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I borghi più belli d’Italia: Liguria

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Gioielli e piccoli borghi dalle pregevoli caratteristiche

Una splendida lingua di terra affacciata sul mare. La Liguria si mostra svelando i suoi gioielli, alcuni piccoli borghi dalle pregevoli caratteristiche.

Il viaggio inizia nella zona occidentale della regione. A poca distanza da Ventimiglia, infatti, si trova Seborga  un luogo dove riposarsi all’ombra, sotto un albero d’ulivo, o tra le mimose e le ginestre selvatiche che fioriscono sulle colline liguri di Ponente.

Tre sono i monumenti religiosi da vedere a Seborga.

Il primo, all’entrata del paese, è il piccolo oratorio del XIII secolo dedicato a San Bernardo di Chiaravalle, che farebbe pensare anche a una presenza dei Templari, legati al santo.

Salendo verso il borgo, tra stretti vicoli e muri in pietra, si arriva in piazza San Martino, cuore dell’abitato, su cui si affaccia la secentesca chiesa parrocchiale di San Martino, dalla facciata barocca in chiari colori. Sul timpano si nota l’effige del santo patrono, mentre il prospetto centrale è occupato da una vetrata ai cui lati sono rappresentati l’arcangelo Michele e San Giovanni Battista.

A sinistra della chiesa si trova l’antica residenza dei monaci chiamata “il palazzo”, oggi priva dei suoi connotati religiosi perché posseduta da privati. Nel suo interrato sono visibili i resti della zecca secentesca. Imboccando la stradina a destra, si arriva alle prigioni costruite dai monaci per rendere subito esecutive le condanne inferte dal giudice nella piazzetta del Parlamento, distante pochi metri.

Ma a Seborga è degno di nota anche il Museo degli Antichi Strumenti Musicali. Un’ esposizione di 135 pregiati strumenti realizzati tra il 1744 e il 1930, raccolti, conservati e resi funzionanti da un collezionista locale. Il suono di ogni pezzo è riprodotto in sottofondo.

La musica e piatti tipici sono i protagonisti della Notte BiancAzzurra, a fine luglio. Un’occasione per gustare il coniglio alla seborghina, che racchiude i profumi delle erbe aromatiche dell’entroterra, le deliziose note dei vini locali, la bontà delle olive. Accompagnato anche da un trito di fegato di coniglio rosolato, che rappresenta un’altra specialità locale.

Seborga, inoltre, è il borgo dei fiori, in particolare della ginestra nella varietà chiamata seborghina, e della mimosa di specie Gaulois, le cui coltivazioni en plein air sono visibili ovunque.

Perinaldo, paese natale di grandi astronomi, con il suo magnifico e limpido cielo stellato invita a scoprire il suo itinerario astronomico.

 

Questo comprende l’Osservatorio Astronomico Cassini all’interno del palazzo comunale, dotato di una specola con un telescopio newtoniano di 380 mm. e altri telescopi e strumenti per l’osservazione di Sole stelle pianeti e galassie.

Nelle immediate vicinanze dell’Osservatorio si trova il Giardino delle Stelle del Nord, un’area con magnifica vista sulle Alpi Liguri, attrezzata per l’osservazione del cielo ad occhio nudo e con strumenti originali alla portata di tutti.

A questo si aggiunge il Planetario che proietta la volta celeste all’interno di una cupola di quattro metri di diametro ed è un eccellente strumento didattico che insegna a riconoscere ed orientarsi tra le costellazioni.

E poi il Museo Cassini, che documenta la vita e l’attività scientifica ed astronomica del grande astronomo Domenico Cassini, attraverso la sua corrispondenza, le sue osservazioni e le sue opere. L’esposizione “Sole e Tempo”, in aggiunta, è una mostra permanete all’interno del vecchio Municipio dotata di strumenti audiovisivi e modelli tridimensionali.

Perinaldo è anche tradizione gastronomica, cultura e spettacolo. Tra gli eventi da ricordare “Perinaldo Festival – Terre di confine”. A fine luglio una settimana di concerti gratuiti e corsi per studenti di musica presenta una manifestazione tra le più importanti del ponente ligure per qualità artistica e ricchezza dell’offerta culturale.

Ad agosto, invece, hanno luogo “Al Lume delle Stelle”, rassegna di Musica Classica e “Teatro diffuso sotto le stelle” evento teatrale itinerante. Nel mese di maggio, la Rassegna del Carciofo di Perinaldo richiama ogni anno un crescente numero di appassionati e visitatori, con esposizione vendita e degustazione di questa eccellente tipicità, mentre la Grande Castagnata, ad ottobre, si svolge tra distribuzione di castagne e degustazioni di altre specialità tipiche sia dolci che salate.

La bellezza di Apricale si manifesta già nel colpo d’occhio.

 

Arroccato alla ripida collina, con le case scure, sembra un paese del Duecento. Un’impressione che viene confermata una volta entrati nel borgo.

Apricale è unica. Disposta scenograficamente intorno alla piazzetta, ha un’anima a scale, con i vecchi edifici in pietra che si sviluppano in altezza su più piani. Molto particolare il reticolo dei vecchi carruggi in pietra, angusti vicoli lastricati dall’andamento sinuoso e collegati da ripide scalinate.

Alle spalle della piazza sorge l’oratorio di San Bartolomeo, al cui interno si ammira un bel polittico rinascimentale raffigurante la Madonna della Neve, mentre di fronte, la chiesa Parrocchiale, di origine medievale ma quasi interamente rifatta nel XIX secolo.

Domina su tutto, invece, il Castello della Lucertola. Tradizione vuole che sia il simbolo dei Celti-Liguri che qui si erano insediati, chiamati anche “mercanti del Chiardiluna” in quanto commerciavano in sale, ambra e metalli e seppellivano i morti sotto tumuli di pietre.

Al Castello vengono ospitati eventi di grande spessore culturale, come le manifestazioni del “Solstizio d’inverno”, da dicembre a febbraio, o le mostre in collaborazione con la Fondazione Maeght di Saint Paul de Vence, in Francia, in genere dedicate a noti esponenti dell’arte francese o internazionale contemporanea.

Da vedere, ai piedi del borgo, la pieve di Santa Maria degli Angeli, con pregevoli affreschi rinascimentali e barocchi e, appena fuori, la chiesa di Sant’Antonio Abate, del XIII secolo con facciata barocca

I percorsi storici che nei tempi passati collegavano il borgo alle principali località dell’interno e della costa si prestano oggi a piacevoli escursioni nel verde. Per arrivare al tumulo preistorico di Pian del Re conviene raggiungere Perinaldo in macchina e proseguire sulla bella strada che scorre tra castagneti e pinete per 5 km fino alla galleria dei Termini di Baiardo a 950 metri s.l.m. Lasciata qui l’auto, si prosegue a piedi per un km di sterrato, fino al doppio tornante che annuncia la zona preistorica

A come Amore ad Apricale è la denominazione di un romantico itinerario gastronomico-musicale nella settimana di San Valentino, mentre la prima o seconda domenica di settembre viene celebrata la Sagra della Pansarola, il tipico dolce apricalese,

Ma il menu di Apricale può iniziare anche da un antipasto di verdure ripiene (fiori di zucca, torta verde), proseguire con un primo piatto di ravioli (di carne, borragine o bietole) o con i tagliarini al pesto, mentre per i secondi si può scegliere tra cosciotto d’agnello al forno, coniglio con le olive cotto nel vino Rossese e cinghiale con polenta.

Città dell’Olio, Apricale è terra di taggiasca, l’oliva che dà origine a un extravergine di eccezionale qualità. Dai produttori locali si trovano anche pâté d’olive, olive in salamoia, pesto, miele d’acacia e di castagno.

A Triora tutto parla di streghe.

La strega e gli elementi infernali non erano nel borgo, bensì del borgo. Ciò che in origine appariva empietà e sacrilegio si rivelava costume, indole, eredità genetica, natura. Il vecchio borgo, per quanto deserto e segnato dalla distruzione bellica, conserva intatto il suo fascino. Molti sono i luoghi che sprigionano un senso di mistero tra le viuzze e le piazzuole

Un’ atmosfera che si riesce a respirare percorrendo, in silenzio, la zona dei casolari, nei pressi della Cabotina. O ancora, se con un ultimo sforzo, si raggiunge il sovrastante Carmo delle Forche, dove convengono in processione i neri incappucciati la seconda domenica dopo Pasqua, ci si rende conto della grande fede popolare.

