Subiaco, a cui vengono dedicati tre giorni di festa dal 20 al 22 marzo.

Il monastero di San Benedetto fu edificato sul monte Taleo a partire dalla fine del XII secolo per custodire la grotta (il sacro speco) in cui, secondo tradizione, si ritirò Benedetto da Norcia nei suoi tre anni di eremitaggio.

L’edificio si compone di due chiese sovrapposte e di diverse cappelle, quasi mimetizzate con la roccia circostante.

Dal livello inferiore di questa chiesa si accede al sacro speco che accolse le solitudini di Benedetto. All’interno della grotta si trova la statua del santo realizzata nel 1657 da Antonio Raggi, allievo di Gian Lorenzo Bernini.

La rocca abbaziale, invece,  fu fondata nell’XI secolo dall’abate di Santa Scolastica Giovanni V per instaurare il dominio monastico sul borgo di Subiaco. Ai piedi della rocca, tra vicoli, scalinate e scorci, si trovano la chiesa di San Pietro, ricostruita nel 1949 dalle macerie della guerra, e la piazzetta di Pietra Sprecata, generata dalla confluenza di irregolari percorsi di arroccamento.

All’interno della rocca abaziale ha sede il Museo delle Attività Cartarie e della Stampa, museo civico della storia di Subiaco, rappresentata anche dal Borgo dei Cartai, un museo laboratorio che conserva ancora l’aspetto medievale e contiene attrezzature e macchinari storici, per riscoprire il ciclo della fabbricazione della carta a mano così come veniva realizzata nelle cartiere del XVIII secolo.

A Subiaco il medioevo rivive ogni anno grazie all’Inchinata, un evento che si svolge il 14 agosto.

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Una festa medievale originata da due processioni in partenza dalle chiese di Santa Maria della Valle e di Sant’Andrea; nella prima viene condotta a spalla da 12 portatori l’immagine dell’Assunta, e nella seconda quella del Salvatore. Le due processioni si incrociano in località La Valle, dove le due immagini sono poste l’una di fronte all’altra.

Dalla tradizione pastorale, invece, proviene  ju pappaciuccu, una pietanza con cavoli neri lessati e impastati con pizza di granturco e pane raffermo, la polenta con sugo di pomodoro e spuntature di maiale e i frascaregli, gnocchetti di farina bianca con salsa di pomodoro, aglio, olio, prezzemolo, peperoncino, alici.

Il subiachino è il prodotto emblema del borgo, un biscotto a base di mandorla, a forma di rombo, ricoperto di glassa bianca, che si trova in ogni pasticceria, insieme con le ciambelle al vino, i tozzetti e le tisichelle.

Ad una sessantina di chilometri da Roma ecco Percile un borgo con poco più di duecento abitanti che vivono a 575 metri d’altitudine nell’area protetta del Parco Regionale dei Monti Lucretili.

Vecchie case in pietra, restaurate con gusto, stradine in cui si aprono all’improvviso squarci sulla valle. Un luogo dove respirare aria buona e sentire profumi dimenticati, di bosco, di castagne, di legna.

Un trionfo di sapori e piaceri semplici, come quello di bere alla Fonte degli Aliucci, da cui sgorga una leggerissima acqua oligominerale ben conosciuta dagli antichi Romani per le sue virtù terapeutiche.

Percile è anche il paese dei “lagustelli”, due splendidi laghetti chiamati Fraturno e Marraone, riconosciuti quali zona a protezione umida internazionale che  si trovano all’interno della tenuta demaniale Regionale “Lago”, un oasi di circa 900 ettari fatta di boschi, splendide radure e percorsi naturalistici incontaminati.

Proprio qui, il 1 maggio si celebra la Festa dei Laghi, una giornata all’insegna della natura, delle passeggiate a piedi, a cavallo, in mountain bike e dell’ottima enogastronomia.

A dicembre, invece, ha luogo la  Sagra della Ramiccia,  la regina delle sagre con il tipico piatto dei giorni di festa, che consiste in  fettuccine tagliate finissime dalle sapienti mani delle donne di  Percile e condite con un sugo che proviene da una ricetta antichissima.

