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La lobby della bicicletta ha molto da pedalare

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La lobby della bicicletta, ovvero gli addetti del settore che favoriscono leggi e percorsi virtuosi su queste materia, hanno ancora tanto da pedalare

 

La lobby della bicicletta spinge verso una mobilità più sostenibile, ma ha ancora tanto da pedalare. Ogni attività legata ad una qualche forma di produzione di beni e servizi ha la necessità di crescere nella società attraverso gruppi di pressione e di rappresentanza degli interessi che a livello politico, culturale ed economico finanziario garantiscano il miglior percorso di affermazione per quegli stessi beni e servizi.

Anche la bicicletta, seppure ideata per ampi spazi aperti e per accrescere la nostra voglia di mobilità nel rispetto dell’ambiente e degli altri – ha necessità di essere supportata da “manovre di corridoio”.

L’obiettivo del fare lobby sulla bicicletta sta, chiaramente, nel far crescere gli utenti della bicicletta stessa, ma non solo. A differenza di altre forme di lobby estremamente concentrate sul prodotto di cui voler aumentare le vendite (prendiamo ad esempio l’automobile), la bicicletta non si limita, perlomeno in Italia, a diventare la lobby dei produttori di veicoli a due ruote e di ricambi connessi. In effetti la bici porta con se un mondo di interessi e di associazioni, non soltanto di produttori. Società civile in testa.

Negli Stati Uniti la lobby delle biciclette, nata nel 1999, è sponsorizzata dall’industria della bicicletta. Ha una dote annuale di 7,5 milioni di dollari per la promozione delle due ruote ecologiche e circa 400 finanziatori tra produttori e rivenditori (fonte bikesbelong.org) che hanno preferito coalizzarsi piuttosto che agire da soli.  Cosa succede in Italia? Tra le nazioni europee siamo il primo produttore di biciclette ma – dati aggiornati allo scorso anno – riusciamo a mettere sul mercato solo 3 biciclette ogni 100 abitanti, risultando, per vendite, solo al quarto posto.

Paolo Pinzuti, giornalista, appassionato di bicicletta e mobilità sostenibile, fondatore del movimento Salvaiciclisti, non è un produttore di biciclette. Già dallo scorso anno ha pensato di riunire attorno ad un tavolo, con il movimento Salvaiciclisti da lui ideato, sia i rappresentanti dei costruttori che le associazioni che i parlamentari.  Una mossa che fa comprendere quanto la vocazione politica della bicicletta sia quella di rispondere non solo alle esigenze di chi la produce e la commercializza, ma anche e soprattutto ai bisogni sempre più urgenti di una mobilità sostenibile, di intermodalità nell’uso dei mezzi (privati e pubblici), di innovazione nell’educazione civica al trasporto.

Passare sostanzialmente dall’uso di mezzi profondamente “egoistici” – prendo l’auto, inquino, sottraggo spazio pubblico, intaso il traffico, minaccio la sicurezza dei pedoni – ad una nuova mentalità i cui ingredienti siano rispetto, altruismo, benessere, risparmio ambientale. Il gruppo di pressione “all’italiana” ha tanti differenti promotori, quindi, rappresentati non solo dai produttori, ma anche e soprattutto dalla politica, dall’associazionismo, dal volontariato, dalle istituzioni locali e dal buon senso di chi vorrà spendere un po’ delle sue capacità e del suo tempo per promuovere una mobilità nuova.

Il panorama di casa nostra si affaccia sulla Federazione Ciclistica Europea (Ecf), che un po’ all’americana, riunisce il club dei produttori mondiali di biciclette; sulla Fiab, Federazione Italiana amici della bicicletta, sul senatore italiano Francesco Ferrante ( che ha promosso un disegno di legge firmato da sessanta parlamentari di differente colore politico), su Legambiente e sul movimento Salvaiciclisti. Uno schieramento importante per una battaglia di civiltà che sta prendendo sempre più piede, come dimostra ancora una volta il recente evento del 4 maggio a Milano in cui una massa critica di persone sensibili all’uso della bici ha manifestato sull’urgenza di dare voce e peso a scelte socialmente vitali per la mobilità. 

Di strada da fare ce n’è parecchia. Ma attorno alla bici comincia se non altro a muoversi una lobby importante e significativa. Finalmente un gruppo di pressione dedicato ad una buona causa, in grado di farci eticamente rivalutare il termine stesso di lobby. (Vincenzo Nizza)

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