Una grande testimonianza di questa sensazione è presentata dal Museo regionale etnografico e della stregoneria. Vi sono conservati oggetti legati alle antiche usanze agropastorali e non mancano statuette lignee ed in ceramica, giocattoli, vestiti, una preziosa fisarmonica, l’antico orologio campanario, mentre nelle antiche carceri ha trovato posto una sezione dedicata alla stregoneria, con documenti, libri e la ricostruzione di ambienti

Passeggiare per il borgo, inoltrandosi tra archi scavati nella roccia e antri scuri di case diroccate, è come tornare indietro nel tempo. Grande meraviglia si prova osservando i portali, da quello gotico della collegiata a quelli ardesiaci delle dimore nobiliari, con i simboli delle casate.

Tra le emergenze architettoniche si presentano la collegiata con il campanile tardo-gotico e con i suoi numerosi tesori, fra cui il Battesimo di Cristo del senese Taddeo di Bartolo, e il vicino oratorio di San Giovanni Battista, già destinato a Museo Diocesano, una vera e propria pinacoteca con quadri di diverse epoche e differenti artisti.

Triora è immersa in uno scenario incantevole, che sprigiona una forza arcana. Nell’alta valle Argentina l’aria è particolarmente inebriante, il silenzio profondo, e qualcuno ancora pensa che aleggino su questo paesaggio gli spiriti degli antichi Druidi che hanno celebrato riti in questi boschi.

Volendo andare alla ricerca di scenari agresti e montani, si può fare il giro delle frazioni di Triora, come Creppo, Cetta, Realdo e Verdeggia, oppure salire alla pineta di Monte Trono, prendere la strada panoramica che conduce a Monesi e raggiungere incantevoli punti panoramici sulle Alpi Liguri.

Fra i piatti tipici di Triora spiccano le torte di verdure e patate, chiamate semplicemente paste, Squisite le patate in-t-a föglia, tagliate a fette e cotte in una teglia. Altri piatti sono le lasagne con le rape, gli gnocchi, i bügaéli (grumi di farina di castagne cotti nel latte), ed i sügeli, questi ultimi di origine brigasca ma recentemente introdotti nella cucina locale.

Ma il principale prodotto del borgo è il pane, nella sua caratteristica forma rotonda. Molto apprezzati i formaggi d’alpeggio e il bruzzu, ottenuto dalla fermentazione naturale della ricotta: dal sapore leggermente piccante, è un ottimo condimento per la pasta e si sposa molto bene con il pane ed il pomodoro fresco.

Il borgo medievale di Taggia si trova a tre km dal mare, all’ingresso della Valle Argentina.

Un luogo in cui si viene accolti dal monumentale Ponte Antico, con 15 arcate e una lunghezza di 275 metri. Costruito nel XIII secolo sulla riva sinistra del fiume, il ponte è stato prolungato fino al XVII-XVIII secolo.

L’antica fortezza difensiva del XII secolo, poi riedificata nel 1560-64, è stata recuperata a teatro all’aperto e d il vecchio castello regala oggi un panorama straordinario sull’intero borgo, mentre un vero e proprio scrigno di tesori d’arte e di fede è il Convento dei Padri Domenicani, che conserva polittici e affreschi, tra cui L’Adorazione dei Magi attribuita a Parmigianino

La Chiesa Nostra Signora del Canneto venne fondata nell’alto medioevo, frutto di diversi rimaneggiamenti. Unica superstite dei due edifici sacri del sito, la chiesa affascina con la sua splendida torre romanica. Infine, la Grotta dell’Arma/Santuario dell’Annunziata caratterizza il panorama di Arma, preservando al loro interno sia un giacimento preistorico risalente all’Uomo di Neanderthal sia il patrimonio di fede della chiesa rupestre.

La regina della produzione gastronomica locale è l’olivo taggiasca, piantata su larga scala. L’olio che si produce, giallo intenso, con tendenza al verde, sapore fruttato e leggermente piccante, è di ottima qualità ed è anche alla base di altri due piatti tipici della zona: i canestrelli, taralli salati con olive o olio di oliva e la figassa, una focaccia condita con pomodoro, acciughe, olive e aglio.

Lingueglietta, frazione di Cipressa se ne sta distesa come una lucertola al sole sul crinale che sovrasta la valle del San Lorenzo con la sua chiesa-fortezza che è un esemplare unico in tutta la Liguria.

Lingueglietta si presenta con i caratteristici carruggi recentemente rinnovati e pavimentati, collegati da rampe e passaggi coperti da volte e archi di chiara impronta medievale. Le case, dislocate a strapiombo sulla valle, sono strette l’una all’altra a formare una cortina di difesa naturale, che qui sostituisce la cinta muraria.

Il paese antico si è sviluppato intorno al castello e alla chiesa medievale. Intitolata alla Natività di Maria Vergine, la chiesa mostra in facciata i segni dei successivi rifacimenti. Il nucleo centrale in pietra risale al XIII secolo, mentre il portico antistante e il portale di marmo sono invece del Seicento. L’interno a tre navate è interessante per l’intrecciarsi degli stili più diversi e conserva, nascosti da successivi ritocchi, antichi affreschi.

Scendendo lungo via Marconi, si aprono panorami sulla sottostante valle del San Lorenzo e sul mare. Giunti alla fine, alzando lo sguardo si intravede l’abside della tardo-romanica Chiesa di San Pietro, che un pregevole restauro riconsegna alla popolazione di Lingueglietta.

Trasformata nel Cinquecento in fortezza, la chiesa è uno dei rarissimi esempi di questo genere rimasti in Liguria. Nella chiesa-fortezza si fondono l’architettura religiosa medievale e l’architettura militare di epoca rinascimentale in un insieme di grande bellezza.

La riqualificazione del vecchio tracciato della ferrovia ha dato vita a 24 km di pista ciclabile e passeggiata pedonale a picco sul mare. Nei cinque km che corrono sul territorio di Cipressa si possono ammirare scorci che prima erano nascosti dalla linea ferroviaria andando a piedi, in bici, oppure praticando jogging e nordic walking.

A Lingueglietta non c’è un piatto solo che caratterizza la sua cucina, ma un composito menu che va dal piatto più povero, i friscioi, che si cucinava con gli avanzi di minestre e verdure bollite, alla farinata, servita calda con foglie di cipollotto e su letto di carciofi nostrani. Gli amanti della carne possono scegliere tra il coniglio, allevato nelle stalle lungo i carruggi, e il cinghiale cacciato nella boscaglia, mentre il finale tocco dolce è dato dalla “fugassa”, ricoperta di zucchero e dai biscotti alla lavanda.

Sulle colline e nei terrazzamenti che circondano Diano Castello il vitigno da cui si ricava la Doc Vermentino Riviera Ligure di Ponente ha trovato il suo ambiente più adatto, grazie al clima temperato e al terreno tufaceo.

Per questo nella culla del Vermentino il Comune ligure ha istituito nel 1994 il Premio Vermentino, ora abbinato alla manifestazione Borgo Sapore. L’evento, oltre a degustazioni di vino, di olio extravergine e di altre eccellenze agroalimentari del territorio organizzate nei vari stand, prevede numerosi spettacoli di intrattenimento.

Ogni martedì di luglio e agosto le vie del centro storico del borgo si vestono delle luci e dei colori dei migliori prodotti dell’artigianato locale e non solo grazie proprio al Mercatino dell’Artigianato, mentre la Cavalcata dell’Assunta è la rievocazione storica più antica d’Italia.

Il documento più importante che testimonia l’evento della Cavalcata è il Missale De Firmonibus, pagina miniata del 1436 eseguita da Giovanni di maestro Ugolino da Milano che ripropone dettagliatamente il corteo storico.

La mattina del 15 Agosto era prevista la Corsa del Palio, che oggi invece si svolge di pomeriggio e che è motivo di contesa delle 10 contrade, tra cui figura Torre di Palme. Durante il periodo della Cavalcata pertanto il Borgo di Torre di Palme fa da sfondo a sfilate del corteo storico, alle cene di Contrada o alla cerimonia della Lettura del bando.