Lasciata la provincia romana ci si dirige nella provincia di Rieti, nel territorio della Sabina e si viene accolti da Orvinio.

Un piccolo paese dai grandi ingegni che ha dato i natali al pittore secentesco Vincenzo Manenti e all’incisore settecentesco Girolamo Frezza.

Il borgo sabino di Orvinio è il più alto del Parco dei Monti Lucretili, in posizione panoramica e felice. Dal borgo si raggiungono in breve zone di interesse geologico, cavità naturali, grotte, caverne, pozzi, e monti coperti da boschi di castagni e faggi tra i più antichi d’Europa.

Orvinio è un paese dove c’è abbondanza di memoria, per aver dato i natali o ospitato personaggi dell’arte e, soprattutto, per le sue chiese. Tra queste la chiesa di Santa Maria dei Raccomandati, edificata nella seconda metà del XVI secolo in cima alla salita nella parte alta del borgo, che ospita le opere di Vincenzo Manenti e del padre Ascanio, entrambi sepolti qui.

Il valente pittore locale ha operato anche nella chiesa di Santa Maria di Vallebona, che si trova in una vecchia borgata a un paio di chilometri da Orvinio. La data di costruzione è il 1643, e anche qui il pittore riveste con il linguaggio dell’arte i temi devozionali cari ai committenti.

Al polentone e ai “cecamariti”, ottima pasta locale, invece sono dedicate le sagre e gli eventi popolari. Nel menu tradizionale, inoltre, sono da considerare  le “sagne all’aglione” o ai funghi porcini, e le specialità alla brace accompagnate dalla “pizza-pane” e dalla cicoria di campo.

Collalto Sabino accoglie con le sue case di pietra antica, le sue strade strette e i suoi vicoli immersi in un silenzio surreale.

 

Circondato dal verde dei suoi boschi, immerso in una sorta di sinfonia pastorale dove storia e natura offrono ancora momenti di vita autentica, Collalto qualcosa difficile da definire, ma che lo rende incredibilmente affascinante.

Percorrendo a piedi gli stretti vicoli in selciato, si possono ammirare gli splendidi portali in pietra delle abitazioni, ritrovandosi immersi in un’atmosfera che riporta indietro nei secoli. Probabilmente sarà l’aria fresca, i colori e i profumi intensi dei boschi,  le pietre antiche delle case del borgo e del Castello.

Il castello baronale riporta l’impronta della ristrutturazione operata dal barone Alfonso Soderini nella seconda metà del XVI secolo quando, oltre al palazzo, anche la rocca fu rimaneggiata per essere trasformata in fortezza d’artiglieria.

La rocca conserva il suo aspetto sei-settecentesco, l’ultimo periodo di utilizzazione militare, articolandosi su una torre centrale quadrata e due torri angolari rotonde con una serie di baluardi e postazioni. Attraverso delle  scalinate si collega  al palazzo baronale, la cui fronte principale si affaccia sull’abitato.

All’interno del Castello c’è un ampio parco con l’antico pozzo, e sulla sommità il mastio, dal quale si gode un panorama a 360 gradi che può spaziare dal Gran Sasso al Terminillo e alla Maiella.  La maestà dei monti circostanti appare in tutta la sua luminosità al tramonto, quando si accendono le luci dei paesini intorno,  tutti visibili ad occhio nudo dagli spalti della fortezza.

Collalto è inserito nel Parco Regionale del Monte Cervia e del Monte Navegna.

Boschi e laghi, gole e torrenti costituiscono il suggestivo scenario del Parco, insieme alle opere dell’uomo che ne fanno da contrappunto come antichi borghi, ponti, eremi, casali, tratturi.

Le produzioni agroalimentari tipiche come ortaggi e frutta, miele, formaggi, insaccati, si ritrovano nelle specialità tipiche di Collalto Sabino, tra cui salami, prosciutti e salsicce di maiale, che qui è ancora allevato con i metodi tradizionali, la pizza ‘nfranscata, cioè cotta sotto la brace, la  polenta alla spianatora con spuntature di maiale e sagne olio, aglio e pomodoro.

