Pompei crolla e muore per la seconda volta
I finanziamenti, le leggi e le priorita’ per salvare Pompei dai numerosi crolli sono state individuate, ma il progetto non sembra partire
di
Antonio Galdo
Pompei può attendere. O meglio: può marcire sotto l’ombrello di un Grande Progetto che al momento resta solo un titolo, con una legge approvata, i finanziamenti stanziati, le priorità individuate. Ma senza l’atto decisivo, e cioè la nomina di chi deve guidare la barca che intanto affonda. Tutto sospeso, nel vuoto assoluto, in attesa che il ministro Massimo Bray si decida a scegliere l’uomo giusto al posto giusto ed esca dall’angolo in cui i mandarini del Ministero dei Beni Culturali e del Turismo lo hanno infilato, condannandolo all’impotenza e al silenzio. Annunci a parte, che in casi del genere non mancano mai.
Ma andiamo con ordine, perché in questo racconto ci muoviamo in una sorta di selva oscura, i cui tentacoli sono noti a chiunque conosce il sistema corporativo e opaco della gestione del nostro patrimonio culturale. Il governo Letta agli inizi dell’agosto scorso approva un decreto (titolo immaginifico: Valore cultura) con il quale si prevede la nomina di un direttore generale del Grande Progetto Pompei “per gestire le emergenze, assicurare lo svolgimento delle gare, migliorare la gestione del sito e delle spese”. Un super commissario, in pratica, con pieni poteri rispetto all’attuale soprintendente, Maria Teresa Elena Cinquantaquattro, che intanto aspetta un decreto attuativo del ministero per capire di che cosa dovrà occuparsi. Tra un decreto che c’è e uno che deve arrivare, passano alcuni mesi, siamo a ottobre, e la figura del super commissario diventa legge dello Stato.
Cosa ti aspetti? Un nome, un insediamento, e l’inizio di un’avventura. Invece il ministro prende tempo, forse riflette perché intanto gli hanno piazzato tra le gambe del Grande Progetto un paletto: il super commissario deve arrivare dall’amministrazione dello Stato. E i mandarini del ministero pensano che lo Stato sono loro, dunque si fanno i primi nomi, con una informale benedizione di Bray: Luca Maggi, soprintendente dei Beni architettonici dell’Abruzzo e Carlo Birozzi, suo collega in Molise. Peccato che il super commissario previsto a Pompei, come profilo, non può essere un soprintendente, per ovvi motivi: serve un manager, con competenze trasversali, dalla macchina amministrativa alla cultura d’impresa. E nello Stato, per nostra fortuna, di manager ce ne sono, a vari livelli. Bisognerebbe saper scegliere, puntare su un personaggio autorevole, catturarlo con la seduzione del Grande Progetto e con uno stipendioche, lo prevede sempre la legge, in questo caso non è male: fino a 100mila euro in più rispetto al precedente trattamento con un tetto di 300mila euro.
E invece Bray si incarta. Siamo a novembre, decisioni non se ne vedono, scelte non se ne fanno e tutto tace. Salvo la voce piuttosto irritata, e giustamente, di Enrico Letta che vorrebbe un ministro concreto, operativo, consapevole della partita in gioco e del fatto che il suo dicastero abbina Beni Culturali e Turismo. Cioè il futuro dell’Italia in recessione. Il capo del governo ha provato a chiudere la pratica del super commissario a Pompei fornendo a Bray, attraverso gli uffici di palazzo Chigi, una serie di nomi idonei all’incarico. Ci sono state lunghe riunioni (e anche un faccia a faccia diretto), durante le quali il ministro ha ricevuto indicazioni da Letta, con tanto di curriculum di possibili uomini da impegnare al comando del Grande Progetto. Tutte riunioni a vuoto, con Bray che prende tempo e poi cede di fronte ai veti che arrivano dal cuore del suo quartiere generale, dove si alza un muro contro qualsiasi candidatura che non arrivi dalMibac.
Nel silenzio dell’attesa, e qui siamo agli annunci, il ministro intanto promette pubblicamente diimpegnare, entro la fine dell’anno, ben 50 dei 105 milioni di euro che l’Unione europea ha messo sul tavolo di Pompei. Soldi veri, non virtuali, spendibili, con tanto di cantieri e lavoro per centinaia di persone. Al momento di “impegnato” a Pompei c’è ben poco, quasi nulla. Sui 39 interventi di ristrutturazione, che dovrebbero essere completati entro il 2015, sono stati aperti appena cinque cantieri, e con questo ritmo sarà impossibile rispettare la scadenza. E, altra irritazione, da Bruxelles hanno fatto sapere che di questo passo i finanziamenti rischiano di essere ritirati. Nel silenzio dell’attesa al ministero dei Beni Culturali e del Turismo, Bray appare come un generale circondato e paralizzato dai suoi ufficiali. Il ministro ha nominato, grazie allo spoil system, un capo di gabinetto, nella persona dell’ottimo Marco Lipari, docente universitario ed ex capo dell’ufficio legislativo della Farnesina, di cui si fida. Ma non è andato oltre, in un futuribile riassetto dei vertici del ministero che pure poteva fare in pochi giorni, l’insediamento della solita commissione che dovrà dare il suo parere per la riforma della macchina del Mibac, un tempio dell’antiquariato dell’alta burocrazia italiana. Nelle more, al vertice della piramide ministeriale ci sono i direttori generali del ministero e un segretario generale, Antonella Recchia, che ha un piccolo vizio di origine: occupa una poltrona che dovrebbe essere cancellata. E’ vero: prima di lei su quella poltrona si sono seduti burocrati del calibro di Giuseppe Proietti e Roberto Cecchi, oggi fuori dai giochi del ministero solo perché pensionati, ma c’è il piccolo particolare che intanto il Mibac, tra un falsa riforma e l’altra, è passato dalle direzioni generali ai dipartimenti per poi tornare alle direzioni generali. E queste non prevedono la figura del segretario generale. L’aria che tira in un ginepraio di uomini e norme, con un quotidiano esercizio di veti e interdizioni, è stata ben fiutata da Salvo Nastasi, per molti anni considerato una sorta di potente ministro-ombra al Mibac e oggi defilato alla guida della direzione generale per lo Spettacolo dal vivo.
In compenso, mentre non sceglie il super commissario di Pompei e lascia così il Grande Progetto orfano di una guida sul campo, il ministro Bray trova il tempo per essere unvulcanico comunicatore su twitter (dove ha 29.096 follower). Qui ci fa sapere, e avete capito dal racconto quanto questa novità sia fondata, che “Cultura e Mezzogiorno sono davvero una risorsa strategica per il Paese”. Oppure ci illumina con le citazioni di Pasolini, di Fellini e di Bernard Show. Per esempio questa: “Io sogno cose mai esistite e dico: perché no?”. Già, verrebbe da chiedere al ministro, perché no?
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