Ma Diano Castello presenta anche due importanti edifici di culto. Il primo è l’oratorio di San Giovanni Battista, che conserva all’interno una copertura a capriata lignea, con travi e mensole finemente decorate del Quattrocento, restaurata nell’Ottocento.

Al complesso architettonico costituito dalla chiesa di Santa Maria degli Angeli e dal convento dei Frati Francescani, invece, si arriva dopo aver percorso un viale acciottolato, ombreggiato da due file di cipressi. Le mura del convento, risalente al Cinquecento, racchiudono un chiostro con al centro un pozzo.

Le origini di Cervo sono mitiche e affascinanti.

 

Tutto a Cervo viene dal mare e in un borgo così molte case alzano dai loro terrazzi trinchetti e pennoni nell’ansia di correre incontro al mare.

La visita inizia dalla salita al castello, con la Porta Marina della Montà. Salendo, si incontra palazzo Morchio, ora municipio, appartenuto a Tommaso Morchio, ammiraglio comandante di dieci galee genovesi, che nel 1371 conquistò dalla Repubblica l’isola di Malta e la città di Mazara in Sicilia.

Giunti al piano, nella piazza si apre la maestosa e barocca chiesa di San Giovanni Battista, detta “dei Corallini” perché edificata con i proventi delle compagnie di pescatori che esercitavano la pesca del corallo nei mari di Corsica e Sardegna.

Sul sagrato della chiesa dei Corallini, nelle serate tra luglio e agosto, si svolge il Festival Internazionale di Musica da Camera. Otto concerti di alto livello artistico in una splendida cornice: quando il sole tramonta e la chiesa si illumina di fasci di luce rosata, il pubblico, raccolto sui gradini della scalinata d’ingresso alla chiesa, fa da corona al podio e vive momenti di intensa emozione.

Ci si trova in breve in piazza Santa Caterina e davanti al castello che nel XII secolo i marchesi di Clavesana edificarono come propria dimora dotandola di tre torrioni a pianta circolare. Nel XVII secolo l’edificio fu sventrato e diviso in due parti: la superiore a volta unica conserva un affresco raffigurante Santa Caterina, l’inferiore, ridotta, ha ospitato l’ospedale e oggi è sede del Museo Etnografico.

Arrivati al punto pianeggiante della strada, che si chiama Romana perché di qui passava la via Aurelia, si giunge in breve all’oratorio di Santa Caterina, edificato in pietra a vista intorno al XII-XIII secolo e classico esempio di struttura romanica in origine a croce latina.

Molti sono i palazzi padronali che testimoniano la passata agiatezza della popolazione e inducono a vagabondare nei carrugi con gli occhi in su: quelli della Meridiana, della Merla e i settecenteschi palazzi Viale, De Simoni e Arimondo.

Ma è soprattutto il borgo nel suo insieme ad emozionare: i giochi d’ombra tra i vicoli stretti, i saliscendi mozzafiato, gli accordi di pini e ulivi sullo sfondo, lo scoglio accarezzato dal mare trasparente.

L’escursione più breve è quella che porta al parco del Ciapà: partendo da piazza castello e seguendo una mulattiera tra la macchia mediterranea e gli ulivi, si raggiunge i Ciapà, una vasta pineta, ideale per una sosta sotto il fresco dei pini, raggiungibile in un quarto d’ora di cammino.

Un altro itinerario conduce, tra boschi di pini, querce, ulivi e carrubi secolari, alla frazione di Chiappa, a ridosso della collina. Oltrepassato il borgo, si giunge alle poche case di Rocca con la cappella di Santa Lucia e quindi, attraverso una mulattiera, al colle Mea da cui si ammira un meraviglioso panorama: il mare di fronte e, nelle belle giornate, il profilo della Corsica.

Proprio il mare fornisce squisiti pesci e crostacei, mentre il prodotto del borgo è sicuramente l’olio extravergine di oliva con i suoi derivati: olive taggiasca in salamoia, paté di olive. Gli ulivi sono quelli delle colline alle spalle del borgo. Da un vitigno importato da Candia si ricava poi il vino bianco Vermentino.

Entrando nella zona di Savona e proseguendo sul mare si scopre Laigueglia  

La prima percezione è quella della spiaggia che invade lo spazio urbano, come un monito a ricordare che questo era un borgo di pescatori, che sulla pesca, tradizionale o del corallo, ha fondato la sua fortuna.

Con i suoi carruggi, le piazzette a mare, i toni rosa-lilla delle case all’ombra protettrice della monumentale chiesa di San Matteo, Laigueglia conserva il fascino di vecchio borgo marinaro che la maggior parte dei comuni liguri rivieraschi ha perduto.

Dalla spiaggia che d’inverno si riempie di barche variopinte e di reti, e ancor più dal molo in via di riqualificazione, si nota la particolare forma quasi ad anfiteatro dell’abitato, che è l’unico a non aver alterato la sagoma degli edifici, mantenendone i volumi e le altezze.

Laigueglia non è ricca di grandi opere d’arte, oltre la parrocchiale, ma invita a cercare le espressioni, anche minori, della creatività locale, tutta incentrata sul rapporto col mare. Da qualsiasi parte si indirizzi lo sguardo, non si può sfuggire ai due campanili, sormontati da cupole in maiolica colorata, della chiesa di San Matteo.

La parrocchiale è il monumento barocco che più rispecchia la storia del paese: la posa della prima pietra della nuova chiesa si ebbe nel 1715, quando la pesca corallina era al culmine e la popolazione poteva permettersi di ampliare il vecchio oratorio dedicato a San Matteo.

Accanto alla parrocchiale è da visitare l’oratorio di Santa Maria Maddalena, che apparteneva alla congregazione dei Disciplinanti. Conserva ancora gli originali panconi secenteschi, e la grande pala d’altare di Domenico Piola dedicata alla Maddalena penitente.

Laigueglia è un comune piccolo, ma è ugualmente possibile apprezzare, oltre al mare, l’entroterra. Alle spalle del borgo, della via Aurelia e della ferrovia, incombe la collina con i suoi ulivi e la vegetazione marittima.

A chi ama la natura, si consiglia di salire, a piedi o in mountain bike, al piccolo borgo di Colla Micheri, nel comune di Andora, in direzione della Val Merula. Oppure di farsi portare in barca all’isola Gallinara, uno scoglio nel mare azzurro.

A Laigueglia, dal venerdì alla domenica più vicina al 21 settembre si svolge la Fiera di San Matteo. Un tradizionale appuntamento con il mercato dei prodotti artigianali e gastronomici, che coincide con la processione per le vie del borgo della statua del patrono.

Oltre a questo si possono anche gustare le sarde ripiene, specialità tipica, o i “baci di Laigueglia” un dolce di mandorle, nocciole e crema di cioccolato e i “gobeletti”, un altro dolce, ma di pasta frolla e marmellata.

Entrando nell’entroterra ligure si visita Zuccarello che si snoda su un’unica via fiancheggiata, da entrambi i lati, da portici che presentano arcate e pilastri dalle forme più diverse.

Parallelamente all’asse principale e all’interno del borgo si aprono i carruggi con il loro pittoresco andamento. Lateralmente alle porte d’ingresso, spiccano le due torri, mentre sono affascinanti l’adiacente Porta di Ponte di Neva, la Porta del Molino e l’elegante struttura del palazzo Marchionale, che racchiude al suo interno un notevole ciclo di affreschi.

E ancora, meritano una sosta la parrocchiale intitolata a San Bartolomeo, l’oratorio di Santa Maria Nascente, dove si apprezza un Cristo ligneo del Quattrocento e il Teatro Comunale Attilio Quinzio Delfino, situato nella struttura di un’antica chiesa sconsacrata e già sede del torchio comunale, del corpo filarmonico e della compagnia filodrammatica.

Di notevole interesse sono anche i beudi, lunghi canali che servivano per alimentare frantoi e mulini e per portare l’acqua nel borgo. Poco fuori dal borgo in direzione sud, è possibile apprezzare gli affreschi tardo medioevali della cappella di Sant’Antonio e la chiesa della Madonna della Neve nei pressi del cimitero.