Tra i dolci, invece, spiccano  la nociata (noci tritate e miele tra due foglie di alloro), i ciammeglitti (ciambelline al vino), il serpentone, ,i mostaccioli, le pastarelle con le nocchie e le crostate con marmellate di ogni tipo, dall’uva, alle castagne, alle more, ai fichi.

Castel di Tora dove  pietra e acqua sono contornate dal verde di pascoli e boschi si presenta mezzo spopolato dall’emigrazione e sembra custodire nei vuoti e nei silenzi dei suoi vicoli il segreto delle sue origini.

castel di tora lazio

Castel di Tora si allunga sulle rive del lago artificiale del Turano, circondato da una corona di fitti boschi sui quali domina il Monte Navegna a 1506 metri. Nel borgo, edifici in pietra locale a vista con coperture in legno e manto in coppi di laterizio, rivelano tipologie tipiche dell’architettura rurale in un contesto medievale.

Risale all’XI secolo la torre poligonale della fortezza, costruita su una roccia a strapiombo, mentre risalgono al XV secolo le torrette di via Turano e di via Cenci, che costituiscono i resti dell’antica cinta muraria.

Forni e terrazze, panni stesi, comari vestite di nero, una piazzetta-belvedere che è un incanto, il luccichio delle acque del lago mosse dalla brezza disegnano il paesaggio da fiaba che i remoti pastori di Thora hanno lasciato in eredità.

E chi volesse concludere la visita con un’immersione mistica può recarsi al Convento di Santa Anatolia, un tempo residenza estiva del Pontificio Collegio greco-ortodosso, con la bella chiesa citata già nel 1153 in una bolla papale. A Santa Anatolia è dedicata anche una festa, la seconda domenica di luglio, con processione al Convento di Sant’Anatolia e ritorno e fuochi d’artificio sul lago.

Castel di Tora è inserito nella Riserva Naturale Monte Navegna e Monte Cervia, un paesaggio incontaminato che porta i segni di un’agricoltura sofferta, ma anche della bellezza che incantò i costruttori di rocche e castelli.

Le tradizioni locali si festeggiano con la Sagra del Polentone, la prima domenica di Quaresima, in cui il polentone viene cotto con fuoco in un calderone e condito con sugo magro di baccalà, aringhe, tonno e alici e la Sagra degli Strigliozzi, una specie di maccheroni fatti a mano, che ha luogo l’ultima domenica di settembre.

Nella provincia di Rieti si presenta anche un importante borgo come Amatrice cittadina costruita ai piedi dei Monti della Laga in età medievale, insieme alle sue 69 frazioni, dette “ville”.

Dal 1991 fa parte del Parco Nazionale Gran Sasso Monti della Laga, celebrato ad Amatrice nel “Parco in Miniatura”, ovvero un giardino tematico della conoscenza, aperto tutto l’anno, dove è possibile ammirare le riproduzioni degli animali presenti nell’area protetta oltre che dell’intero territorio del Parco.

La pianta della città è duecentesca ed è costituita dal corso principale, l’antica “piazza”, da sette vie parallele e due che si intersecano ortogonalmente. Il centro storico era circondato da un sistema di fortificazioni e si accedeva da sei porte alcune ancora esistenti tra cui Porta Carbonara e Porta Castello.

All’estremità orientale si trova la Chiesa di Sant’Agostino, la cui facciata è in pietra arenaria e presenta un portale in travertino, mentre sull’architrave si trova incisa la data del 1428 e uno dei più antichi stemmi della città.

Adiacente alla Chiesa è possibile ammirare la Torre Campanaria, anticamente inglobata nelle mura cittadine ed era una delle torri difensive, mentre la Torre Civica, situata al centro del corso principale e di fronte al Palazzo Comunale, è alta 25 metri, ed è a pianta rettangolare.

In seguito al sisma che ha colpito la cittadina di Amatrice il 24 agosto 2016, la via principale del corso umbertino è diventata il simbolo della devastazione della scossa. Soltanto la torre civica con le campane è rimasta in piedi, assieme alla chiesa di Sant’Agostino, alle porte del centro, benché con la facciata parzialmente crollata.

Ma Amatrice continua a resistere e a lottare ogni giorno continuando a farsi conoscere nel mondo principalmente per la sua specialità, ovvero l’Amatriciana.

Un piatto che, in realtà, nasce “bianco” dalla sapienza dei pastori dei monti della Laga, abili ad unire durante i periodi di transumanza il proprio formaggio, il pecorino, ed il sostanzioso guanciale, ad una pasta di acqua e farina arrotolata ad un filo di ferro.

Nel 1800, con l’arrivo del pomodoro in cucina, diventa “rossa”, mentre l’avvento dei pastifici industriali farà prendere agli spaghetti il sopravvento su qualunque altro tipo di pasta. E proprio nell’ultimo fine settimana di agosto ha luogo la Sagra degli Spaghetti all’Amatriciana.

Il Pecorino di Amatrice, il Guanciale Amatriciano e la ricetta tradizionale dell’Amatriciana sono tutelati dal Comune di Amatrice con il marchio DE.CO. (Denominazione Comunale). Il Comune ne concede l’uso ai produttori, nel rispetto di un disciplinare di produzione ed un sistema di controlli e verifiche.

Un marchio che tutela anche gli Gnocchi Ricci di Amatrice, il piatto più tipico della tradizione Amatriciana, condito con sugo a base di castrato di pecora e da sempre considerato la pietanza della domenica delle famiglie nobili di Amatrice.

Altro vanto della tradizione gastronomica amatriciana è senza dubbio il Prosciutto Amatriciano I.G.P.  La sua preparazione è rimasta pressoché inalterata e richiede un periodo minimo di 12 mesi di stagionatura e un peso mai inferiore agli 8 kg. A questo si aggiungono altre importanti produzioni locali di assoluta eccellenza, come il Miele di Amatrice, la Patata Turchesa e la Ricotta Amatriciana.

E poi l’incantevole Greccio piccolo gioiello incastonato tra le verdi colline della Valle Santa di Rieti, uno dei luoghi più belli e pittoreschi della zona.

 

L’antico centro medievale, ancora oggi, sia per la sua posizione, che gode di un ottimo panorama, che per la presenza di numerose testimonianze storiche e religiose, tramanda un incantevole fascino che richiama atmosfere d’altri tempi.

Sorprese ed emozioni catturano il cuore di chiunque visiti Greccio. A suscitare queste sensazioni sono il Centro Storico ben conservato e il Santuario Francescano del Presepio conosciuto in tutto il mondo come la Betlemme Francescana, culla del Presepio, in virtù della scelta di San Francesco d’Assisi di far rivivere qui, nel Natale del 1223, la scena della Natività del Signore.

Il Santuario, che si trova a 635 metri di altitudine, è un imponente complesso architettonico che sembra sorgere dalla nuda roccia con numerosi  tesori artistici custoditi fra le sue antiche mura. Appena entrati nel Santuario, l’attenzione viene catturata dalla Cappella del Presepio, edificata nell’anno 1228, lo stesso della canonizzazione del Santo, sul luogo dove avvenne la rievocazione.

Nella Grotta si conserva un affresco di scuola Giottesca del XIV secolo che rappresenta il Natale di Betlemme e il Natale di Greccio.

L’itinerario si sviluppa poi attraverso i luoghi abitati dal Santo e dai primi frati come il Refettorio, il Dormitorio antico e la piccolissima Cella di San Francesco

Nel borgo medievale, invece, è possibile ammirare una splendida piazza, sulla quale si affaccia scenograficamente la Collegiata di San Michele Arcangelo, chiesa principale del paese le cui origini sembrano risalire all’XI secolo e la Chiesa della Madonna del Giglio, di stile barocco, edificata agli inizi del 1400 dai monaci benedettini.