La visita a Zuccarello può proseguire imboccando la via del Roso, dal nome di un podere appartenuto ai Del Carretto già nel XV secolo, che dal borgo conduce a Castelvecchio. Si arriva quindi alle rovine del castello, già esistente prima della fondazione del borgo sottostante e databile tra il 1200 e il 1248.

Legata al periodo pasquale, come dice il nome, ma buona tutto l’anno è la torta Pasqualina. Una torta salata ripiena di erbe, ricotta e uova, racchiusa in pasta sfoglia. Le sue origini sono molto antiche, infatti veniva preparata già nel XV secolo. Esiste anche una versione con i carciofi ma quella “doc” vuole solo le bietole: la sfoglia, anzi, dovrebbe essere composta da 33 fogli di pasta come gli anni di Gesù.

Nel Ponente ligure si trova un posto davvero unico come Colletta, frazione di Castelbianco, un luogo dove il medioevo e internet si incontrano.

Un tempo, per restare connessi all’esistenza, bisognava andare nell’agorà, nel foro, in piazza, al caffè, abitudini che recavano il senso della comunità.

Oggi, dove tante solitudini mischiate non fanno una piazza, ci si può sfilare dall’obbligo di condividere con altri gli spazi urbani e lavorativi sempre più caotici e impegnativi. Si può scegliere l’agorà elettronica, ritirarsi nell’eremo telematico di Colletta.

E in un attimo, disconnettersi da tutto e ritrovarsi realmente a camminare tra case di pietra antica, a respirare l’aria del bosco o a prendere il sole in terrazza, pensando in pace alla prossima mossa. Colletta di Castelbianco era solo un pittoresco cumulo di rovine quando a qualcuno venne l’idea di salvarlo dalla distruzione completa facendolo diventare il primo esempio europeo di villaggio medievale telematico.

Affidato per la ristrutturazione alle cure di un celebre architetto, Giancarlo De Carlo, oggi si presenta come un ponte tra passato e futuro, con le sue case in pietra che dominano la collina, i carruggi, le piazzette, le finestre incorniciate di bianco secondo la tradizione dell’entroterra savonese, e tutto l’equipaggiamento telematico che consente il telelavoro o comunque la connettività con il resto del mondo.

Al di là dell’esito finale del progetto telematico, Colletta non è più un ammasso di ruderi e dalle sue finestre si guarda ancora sulle fasce coltivate a ulivi e ciliegi della valle. Ma c’è anche il tempo di vagabondare per i dintorni del borgo cablato, alla ricerca dei sapori e dei profumi del territorio.

Passeggiate ecologiche a piedi o a cavallo, ma anche impegnativi trekking che hanno come meta il Monte Alpe a 1056 metri o l’Alta via dei monti liguri. Per i più determinati non manca la possibilità di praticare sport più tecnici come mountain-bike, speleologia nelle grotte carsiche, free climbing su palestre di roccia costituite da falesie e torrioni calcarei.

Castelbianco partecipa alla vocazione agricola della vicina piana di Albenga: non solo prodotti del bosco e del sottobosco come castagne e funghi, ma anche ortaggi, erbe aromatiche, olive e frutta, soprattutto fichi e ciliegie.

La ciliegia è da sempre apprezzata sui mercati ortofrutticoli della Riviera di Ponente, ma non va dimenticato lo squisito olio extra vergine prodotto da olive taggiasche, merline, pignole e cevasche, macinate a freddo non appena raccolte. Tra i piatti del borgo, invece, se ne possono indicare tre assolutamente speciali: la fonduta di tartufi neri di Castelbianco, i ravioli di borragine «au tuccu» e il coniglio alla castelbianchese.

Con il suo nome da fiaba, Castelvecchio di Rocca Barbena si presenta come un fiore di pietra sbocciato in cima ad un dolce pendio della Val Neva.

 

Castelvecchio è il primo e il più bello dei borghi murati della Val Neva, avvolto a cerchio intorno al castello che lo domina. Il castello fu costruito dai Clavesana nel XI secolo, quando ancora il luogo si identificava con una delle principali “vie del sale”, in grado di mettere in comunicazione la pianura piemontese con la Liguria di ponente attraverso lo scambio di olio, vino, grano, legname.

Il castello rispecchia il carattere di questa fiera nobiltà di montagna che ha saputo resistere a vicini ben più potenti come i Savoia e la Repubblica di Genova. Ad esso si accede inerpicandosi per le strette e tortuose viuzze che si diramano dal carruggio principale.

Il borgo si caratterizza per le antiche case in pietra, per i portali in tufo, i tetti a terrazza e i vîsà, sottotetti ad arco in cui si essiccavano fichi e funghi, e per le cornici bianche alle finestre, che richiamano motivi dell’area alpino-provenzale.

La chiesa dell’Assunta, pur avendo subito rifacimenti in periodo barocco, mantiene il campanile con cuspide dell’edificio originario. Dalla strada che conduce al cimitero si può raggiungere il poggio su cui è edificato il santuario della Madonna delle Grazie risalente al XVII secolo. Da qui è molto bella la vista sul borgo e sul paesaggio, dominato dalle fasce coltivate vicino alle case. Sparse sul territorio comunale si trovano vecchie cascine, un tempo possedimenti del marchese e oggi mute testimoni delle fatiche contadine.

Dal centro abitato si distendono sentieri e mulattiere che in breve conducono a boschi di castagni e a folti uliveti, consentendo di passare dalla macchia mediterranea ai 1000 metri di altitudine, dove verdi pascoli fanno corona a splendide faggete. Di interesse naturalistico sono le rocce selvagge della Rocca Barbena, mentre oltre il valico si possono osservare le sorgenti del Bormida.

Castelvecchio si trova sulla Strada del Vino e dell’Olio dalle Alpi al Mare. Pertanto, l’olio extra vergine di “primo roggio”, risultato della spremitura a freddo delle olive, effettuata spesso con pesanti macine in pietra, è il prodotto principale dell’entroterra ligure, che accompagna e risalta il sapore di alcuni piatti tipici tra cui i raviolini di borraggine, il coniglio allo steccadò e le frittelle di mele.

Oltre naturalmente al vino, che qui può assumere le inebrianti sfumature del Pigato, il delicato profumo del Vermentino, o ancora il sentore di mora e ciliegia dell’Ormeasco, esclusivo della valle Arroscia.

Ritornando sulla costa si incontra Verezzi, frazione di Borgio Verezzi, un teatro naturale, immerso nei caldi colori di Liguria e nei profumi della macchia mediterranea.

Un borgo che si presenta come un armonioso insieme di quattro diverse borgate (Poggio, Piazza, Roccaro, Crosa), caratterizzate da costruzioni in pietra rosa incastonate in un panorama di roccia e di mare, e collegate da stretti carruggi, mulattiere e stradine: le crêuze, un tempo destinate ai muli e ai carri.

Questa architettura mediterranea è di chiara influenza arabo-islamica, anche se forse rimane una leggenda la fondazione di Verezzi da parte di pirati saraceni che, innamorati di questi luoghi, avrebbero abbandonato le loro scorrerie per ritirarsi a vivere sulla terraferma.

Le quattro borgate si distinguono soprattutto per i loro tetti, a terrazza o a volta poco marcata. La struttura urbanistica è certamente medievale e nella pietra rimane ancora oggi il segno di una fatica vecchia di secoli, che si ritrova nei terrazzamenti per sfruttare la terra con colture a uliveto, a vigna e orti.

Proprio qui, sulle crêuza de mä (sentieri di mare), cantate da Fabrizio De Andrè, che si svela l’anima più vera della Liguria sopravvissuta alle speculazioni edilizie. Oggi è bello oggi passeggiare tra le borgate di Verezzi percorrendo le varie crêuze di collegamento. A Roccaro c’è da vedere la cappella settecentesca della Madonna Immacolata con altare e decorazioni di tipo barocco, unico edificio verezzino ad avere la copertura in ardesia.

L’abitato di Poggio si sviluppa intorno alla torre secondo due linee ortogonali fra loro, e quello di Crosa è il più antico e il più interessante: sembra scolpito direttamente nella pietra e qui si possono trovare un sistema di grotte scavate nella collina e già abitate nel Paleolitico, nonché gli edifici religiosi di maggior rilievo.