Ad arricchire un centro storico già pregevole,  un tocco di colore e di sacralità viene offerto dal Sentiero degli Artisti, che con le sue 26 opere pittoriche, rende una passeggiata tra i vicoli di Greccio, un autentico viaggio nell’arte e nella cultura francescana nel mondo.

L’identità culturale del territorio viene valorizzata soprattutto da eventi ed iniziative culturali come la Rievocazione Storica del Primo Presepio del Mondo di Greccio del  1223, la Mostra Mercato dell’Artigianato e dell’Oggettistica per il Presepio e  le Feste Religiose in onore di San Francesco d’Assisi, San Michele Arcangelo e S. Antonio da Padova.

A Foglia, frazione di Magliano Sabina l tempo sembra rimasto aggrappato ai muri delle case, dei palazzi, dei ponti levatoi.

Qui Fauna, moglie di Fauno, dio dei pascoli e della campagna, e mitico re dei Sabini e dei Latini, aleggia ancora nel bosco sacro dei fauni, corteggiatori di ninfe al dolce suono del flauto. Il cristianesimo, in seguito,  portò gli abitanti a venerare Santa Serena, patrona del borgo, le cui reliquie sono conservate nella chiesa di Santa Maria Assunta.

Da Piazza Castello, cuore del borgo, si irradiano le vie di collegamento e d’ingresso.  Attraverso l’arco d’accesso, oltrepassando la piazza, si sviluppa via di Mezzo, che ha un primo tratto in discesa, per poi risalire nella seconda metà fino all’ingresso della chiesa di Santa Maria Assunta.

Sulla destra della piazza si trova via Tevere, che separa il Palazzo Valignani-Orsini dalle case antistanti, e sbuca su un belvedere che si affaccia sulla valle del Tevere. Sullo sfondo compaiono su il profilo del Monte Soratte,  luogo di culto di Sabini, Etruschi e Romani, e  in lontananza i monti Sabatini e Cimini.

Le terre dei Sabini vantano un’eccellente produzione di olio d’oliva e di vino, entrambi a denominazione protetta e controllata. Questi, assieme a rosmarino, asparagi, finocchio selvatico, mentuccia, aglio, pancetta e guanciale, sono i profumi e i sapori che stanno alla base della gastronomia locale.

Tra i piatti che non si possono perdere, infatti, ecco le fettuccine in bianco con condimento di asparagi, pancetta e pecorino, gli strozzapreti con sugo piccante e i frascarelli, polenta di farina bianca raggrumata con uovo e acqua, conditi con soffritto di cipolla, guanciale e pomodoro.

La zona della Tuscia, in modo esemplare, presenta la bella città di Viterbo, un centro dal magnifico fascino. Ma la sua provincia regala alcuni borghi che lo equiparano per storia ed elementi caratteristici.

Uno di questi è Sutri con il Parco regionale dell’Antichissima Città di Sutri che sorge lungo il tracciato della Via Cassia, dove si trova la necropoli di età romana scavata nel tufo, databile tra il I ed il II secolo d.C.

 

Nei pressi della necropoli si ammira l’imponente anfiteatro romano  anch’esso interamente scavato nel tufo e riportato alla luce tra il 1835 e il 1838.  L’anfiteatro è luogo di spettacoli durante la festa patronale di Santa Dolcissima, il 16 settembre, mentre il Presepe Vivente viene ambientato nella necropoli illuminata con fiaccole romane.

Nella roccia è scavata anche la chiesa della Madonna del Parto che, prima di diventare un luogo di culto cristiano con i Longobardi, era un mitreo, edificio pagano dedicato al culto del dio Mitra. Gli affreschi della chiesa, risalenti al XIV secolo, raffigurano l’Arcangelo Michele, il santo venerato dai Longobardi.

Tra i luoghi culturali emerge sicuramente il Museo di Palazzo Doebbing, che deve il suo nome a Joseph Bernard Doebbing, vescovo di Sutri dal 1900 al 1916. Da ex sede vescovile è stato trasformato in museo nel 2018,  ospita mostre temporanee e una collezione permanente di arte antica e di arte sacra, il cui pezzo forte è lo splendido Efebo del I secolo d.C.

Anche Vitorchiano si presenta come piccolo gioiello del territorio viterbese.

vitorchiano

Le mura castellane del XIII secolo racchiudono il borgo con torri, merli alla ghibellina e due bastioni rotondi, che un tempo difendevano il centro urbano e permettevano  l’accesso solo attraverso la Porta Romana.

Immediatamente al di sopra della porta d’accesso al paese, accanto all’antica rocca, sorge il Palazzo Comunale e la torre dell’orologio del 1470. Adiacente al Palazzo Comunale ha sede l’Archivio Storico, che raccoglie circa 120 pergamene, tra cui alcune risalenti al 1200.

Tra gli edifici di culto più importanti di Vitorchiano si annovera sicuramente la Chiesa di Sant’Antonio Abate , affacciata sulla piazza interna del paese e attualmente sconsacrata, conserva le statue lignee dei “ Cristi”. A questa segue la Chiesa della SS. Trinità, eretta tra il 1476 e 1l 1479, che al suo interno custodisce il particolare affresco raffigurante l’Annunciazione di Valentino Pica, mentre sul suo lato sinistro ha inglobata la chiesa di San Carlo.

La Chiesa della Madonna di San Nicola, invece, risalente al 1536, contiene affreschi attribuibili a Giustino da Montefiascone, Valentino di Sebastiano da Viterbo, Giovanni e Guido da Arezzo. Non solo religione e spiritualità, ma anche prodotti locali con il convento Suore O.C.S.O., conosciuto come Ordine Trappista, è il più importante d’Italia per la produzione di confetture, vino e stampe.

E per restare in tema di piaceri del palato è da provare il cavatello vitorchianese.

Un piatto della tradizione costituito da un lungo spaghettone condito con sugo di pomodoro, aglio, olio, peperoncino e finocchio selvatico, a cui è dedicata una sagra che si tiene il primo fine settimana di Agosto ed è uno degli appuntamenti gastronomici più rilevanti della Tuscia.

Arrivando a Bassano in Teverina si scorge la Torre dell’Orologio, eretta su base quadrata con lato di 7 metri ed un’altezza di 25.

Venne costruita inglobando al suo interno il campanile dell’adiacente Chiesa S. Maria dei Lumi tra il 1559 e il 1571.

Questa particolarità, speciale nel suo genere trattandosi di unico esemplare al mondo fino ad oggi scoperto, rimase nascosta fino agli anni ‘70 del 1900 dove, nel corso dei lavori di restauro, venne alla luce  la coesistenza delle due strutture.

La Chiesa di Santa Maria dei Lumi è la vecchia sede parrocchiale di Bassano in Teverina ed è posta in corrispondenza della porta d’ingresso del Borgo. Costruita tra il 1100 e il 1200, per via della sua ristrettezza e del progressivo aumento demografico del territorio, cadde in disuso nel 1855, quando venne costruita una nuova parrocchia.

Il piccolo borgo di Bassano in Teverina nasconde anche una particolare manifestazione chiamata Alla corte di Alfonso De Lagnis. Una rievocazione storica rinascimentale, organizzata il secondo weekend di luglio, con passaggio del corteo in abiti d’epoca, dedicata ad Alfonso De Lagnis, personaggio che nel XVI secolo acquistò e governò il borgo di Bassano.

Civita, frazione di Bagnoregio è di una bellezza mozzafiato.

civita di bagnoregio lazio

Il borgo, dove vivono ormai poche famiglie, sta evaporando e si sta smarrendo. Definita  “la città che muore”, in realtà è più viva che mai, circondata dal paesaggio surreale dei calanchi argillosi che assediano il borgo e dai loro colori tetri che contrastano con quelli dorati del tufo, che fanno di Civita un luogo unico, solare e crepuscolare insieme.