Sopra la borgata, nei pressi del Mulino Fenicio, su di uno sperone di roccia visibile da ogni parte di Verezzi si erge la Croce dei Santi alta 3,50 metri. Collocata nel 1664 da alcuni frati Cappuccini di ritorno dalla Terra Santa, è oggi meta di pellegrinaggi religiosi legati alle apparizioni mariane.

Ma è Piazza la borgata più nota. Perché qui, in questa meravigliosa finestra sul mare che è piazza Sant’Agostino, con la sua chiesetta del XVII secolo è nato il Festival Teatrale di Borgio Verezzi. Ancora oggi, dal lontano 1967, nelle notti d’estate la piazzetta rappresenta lo splendido scenario naturale in cui si muovono gli attori, sotto il cielo stellato ritagliato dai tetti delle antiche costruzioni.

A Verezzi, il piatto locale per eccellenza sono le lumache alla verezzina, ossia in umido, preparate con una lunga procedura che garantisce il massimo sapore e a cui viene dedicata una festa gastronomica nata nel 1966 che si svolge ogni 13 e 14 agosto. E poi, oltre al cappero, la cui coltura è in progressivo sviluppo, gli agricoltori verezzini coltivano la vite, producendo vini locali quali la Lumassina, il Nostralino Veretium e il più raro Barbarossa.

L’aria di Liguria che si respira a Finalborgo, rione di Finale Ligure è una brezza marina dal profumo di rosmarino e di timo.

Un vecchio, quieto borgo, questo di Finale, che ancora conserva, nei bei palazzi, un po’ dell’ambizione dei dominatori spagnoli.

Chiuso tra mura medievali ancora ben conservate, intervallate da torri semicircolari e interrotte solo in corrispondenza delle porte, il Borgo di Finale, così chiamato per distinguerlo dalla Marina, offre subito una sensazione di protezione e raccoglimento.

Percorsi gli stretti vicoli, ogni piazza è una conquista e una sorpresa, in grado di esibire meraviglie nella “pietra del Finale”, l’ardesia che adorna portoni, si modella in colonne, diamanti, ornamenti. Se i grandi monumenti esprimono la forza e la vanità del borgo, i negozi e le botteghe artigiane ne rappresentano la vivacità.

Questo è, infatti, un luogo vivo, abitato, dove le piazze moltiplicano i momenti d’aggregazione e le attività commerciali si integrano armoniosamente nel tessuto urbano. Il borgo è impreziosito dai palazzi quattrocenteschi e di epoca rinascimentale, modificati nel periodo della dominazione spagnola.

Il Palazzo del Municipio, in origine della famiglia Ricci, è uno dei migliori esempi di architettura del primo Rinascimento in Liguria, come annuncia lo splendido portale. Palazzo Cavassola e Palazzo Gallesio, invece, illustrano alla perfezione le concezioni decorative della Finale del Seicento.

Palazzo Brunengo, in piazza Aycardi, si contraddistingue per la bella loggia a doppia arcata e il grande stemma familiare, ormai poco visibile e annuncia già nella facciata le complesse trasformazioni subite in varie epoche.

Il monumento più importante di Borgo è la Basilica di San Biagio, sontuoso esempio di architettura barocca realizzato nel XVII secolo sulla precedente chiesa medioevale, di cui conserva l’abside e l’ardito campanile tardo gotico a forma ottagonale.

Le origini della Chiesa di Santa Caterina e del complesso domenicano di Finalborgo si collocano intorno al 1360, dopo la morte del marchese Giorgio I Del Carretto, quando la vedova sentì la necessità di una chiesa gentilizia destinata ad accogliere le spoglie mortali dei membri della famiglia marchionale.

Di questa terra si dice: quattro borghi, un solo cuore. Oltre a Finalborgo, il comune comprende infatti Finalmarina, Finalpia e Varigotti. La marina è dominata da un castello, ha uno splendido viale di palme e un centro dove fanno sfoggio gli opulenti palazzi della dominazione spagnola, ricchi di ornamenti, stemmi, portali d’ardesia.

Finalpia conserva le sue radici rurali, con le case del ‘500 strette intorno all’abbazia benedettina di Santa Maria di Pia, mentre Varigotti è un tipico borgo marinaro con le case sulla spiaggia: un’immagine da cartolina della Liguria. Dal belvedere di Capo Varigotti si ammira la Baia dei Saraceni, mentre a monte parte un sentiero tra i pini marittimi che porta alla chiesetta medievale di San Lorenzo, a strapiombo sul mare.

Finalborgo, con il complesso monumentale di Santa Caterina, dispone di uno spazio di grande pregio per l’organizzazione di eventi e congressi. Tra questi figurano Percorsi Sonori, stagione sinfonica che abbraccia gran parte dell’anno e che ospita, per tradizione, il concerto inaugurale del Festival Internazionale di Clusone Jazz.

E poi Salone Agroalimentare, a marzo, con tre giorni dedicati alle produzioni agroalimentari liguri con degustazioni, laboratori, convegni, corsi di cucina. Una giusta occasione per assaggiare i ravioli di borragine, quadratini di pasta lavorata a mano, con un ripieno di erbe naturali del Finalese e la testa in cassetta, un insaccato apprezzato dai gourmet per il suo gusto particolare e prodotto artigianalmente dalle macellerie locali.

Noli con la sua tranquilla baia riparata dai venti che termina con il promontorio di Capo Noli, è uno dei più interessanti centri storici del Ponente ligure.

 

Porta di Piazza è l’ingresso principale posto sulla seconda cinta muraria, mentre accanto si erge, con la sua merlatura a coda di rondine, la torre del Comune risalente al XIII secolo, posta su un basamento in pietra verde locale.

Dal municipio, si passa sotto i due grandi archi della Loggia della Repubblica, da dove, percorrendo a levante una passeggiata coperta, si arriva in piazza Dante. Qui sorge la torre della Marina che nel 1673 fu donata dai nolesi ad Agostino Viale, inviato del doge, per aver impedito al duca di Savoia di impadronirsi del borgo.

Via Transylvania termina con la torre di Papone , posta appena fuori della prima cinta muraria e collegata al camminamento delle mura che scendono dal castello. Qui vi teneva armi e munizioni la Repubblica, che con la ferrata Porta Papona chiudeva l’accesso al Monte Ursino, il cui castello era l’estremo rifugio della popolazione in caso di attacco nemico.

Scendendo da via Vescovado per piazza Chiappella, si arriva all’oratorio di Sant’Anna, costruzione del 1771 con la facciata incompiuta, dal cui sagrato si ha una bella veduta d’insieme del castello e delle mura.

Varcata la Porta verso la città, si scorgono tutti e quattro gli angoli della torre del Canto, così chiamata perché posta all’angolo di più strade. Giunti in piazza, ci si trova di fronte la chiesa di San Pietro, cattedrale dal 1572, costruita su base romanica in blocchi di pietra grigia, ma rifatta in epoca barocca.

Alle spalle della costa nolese, una serie di contrafforti rocciosi dà luogo all’altopiano delle Mànie, un paesaggio affascinante e selvaggio che invita a rilassanti passeggiate e alla sosta all’ombra dei lecci. Qui, col mare sempre in vista, si può andare alla ricerca delle grotte abitate dai liguri primitivi e dei ponti in pietra dei romani, tra i profumi del mirto e dell’erica

Le acciughe salate erano l’oro di Noli. Oggi il cicciarello (lüssu in dialetto) è il pescetto simbolo del borgo, che si mangia fritto e a cui è dedicata una sagra la prima o la seconda domenica di giugno. Un altro piatto monumento è il cappon magro che ha origine povera e antica nelle località in cui funzionavano le tonnare.

Detto anche “il piatto dei dogi”, è costruito a strati: un pezzo di terra (verdure) e un pezzo di mare (pesce). Dunque il pesce cappone, cioè la gallinella di mare, è montato su una piramide che inizia dalla galletta dei marinai, un pane biscottato conservabile per lungo tempo, e prosegue con pesce lessato e verdure.

Rientrando nell’entroterra della regione si scopre Millesimo ultimo borgo della provincia di Savona.

Qui bisogna concentrarsi sul centro storico, la cui caratteristica forma triangolare, avente come vertice il castello e come base il palazzo dei Del Carretto, è ben visibile dall’alto.