Di fronte al Belvedere, collegata al mondo da un unico e stretto ponte di 300 metri, Civita si presenta  appoggiata dolcemente su un cocuzzolo, col suo piccolo agglomerato di case medievali. Addentrandosi nell’abitato, il primo importante monumento che si incontra è la Porta Santa Maria, sormontata da una coppia di leoni che artigliano due teste umane,

Più avanti la via Santa Maria si apre nella piazza principale, dove si può ammirare la romanica chiesa di San Donato rimaneggiata nel XVI secolo, in cui  sono custoditi uno stupendo Crocefisso ligneo quattrocentesco, della scuola di Donatello, e un affresco della scuola del Perugino.

I palazzi rinascimentali dei Colesanti, dei Bocca e degli Alemanni si alternano nelle viuzze con le tipiche case basse con balconcini e scalette esterne dette “profferli”, tipiche dell’architettura viterbese del medioevo.

Da vedere anche la chiesa romanico-gotica dell’Annunziata, affiancata da uno slanciato campanile del 1735 e ricca di opere pittoriche, a cui si aggiunge un notevoli chiostro realizzato nel 1524 su disegno dell’architetto Michele Sammicheli e il pozzo centrale del 1604, opera di Ippolito Scalza.

Ma Civita è anche il paradiso per gli amanti di insaccarti e affettati in genere, con un’ampia offerta di salsiccia, capocolli, pancetta arrotolata con spezie e aromi, porchetta, che si possono trovare nelle macellerie locali dove è garantita la lavorazione artigianale della carne suina.

La piccola frazione di Torre Alfina si nasconde in un paese già caratteristico come Acquapendente e conclude il viaggio tra i borghi laziali.

torre alfina lazio

Proprio nel capoluogo Acquapendente merita una visita la cripta del Santo Sepolcro, all’interno della quale si trova il sacello che riproduce il Santo Sepolcro di Gerusalemme, dove sono custodite le pietre che, secondo tradizione, sarebbero state bagnate dal sangue di Cristo durante la Passione.

Questa costruzione, una delle più importanti cripte romaniche d’Italia, risale alla seconda metà del X secolo, quando Acquapendente, che si trovava sulla via Francigena, era diventata tappa di passaggio per i pellegrini diretti a Roma.

La storia di Torre Alfina, invece, è legata a quella del suo castello. Il borgo, infatti, nasce nell’alto medioevo attorno a una torre d’avvistamento già esistente sul punto più elevato dell’altopiano dell’Alfina. Una torre poi diventata castello,  ma che continua a dominare un borgo sprofondato nel verde che si affaccia sull’Umbria e sulla vicina Toscana.

Un borgo racchiuso nelle nicchie delle cose familiari, arroccato a semicerchio con più file di case intorno al suo castello circondato da un meraviglioso bosco.

A ridosso del castello di Torre Alfina, infatti, si estende per circa 60 ettari il Bosco del Sasseto, annoverato nei parchi monumentali d’Italia e ricco di latifoglie secolari.

Torre Alfina è  compreso nella Riserva Naturale Monte Rufeno, un’area protetta di circa 2900 ettari all’estremo nord della provincia di Viterbo, attraversata dal fiume Paglia e costituita da boschi misti e pinete.

I boschi intorno al borgo hanno permesso anche la proliferazione dei cinghiali che ha portato progressivamente, nella preparazione del ragù, a sostituire la carne della lepre con quella di cinghiale e a  celebrare la  Sagra delle Pappardelle al Cinghiale durante la settimana di ferragosto, una delle più famose sagre dell’Alto Lazio.

Sempre ad agosto ha luogo la Fiera di San Bartolomeo, una vetrina di prodotti tipici, gastronomici e artigianali, in cui venditori e artigiani dal seicento, periodo in cui nacque questa fiera. A luglio, invece, si svolge il Torre Alfina Blues Festival, quattro giorni dedicati alla musica blues, tra eventi culturali e degustazioni gastronomiche nei punti più caratteristici dell’antico abitato.

Alessandro Campa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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