La visita può cominciare con il simbolo di questo borgo ligure, il Ponte della Gaietta, o “ponte vecchio”, uno dei pochi esempi in Italia di ponte fortificato. Il corpo originario risale al XII secolo e si trova citato nell’atto di fondazione del borgo.

Poco distante dal ponte si trova la casa presso la quale il marchese Enrico II del Carretto firmò nel 1206 l’atto di fondazione del borgo. Il castello, edificato da Enrico II a difesa dell’abitato, con i castelli di Cengio, Cosseria e Roccavignale costituiva un quadrilatero a protezione della via tra Piemonte e Liguria attraverso le Langhe.

Villa Scarzella, circondata da un magnifico giardino ai piedi del castello, fu edificata nel 1855 da Giuseppe Scarzella che quattro anni prima aveva acquistato i ruderi del castello e il relativo lotto di terreno per costruirvi una residenza estiva.

Di proprietà dei monaci di Sant’Antonio Abate, invece, la chiesa parrocchiale era uno dei tre monasteri esistenti a Millesimo. All’interno si trovano opere pregevoli, tra cui l’acquasantiera in marmo bianco del 1484, l’altare maggiore e la statua della Madonna del Carmine, che viene portata in processione alla festa patronale il 16 luglio.

Il Monastero di Santo Stefano fu acquistato dal marchese Enrico II del Carretto e donato nel 1216 alle monache dell’ordine cistercense di Santa Maria de Betton (in Savoia). Accanto all’originale chiesa romanica, trasformata nel ’600 in forme barocche, nel XV secolo fu aggiunto il chiostro con eleganti capitelli in pietra arenaria.

Nelle immediate vicinanze del borgo, in una zona boschiva ricca di castagni, noccioli e betulle è stata istituita l’Area Protetta del Bric Tana e Valle dei Tre Re, estesa per circa 170 ettari e luogo ideale per passeggiate a piedi, a cavallo, in mountain bike o per andare in cerca di funghi, tra cui il prelibato porcino.

Città del tartufo, Millesimo e le colline della zona sono terre di caccia degli esperti tartufai, organizzati in associazione. Il pregiato tubero, sia nero che bianco, è protagonista in settembre della Festa nazionale del Tartufo. Un’occasione in cui il borgo è avvolto dal profumo soave sprigionato dal magico fungo sotterraneo.

La gastronomia locale è naturalmente ispirata dal tartufo, ma non solo. Altre prelibatezze sono la tira, pasta di pane farcita di salsiccia e cotta in forno, e i fazzini, pasta da pizza con sugo di pomodoro, basilico e aglio.

Per abbracciare con lo sguardo e, soprattutto con il cuore, il borgo di Campo Ligure occorre salire sulla torre principale del castello.

Da lassù, ogni cosa appare chiara e al suo posto, preziosa come un lavoro di oreficeria.

Sul borgo antico di Campo Ligure, infatti, spicca il castello, restaurato e utilizzato per concerti e iniziative culturali. La sua struttura muraria esterna potrebbe risalire al XII-XIII secolo, mentre la torre è di epoca più recente.

Entrando nel centro storico dalla via principale, a sinistra si incontra l’oratorio dei Santi Sebastiano e Rocco, costruito nel 1647 in stile barocco. Tra le pitture conservate al suo interno, spicca il Martirio di San Sebastiano della scuola di Domenico Piola. Durante il periodo natalizio l’oratorio ospita un interessante presepe meccanizzato.

Sulla piazza dedicata ai Martiri della Benedicta, posta tra la piazza principale e il castello, si nota l’oratorio di Nostra Signora Assunta, citato per la prima volta in un documento del 1585, mentre sulla piazza principale del centro storico si affacciano la chiesa della Natività di Maria Vergine e palazzo Spinola, che si presenta con un’elegante facciata affrescata

Il ponte medievale che scavalca il torrente Stura fu realizzato nel IX secolo e articolato in quattro campate. Proseguendo oltre il ponte e il Municipio, nella zona del cimitero, si trova l’ex chiesa di San Michele Arcangelo, risalente al 241. Il destino della chiesa, sorta sulle rive dello Stura, è legato agli umori del torrente: numerose alluvioni costrinsero a continui rifacimenti fino al XX secolo.

Campo Ligure vive circondata da una natura rigogliosa e pressoché intatta, come risulta dall’inserimento del territorio comunale nel Geoparco europeo del Beigua, una delle aree più protette della Liguria.

Gli escursionisti possono scegliere uno dei numerosi sentieri del parco, oppure visitare il Giardino Botanico montano di Pratorondanino, che si trova nel cuore dell’Appennino genovese al confine con il Parco Regionale delle Capanne di Marcarolo, a 750 metri di altitudine.

Campo Ligure, inoltre, è uno dei principali centri europei per la produzione della filigrana. Le migliori realizzazioni provenienti da ogni parte del mondo sono esposte nel Museo della Filigrana con circa duecento pezzi ricercati e raccolti attraverso i Paesi di quattro continenti. Ogni pezzo racchiude in sé le tradizioni, i costumi, la religione, l’economia del luogo di provenienza.

Il primo fine settimana d’agosto, nella corte del castello Spinola, si svolge Campofestival, una rassegna musicale internazionale di musica celtica, mentre l’ultima domenica di agosto Camingiando è un percorso gastronomico che parte dal centro del paese e si snoda lungo alcuni km nel verde.

Tra le specialità gastronomiche di Campo Ligure sicuramente è da provare la revzöra, la classica focaccia ligure, impastata però, con la farina di mais. La bazzurra è invece una zuppa preparata con latte e castagne, due ingredienti basilari nella cucina povera di un tempo. La pute, invece, è una polenta cotta nel brodo vegetale: una volta veniva tagliata a fette e inzuppata nel latte, oggi è servita anche accompagnata da verdure.

Superata Genova e le meraviglie circostanti si fa visita a Moneglia antico centro ligure racchiuso tra i due campanili di San Giorgio e Santa Croce, e le due fortezze di Villafranca e Monleone, quest’ultima, solo un ricordo

moneglia liguria

I Genovesi, infatti, nel XII secolo posero a difesa di Moneglia due fortezze: quella di Villafranca, a levante, distrutta durante l’ultima guerra e parzialmente recuperata una ventina d’anni fa, e quella di Monleone, a ponente, dove nei primi del Novecento fu costruito un curioso castelletto in stile Coppedè.

Dall’alto della fortezza di Villafranca si vede chiaramente la struttura del borgo, stretto da un lato tra mare e collina, e dall’altro tra i campanili della chiesa di ponente, San Giorgio, e della chiesa di levante, Santa Croce.

San Giorgio, fondata dai monaci benedettini nel XIV secolo, conserva il chiostro francescano del secolo successivo, due polittici gotici di grande valore e una magnifica tela ritenuta opera giovanile di Luca Cambiaso, un maestro del Cinquecento europeo.

Proseguendo verso levante attraverso l’antico carruggio medievale, su cui si affacciano portali in ardesia del XV e XVI secolo, si arriva al piazzale della settecentesca chiesa di Santa Croce. I suoi tesori cominciano all’esterno con il “risseu” ottocentesco, che riprende la tradizione ligure di decorare i sagrati delle chiese con mosaici di ciottoli. Fondato presumibilmente intorno al X secolo, l’oratorio è internamente decorato con quattro strati di affreschi, recentemente restaurati, che vanno dal Duecento al Settecento.

All’ottimo olio extravergine d’oliva prodotto nel territorio, insignito della Dop Riviera di Levante, è dedicata la Mostra mercato dell’Olio d’oliva, il lunedì di Pasqua. Un mercatino dei prodotti tipici, biologici e artigianali, tra cui uno degli ingredienti principali per cucinare il piatto del borgo, ovvero le trenette al pesto.

Nel territorio di La Spezia ecco Varese Ligure borgo con la prima certificazione ambientale in Italia e con una produzione biologica riguardante il 95% dell’attività agricola.

Il borgo è situato nel cuore dell’Alta Valle del Vara, nota come “Valle del Biologico”. Sono più di quaranta le aziende agricole che confluiscono le loro attività di allevamento nelle cooperative locali, per la produzione di carni e formaggi biologici.

Le carni sono soprattutto agnello e coniglio, insaporite dai profumi dell’orto. La carne andrebbe cotta sulla “ciappa”, la piastra d’ardesia che si pone sopra il fuoco, mentre tra i dolci spiccano le torte di verdura e, quando è stagione, il castagnaccio preparato con farina di castagna, pinoli e uvetta.

I funghi porcini e le castagne sono materia prima in tante ricette della tradizione locale. Piatti legati alla tradizione sono i ravioli di pasta fresca ripiena di verdure e carne, da gustare con ragù di carne o funghi, i croxetti, ossia dischetti di pasta decorata con disegni floreali da condire con salsa di noci o pinoli e le tagliatelle di farina di castagna da accompagnare con il pesto o la ricotta fresca.

Tornato a nuova vita il castello dei Fieschi, è soprattutto nel Borgo Rotondo, il nucleo medievale, che si concentra l’interesse della visita. Qui, nell’antico ricetto degli artigiani, i colori delle facciate danno la loro impronta genovese a questo centro abitato incastonato nelle valli dell’Appennino ligure lungo il corso del fiume Vara, al confine con l’Emilia-Romagna.

Varese è un borgo da visitare senza fretta, lasciandosi guidare dai percorsi che seguono gli antichi tracciati medievali e il corso del fiume, e si addentrano in strade immerse nei boschi, attraversano morbide colline e risalgono le vette delle montagne all’orizzonte.

Nel borgo le case erano tutte uguali e a due piani, con i locali al pianterreno adibiti a magazzino e i piani superiori ad abitazione. Poco fuori il Borgo Rotondo si nota il castello, di proprietà privata, la cui torre alta è del 1435 e il torrione cilindrico di una quarantina d’anni successivo.

Accanto, il Palazzo Ferrari, nella cui cappella privata furono celebrate le nozze di Domenico Pallavicini e Luigia Ferrari, resa immortale dalla poesia del Foscolo. Il paesaggio urbano, però, offre altri motivi di interesse, come i portali di pietra e le chiese, tra cui quella di Santa Teresa D’Avila, consacrata nel 1676.

La chiesa fa parte del convento delle Monache Agostiniane, monastero di clausura dal 1652, che con il suo meraviglioso giardino è il luogo in cui le monache coltivavano erbe aromatiche, confezionavano funghi secchi e preparavano i dolci di pasta di mandorla, come le sciuette, la cui ricetta è segreta.

L’antico borgo di Brugnato ha una curiosa forma a tenaglia, come se volesse stringersi intorno alla cattedrale, alla cittadella vescovile da cui ha avuto origine.

Gli edifici, compatti e serrati per ragioni difensive, non sono più delimitati dal fossato, ma mantengono nelle facciate i colori liguri portatori della sobria felicità di questa terra. Immerso nello scenario naturale del Parco Montemarcello-Magra, Brugnato sorge sulle sponde del fiume Vara, da cui si ricavavano i sassi per fare la calce e la legna per il fuoco.

A Brugnato tutto iniziò nella prima metà del XII secolo, quando il piccolo villaggio diventò sede vescovile e venne costruita la cattedrale. L’edificio è a due navate divise da colonne e sorge sui resti di due chiese preesistenti, la più antica delle quali, è databile all’epoca bizantina.

Dal 1133, e per parecchi secoli, il palazzo Vescovile ha subito diversi rimaneggiamenti, come si può notare dagli interventi in stile barocco voluti dal vescovo Giovan Battista Paggi tra 1655 e 1663.

Oggi l’Episcopio è sede del Museo Diocesano, dove sono ospitate al pianterreno la sezione archeologica e ai piani superiori la sezione diocesana, che dell’antica dimora conserva il salone di rappresentanza, lo studio e la stanza da letto del vescovo. All’interno si possono ammirare dipinti di scuola genovese del ‘600 e preziose argenterie liturgiche.

Ma la devozione popolare si indirizzava verso gli oratori: quello all’inizio del borgo, presso Porta Soprana, è oggi intitolato a San Bernardo ed è sede dell’antica e omonima Confraternita. Sorse come luogo di preghiera per i viandanti ospitati nel vicino ospizio dedicato a Sant’Antonio.

Dell’oratorio dei Santi Rocco e Caterina, presso Porta Sottana, a oriente del centro storico, resta solo il bel portale in pietra arenaria, mentre in collina, a pochi km dal paese, il santuario di Nostra Signora dell’Ulivo trae origine da uno dei tanti oratori che i monaci dell’antica abbazia di Brugnato costruivano nei loro possedimenti per pregare e officiare nelle ore diurne.

Resta da vedere, alla fine, il ponte romanico sul fiume Vara, di probabile origine romana, che costituiva il collegamento tra l’Appennino e il mare. Il fiume Vara è uno dei pochi corsi d’acqua liguri con rapide che consentono di cimentarsi con la canoa acrobatica, il rafting e discipline analoghe.

Le celebrazioni in onore di San Bernardo Abate, il 19 e 20 agosto sono il momento più emozionante dell’antichissima venerazione dei brugnatesi per questo santo, rappresentata dalla processione delle confraternite liguri con i loro imponenti Cristi, ornati di lamelle d’oro, che vengono sollevati dai confratelli vestiti con un cappino di velluto blu sopra il camice bianco.

La gastronomia locale si inserisce nella tradizione ligure dei cibi semplici e genuini. Nelle trattorie si apprezzano le torte d’erbi, fatte con erbette di prato, gli ottimi ravioli di carne e i salumi artigianali prodotti dalle macellerie, tra i quali la mortadella nostrale.

I panifici del paese vendono il famoso canestrello di Brugnato, dolce morbido e dorato, realizzato con pasta zuccherata e insaporito con finocchio selvatico, e il meno noto cavagnetto, tipico del periodo pasquale, una ciambella zuccherata e munita di manico, proprio come un piccolo cestino, con al centro un uovo sodo.

Framura è un borgo che non c’è.

Non esiste come luogo in sé, ma solo come aggregazione di cinque insediamenti, tre dei quali, Costa, Setta e Anzo, conservano un fascino difficile da raccontare. Ma qui c’è qualcosa in più. A due passi dalle celebri Cinque Terre, esiste una Liguria che pochi conoscono, dove i monti e il mare si incontrano

Anche il porto non c’era, lo si è dovuto inventare in mezzo a due scogli che, secondo la leggenda, parlano tra loro. Le sfumature intense del mare, i contrastanti colori delle sue rocce e gli antichi borghi fanno di Framura un piccolo paradiso segreto.

Il modo migliore di conoscere il territorio di Framura è partire dal borgo più alto, Castagnola, e scendere a valle verso gli altri, Costa, Setta, Ravecca e Anzo, a piedi.

Nella frazione di Castagnola, posta a monte, il suolo franoso ha provocato la perdita di numerosi edifici storici. Rimane il valore paesaggistico di terreni agricoli condizionati dai percorsi medievali di transito e di commercio che si snodavano tra il castello dei signori da Passano, i sentieri che scendevano alla valle del Deiva e quelli che conducevano alla valle del Vara e alla costa di Framura.

Situato sul pendio di una costa rivolta al mare, il borghetto di Costa si presenta con la sua possente torre carolingia del IX secolo, che da torre di avvistamento è stata trasformata nel campanile dell’attigua pieve di San Martino, edificata prima del 1128.

Scendendo verso il mare, tra profumi di erbe aromatiche e piante di limoni e pompelmi, si incontra il borgo di Setta. Dal punto di vista dell’edilizia civile, è la frazione di maggior pregio architettonico grazie a tracce di murature medievali e archi in pietra da taglio, la cosiddetta “pietra di Levanto”, dal caratteristico colore verdastro. L’abitato di Ravecca, invece, nacque quando i nobili locali, non trovando lo spazio per ampliare le proprie dimore, si allargarono in questa frazione.

Quasi sulla costa, in prossimità dell’antico scalo delle barche, il borgo di Anzo è il luogo legato al trasferimento in prossimità del mare dei signori da Passano, avvenuto alla fine del XV secolo abbandonando l’antico insediamento del castello.

Le case di Anzo formano un borgo fortificato munito di una torre cinquecentesca e di mura di difesa, oltre che di una cappella e di un castelletto che proteggeva gli abitanti dalle incursioni dei pirati barbareschi. I restauri ottocenteschi hanno fatto di Anzo un luogo di villeggiatura caratterizzato da dimore signorili e giardini mediterranei.

Framura è collegata a Bonassola e Levanto da una bellissima pista ciclo-pedonale. Il percorso, lungo cinque km, inizia sopra il porticciolo, vicino alla stazione ferroviaria, e termina a Levanto, nella zona di Valle Santa.

Lungo la ciclabile, ricavata nelle vecchie gallerie ferroviarie, si aprono splendidi affacci sul mare e si può accedere a diverse calette, come la spiaggia di Porto Pidocchio. Proprio in questa insenatura è stata attrezzata una parete di roccia per gli appassionati di climbing.

In questo angolo di Liguria, meno conosciuto ma non meno bello delle vicine Cinque Terre, con grande fatica si pratica un’agricoltura che strappa agli stretti e pendenti terreni tra monte e mare, i buoni prodotti della terra.

Il pane di “Framura è preparato in un antico forno, insieme a biscotti e dolci tipici. Le aziende agricole del territorio producono olio extravergine di oliva, ortaggi, verdure e vini “Colline di Levanto” a denominazione IGT, principalmente bianchi a base di Vermentino e rossi composti da diversi uvaggi, mentre il menu locale comprende tagliolini con le cozze, polpettone di verdure o di acciughe e frittelle con fiore di zucchina.

In direzione sud si scoprono le Cinque Terre. Arrivando dal mare, la piazzetta di Vernazza accoglie a braccia aperte chiunque la visiti.

Su questa piazza c’è una chiesa che pare sfidare i flutti del mare. Dedicata a Santa Margherita di Antiochia, è stata costruita nel 1318 in stile gotico-ligure.

La chiesa, inoltre, presenta due particolarità: la torre, a pianta ottagonale e alta 40 metri, più che un campanile sembra un minareto e l’ingresso è posto nell’abside anziché nella facciata. Assieme alla chiesa, il porticciolo viene incorniciato dal cilindrico torrione d’avvistamento dell’antico castello Doria che, con il torrione quadrato, è quanto resta delle antiche fortificazioni genovesi in funzione anti-corsara.

Dalla piazzetta si diramano sentieri tra i più belli delle Cinque Terre, in particolare quelli che conducono al santuario della Madonna di Reggio, sorto nel XI secolo e a quello di San Bernardino, da cui si gode un panorama che spazia dalla Corsica alle Alpi Marittime.

I sentieri si inerpicano a mezza costa tra gli orti profumati di limoni e basilico, si arrampicano dolcemente tra gli oliveti, le fasce coltivate a vite e i muretti su cui crescono i capperi, rivelando nuove emozioni a ogni curva, fino a raggiungere la roccia nuda che si sporge a strapiombo sul mare.

Sulle caratteristiche terrazze strappate alle rocce e ai dirupi, da secoli i contadini coltivano vigneti a pergola che danno ottimi vini: i Doc sono il bianco Cinque Terre e lo Schiacchetrà, il passito più famoso d’Italia, di limitatissima produzione. Pregiati elementi che possono unirsi al piatto tipico, il tian Vernazza (tegame d’acciughe) è un piatto preparato con acciughe di Monterosso, pomodori e patate.

Superata La Spezia, nell’insenatura che avvolge la città si fa visita a Tellaro, frazione di Lerici.

 

Uno dei pochi posti in Italia, e forse nel mondo, sui quali la poesia abbia così generosamente dispiegato le sue ali di libertà e immaginazione.

Qui, nella casa bianca con gli archi di San Terenzo, è venuta a vivere una coppia trasgressiva, per l’epoca, come Mary e Percy Bysshe Shelley. Poco oltre, nella casa rosa di Fiascherino, il selvaggio paesaggio marino ha incantato un’altra coppia poco convenzionale, lo scrittore D. H. Lawrence e la sua compagna Frieda. E sono solo alcuni tra gli altri che scelsero questo luogo come proprio soggiorno.

La visita può iniziare a San Terenzo, appena prima di Lerici, dove si trovano il castello, Casa Magni che fu dimora di Mary e Percy B. Shelley, e Villa Marigola, oggi sede di un centro studi che organizza convegni e manifestazioni culturali.

A Lerici, è bella la salita al Castello di San Giorgio che si erge sul promontorio roccioso di fronte alla baia. Costruito nel 1152 e modificato dai pisani e dai genovesi, assume l’attuale conformazione intorno al 1555.

Tra il castello e il porto, attuale piazza Garibaldi, si trova palazzo Doria, così chiamato per aver ospitato l’ammiraglio genovese Andrea Doria quando, nel 1528, tradì la Francia per la Spagna, mettendo al servizio di quest’ultima le sue navi per il controllo del Mediterraneo.

E poi ecco Tellaro, un angolo di vita che sembra fatto apposta per proteggere dai rumori del mondo. Qui che Attilio Bertolucci, uno dei più grandi poeti italiani contemporanei, veniva a cercare quiete, nelle mezze stagioni, mentre D. H. Lawrence era affascinato dalle donne che lavoravano negli uliveti, dalle loro voci sonanti sulle colline.

A Tellaro ci si lascia prendere dall’atmosfera. Salire all’antico oratorio di Santa Maria in Selà e guardare il Mediterraneo o partecipare a Culturando, da aprile a settembre, la rassegna più importante organizzata da queste parti.

O ancora assaggiare il polpo alla tellarese, lessato con le patate e condito con l’olio locale, olive snocciolate e un trito di aglio, prezzemolo, sale e succo di limone. Trae ispirazione da un’antica leggenda, quella del Polpo Campanaro, che si dice svegliò gli abitanti del borgo suonando le campane della chiesa con i suoi lunghi tentacoli e salvandoli così da un’incursione saracena.

Il viaggio nei borghi liguri termina nella parte più a sud della provincia, sempre affacciati sul mare e quasi al confine con la Toscana.

Montemarcello, frazione di Ameglia è un piccolo borgo dai colori pastello immerso tra i mirti, i lentischi, gli ulivi e i pini d’Aleppo.

Da Bocca di Magra, piccolo borgo posto alla foce del fiume, già rifugio estivo di patrizi romani, si intraprende il cammino alla scoperta di questo lembo di terra ligure al confine con la Toscana. Ci si ritrova così sulle tracce di Dante Alighieri, che al monastero del Corvo, fondato dai frati benedettini nel 1176, andò a cercare pace nel 1306.

Si sale quindi per una vecchia via militare che conduce a Punta Bianca, le cui candide rocce, antiche cave romane, si fondono con la spuma del mare in tempesta. Da lì, attraverso boschi di leccio e corbezzoli si giunge a Montemarcello.

Si accede al borgo passando sotto la porta d’ingresso quattrocentesca e percorrendo le vie interne, suggestive per le arcate in pietra che ogni tanto le interrompono, si è colpiti dalla loro struttura ad angolo retto che riporta alla mente la struttura dell’accampamento romano.

Uscendo dal borgo a sud, si notano i resti di una fortificazione militare che domina la costa sino a Livorno. Sul lato ovest si snoda un sentiero che conduce al belvedere di Punta Corvo a 266 metri s.l.m., in cui l’azzurro del mare si fonde con il verde dei pini d’Aleppo.

In questa zona ci si ritrova all’ interno del Parco Regionale Montemarcello – Magra, dove ogni percorso svela l’azzurro del mare incorniciato dalle chiome argentee degli ulivi, mentre a Montemarcello è visitabile anche l’Orto Botanico del Parco. Tutti i divertimenti, qui, sono legati al mare, tra vela, canoa, surf e passeggiate sul lungofiume e percorsi nel verde attraverso bellissimi sentieri che conducono a Tellaro o a Lerici.

Benché in collina, Montemarcello a tavola porta il mare. Il polpo, cucinato lesso con patate, è il frutto della pesca a Punta Corvo, la spiaggia sotto il borgo. Piatto di terra sono invece i tagiain a menestron, una minestra di verdure miste di stagione a cui si aggiunge la pasta fatta in casa. Ad accompagnare i piatti, invece, ci pensa il vino della zona, il bianco Doc Vermentino dei Colli di Luni. Un’altra specialità del luogo sono i fichi, chiamati binèi, che continuano a dare dei frutti ottimi, per gusto e dolcezza. Una delizia su cui è valsa la pena celebrare proprio la Sagra del Fico.

Alessandro Campa

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